MARE ONLINE https://www.mareonline.it Tue, 26 Mar 2024 13:01:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.2 Salpa verso la tua carriera, la nuova rotta per approdare in un mare di lavori https://www.mareonline.it/salpa-verso-la-tua-carriera-la-nuova-rotta-per-approdare-in-un-mare-di-lavori/ https://www.mareonline.it/salpa-verso-la-tua-carriera-la-nuova-rotta-per-approdare-in-un-mare-di-lavori/#respond Tue, 26 Mar 2024 13:01:04 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52255 Approdare nel mondo del lavoro: per chi sceglie un futuro professionale nel comparto marittimo non è solo un modo di dire. Così come non lo è la frase “Salpa verso la tua carriera”, scelta come titolo della giornata d’incontro organizzata a  Livorno  da  Assarmatori in collaborazione con il centro di formazione Gdm – Gente di mare, a bordo del traghetto Moby Legacy, per illustrare a oltre duecento studenti, provenienti da scuole secondarie di secondo grado della Toscana, le opportunità di lavoro in mare. Un “career day,  ideato e “varato” con l’obiettivo di formare nuove professionalità  da introdurre nel mondo del  lavoro del comparto marittimo favorendo l’incrocio incontro fra domanda e offerta di lavoro, durante il quale i partecipanti hanno avuto l’occasione di conoscere le opportunità offerte dalla carriera marittima  dai “diretti interessati,  ovvero i membri dell’equipaggio, dal cabinista sino all’esperto comandante, passando da chi si occupa della ristorazione e dal personale di macchina. Figure richiestissime dal mercato, come ha sottolineato Giovanni Consoli, vice segretario generale di Assarmatori   sottolineando che  “l’armamento è alle prese con  una carenza di personale marittimo  che ha assunto connotati emergenziali, in particolare durante la stagione estiva. Il Decreto interministeriale dello scorso novembre  con il quale sono state stanziate importanti risorse economiche per la  formazione di nuove professionalità da parte delle compagnie è “salpato”per dare la possibilità alle compagnie e a chi intende intraprendere la carriera a bordo di  superare alcuni ostacoli di natura burocratica ed economica, da parte nostra abbiamo inteso favorire il contatto, appunto, fra domanda e offerta di lavoro, mettendo in luce le peculiarità della carriera marittima e i vantaggi che è in grado di offrire” ha aggiunto Giovanni Consoli, anticipando che l’iniziativa “Salpa verso la tua carriera” non si ferma qui. Nuovi incontri sono in fatti pronti a mollare gli ormeggi in altre città di mare italiane, partendo da  Campania, Sicilia e Liguria.

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Approdare nel mondo del lavoro: per chi sceglie un futuro professionale nel comparto marittimo non è solo un modo di dire. Così come non lo è la frase “Salpa verso la tua carriera”, scelta come titolo della giornata d’incontro organizzata a  Livorno  da  Assarmatori in collaborazione con il centro di formazione Gdm – Gente di mare, a bordo del traghetto Moby Legacy, per illustrare a oltre duecento studenti, provenienti da scuole secondarie di secondo grado della Toscana, le opportunità di lavoro in mare. Un “career day,  ideato e “varato” con l’obiettivo di formare nuove professionalità  da introdurre nel mondo del  lavoro del comparto marittimo favorendo l’incrocio incontro fra domanda e offerta di lavoro, durante il quale i partecipanti hanno avuto l’occasione di conoscere le opportunità offerte dalla carriera marittima  dai “diretti interessati,  ovvero i membri dell’equipaggio, dal cabinista sino all’esperto comandante, passando da chi si occupa della ristorazione e dal personale di macchina. Figure richiestissime dal mercato, come ha sottolineato Giovanni Consoli, vice segretario generale di Assarmatori   sottolineando che  “l’armamento è alle prese con  una carenza di personale marittimo  che ha assunto connotati emergenziali, in particolare durante la stagione estiva. Il Decreto interministeriale dello scorso novembre  con il quale sono state stanziate importanti risorse economiche per la  formazione di nuove professionalità da parte delle compagnie è “salpato”per dare la possibilità alle compagnie e a chi intende intraprendere la carriera a bordo di  superare alcuni ostacoli di natura burocratica ed economica, da parte nostra abbiamo inteso favorire il contatto, appunto, fra domanda e offerta di lavoro, mettendo in luce le peculiarità della carriera marittima e i vantaggi che è in grado di offrire” ha aggiunto Giovanni Consoli, anticipando che l’iniziativa “Salpa verso la tua carriera” non si ferma qui. Nuovi incontri sono in fatti pronti a mollare gli ormeggi in altre città di mare italiane, partendo da  Campania, Sicilia e Liguria.

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Crociere nei Fiordi, questi Postali vi “spediscono” nel Nord più incantato https://www.mareonline.it/crociere-nei-fiordi-questi-postali-vi-spediscono-nel-nord-piu-incantato/ https://www.mareonline.it/crociere-nei-fiordi-questi-postali-vi-spediscono-nel-nord-piu-incantato/#comments Mon, 25 Mar 2024 16:35:41 +0000 http://www.mareonline.it/?p=44 Dove la terra si ritira per lasciare spazio al mare, ma forse è il mare che si inchina alla forza della terra e accetta la sua presenza in profondità, esistono luoghi che vale davvero la pena visitare. Magari ripercorrendo le rotte della storia a bordo di una delle navi targate Hurtigruten, il mitico postale dei fiordi che ha rappresentato a lungo l’unico mezzo di comunicazione fra le città della costa norvegese.A guardare la cartina, il profilo della terra dei vichinghi sembra la criniera di un cavallo che guarda a est. Per risalirla, le navi della compagnia scandinava partono da Bergen, il cui quartiere anseatico è il più pittoresco e utilizzato ritratto del medioevo nordico. Gli antichi edifici di Bergen sono ormai entrati nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco e chi visita la cittadina norvegese si rende subito conto del motivo. Camminare lungo il quartiere anseatico è un po’ come viaggiare nel tempo. Pulpit Rock, una terrazza di pietra alta 600 metri a strapiombo sul fiordo Prima di imbarcarsi, se si ha a disposizione un po’ di tempo, vale la pena fare qualche ora di macchina e arrivare fino al Preikestolen, o Pulpit Rock, una delle bellezze naturali più fotografate della Norvegia. Si tratta di una roccia che sale a picco per 600 metri sul Lysefjorden, nelle cui vicinanze è possibile vedere il masso incastrato, un enorme sasso incastonato lungo due pareti verticali come una pietra preziosa nella sua sede. Lasciare Bergen, con il sole che illumina la variopinte costruzioni in legno affacciate sul mare, è un’esperienza emozionante. Ma è solo l’assaggio di quello che si vive nel resto del viaggio. All’imbocco di uno dei fiordi più spettacolari, il Geiragnerfjorden, sorge Alesund, una cittadina ricostruita all’inizio del secolo scorso dopo un terribile incendio. L’architettura è tutta Art nouveau, l’atmosfera incredibilmente rilassante, il paesaggio e i colori indimenticabili. Dopo una tappa a Molde, la città delle rose, è la volta di Trondheim, l’antica capitale norvegese fondata da Olav I nel 997. Trondheim è un centro universitario ricco di luoghi che un turista non può perdere. A partire dalla cattedrale di Nidaros, il santuario nazionale della Norvegia, costruita sulla tomba di Sant’Olav, per arrivare al Palazzo arcivescovile. Di fronte alla cittadina, inoltre, si erge il cupo isolotto di Munkholmen, l’Alcatraz norvegese. Oltre il Circolo polare artico, sulle tracce degli esploratori artici Con la prua verso nord, le navi dell’Hurtigruten oltrepassano il Circolo polare artico per avvicinarsi alle isole Lofoten, un arcipelago che incarna l’anima norvegese. Lambite dalla Corrente del Golfo, posseggono bellezze naturali da lasciare a bocca aperta. Gli isolotti più meridionali ospitano la più grande colonia di uccelli di tutta la nazione. La natura inizia a diventare più selvaggia e ruvida. La bellezza si nasconda nella pietra viva, nelle temperature gelide, nella forza del vento, nella tenacia di una luce che non vuole smettere di illuminare tutto. Qualche centinaio di chilometri più a nord, tutta la vocazione selvaggia della natura si incontra con la cosmopolita Tromso, capitale della Lapponia. La cittadina che ospitava... [Continua]

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Dove la terra si ritira per lasciare spazio al mare, ma forse è il mare che si inchina alla forza della terra e accetta la sua presenza in profondità, esistono luoghi che vale davvero la pena visitare. Magari ripercorrendo le rotte della storia a bordo di una delle navi targate Hurtigruten, il mitico postale dei fiordi che ha rappresentato a lungo l’unico mezzo di comunicazione fra le città della costa norvegese.A guardare la cartina, il profilo della terra dei vichinghi sembra la criniera di un cavallo che guarda a est. Per risalirla, le navi della compagnia scandinava partono da Bergen, il cui quartiere anseatico è il più pittoresco e utilizzato ritratto del medioevo nordico. Gli antichi edifici di Bergen sono ormai entrati nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco e chi visita la cittadina norvegese si rende subito conto del motivo. Camminare lungo il quartiere anseatico è un po’ come viaggiare nel tempo.

Pulpit Rock, una terrazza di pietra alta 600 metri a strapiombo sul fiordo

Prima di imbarcarsi, se si ha a disposizione un po’ di tempo, vale la pena fare qualche ora di macchina e arrivare fino al Preikestolen, o Pulpit Rock, una delle bellezze naturali più fotografate della Norvegia. Si tratta di una roccia che sale a picco per 600 metri sul Lysefjorden, nelle cui vicinanze è possibile vedere il masso incastrato, un enorme sasso incastonato lungo due pareti verticali come una pietra preziosa nella sua sede. Lasciare Bergen, con il sole che illumina la variopinte costruzioni in legno affacciate sul mare, è un’esperienza emozionante. Ma è solo l’assaggio di quello che si vive nel resto del viaggio. All’imbocco di uno dei fiordi più spettacolari, il Geiragnerfjorden, sorge Alesund, una cittadina ricostruita all’inizio del secolo scorso dopo un terribile incendio. L’architettura è tutta Art nouveau, l’atmosfera incredibilmente rilassante, il paesaggio e i colori indimenticabili. Dopo una tappa a Molde, la città delle rose, è la volta di Trondheim, l’antica capitale norvegese fondata da Olav I nel 997. Trondheim è un centro universitario ricco di luoghi che un turista non può perdere. A partire dalla cattedrale di Nidaros, il santuario nazionale della Norvegia, costruita sulla tomba di Sant’Olav, per arrivare al Palazzo arcivescovile. Di fronte alla cittadina, inoltre, si erge il cupo isolotto di Munkholmen, l’Alcatraz norvegese.

Oltre il Circolo polare artico, sulle tracce degli esploratori artici

Con la prua verso nord, le navi dell’Hurtigruten oltrepassano il Circolo polare artico per avvicinarsi alle isole Lofoten, un arcipelago che incarna l’anima norvegese. Lambite dalla Corrente del Golfo, posseggono bellezze naturali da lasciare a bocca aperta. Gli isolotti più meridionali ospitano la più grande colonia di uccelli di tutta la nazione. La natura inizia a diventare più selvaggia e ruvida. La bellezza si nasconda nella pietra viva, nelle temperature gelide, nella forza del vento, nella tenacia di una luce che non vuole smettere di illuminare tutto. Qualche centinaio di chilometri più a nord, tutta la vocazione selvaggia della natura si incontra con la cosmopolita Tromso, capitale della Lapponia. La cittadina che ospitava Amundsen, Nansen, Nobile e gli altri esploratori prima delle loro avventure artiche è un ricordo lontano qualche secolo. Al turista offre numerosi spunti, dalla cattedrale alla chiesa Ishavskatedralen, con un’architettura che ricorda le costruzioni di ghiaccio e una vetrata dipinta di dimensioni imponenti.

Dedicato a chi nei viaggi ama mettere punto e a Capo. Nord

Ancora un giorno di navigazione e si arriva a Capo Nord, 71° 10’ e 21”, meta di tutti coloro i quali amano le avventure estreme. Ma il centro più a nord del mondo è Honningsvag, sul capo opposto di Capo Nord. Gli amanti dell’architettura potranno trovarvi una chiesa del 1884, unico edificio sopravvissuto ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. E ogni tanto, quando le condizioni lo permettono, il cielo si riempie di disegni colorati dando vita al fenomeno dell’aurora boreale. Verso est, si oltrepassa il confine norvegese per approdare in russia, a Kirkenes. Uno sperduto villaggio di frontiera dove tutto ciò che viene creato ha uno scopo. Non c’è spazio per bellezza ed estetica. La parola d’ordine è praticità.

Dopo aver ammirato l’alba boreale ai confini del mondo si torna nella civiltà

A Kirkenes i battelli dell’Hurtigruten invertono la rotta. Si torna a Bergen, verso la civiltà, le comodità. Le tappe sono le stesse, ma l’ordine inverso rende il viaggio di ritorno completamente diverso da quello di andata. C’è tempo per assaporare nuove sensazioni, per godere di quelle sfumature che solo qualche giorno prima erano passate in secondo piano. E che rendono una crociera a bordo dell’Hurtigruten qualcosa di indimenticabile. Info: tel +39 010.57561; fax + 39.010.581217;  giver@giverviaggi.comwww.giverviaggi.com

Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & immagine srl per mareonline.it

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Imparare a navigare? Se chi insegna usa questo portale tutto diventa più facile, divertente… https://www.mareonline.it/imparare-a-navigare-se-chi-insegna-usa-questo-portale-tutto-diventa-piu-facile-divertente/ https://www.mareonline.it/imparare-a-navigare-se-chi-insegna-usa-questo-portale-tutto-diventa-piu-facile-divertente/#respond Mon, 25 Mar 2024 16:21:20 +0000 https://www.mareonline.it/?p=51388 Per insegnare a navigare ci si può mettere al timone e spiegare agli allievi, saliti a bordo, ogni segreto per compiere le migliori manovre in navigazione. Oppure l’insegnante può tranquillamente stare seduto davanti a un computer e tenere la lezione facendo salire a bordo solo virtualmente gli aspiranti lupi di mare, ma mettendoli lo stesso in grado di provare l’esperienza di essere davvero su un’imbarcazione, facendoli “navigare ” in un mare di foto e video, slides e disegni.  Il tutto tenendo sotto controllo, come si addice a un “comandante” ogni situazione: dalla presenza a bordo  della lezione dell’intero “equipaggio” di iscritti al corso, alle materia da affrontare, al livello di apprendimento raggiunto. Tutto questo grazie a un  portale didattico e a un corso multimediale “varati”  da Egaf, (casa editrice diventata, con i propri manuali e prontuari,  un autentico faro nel mare della formazione in materia di  circolazione stradale e via mare, di motorizzazione e trasporti) per  consentire ai docenti chiamati a formare i nuovi navigatori di avere a portata di clic tutto quanto serve  per la formazione al conseguimento della patente nautica, e consentendo loro di trasmetterlo, sempre solcando il mare di Internet, ad allievi distanti decine, centinaia di chilometri. Sulla terraferma, magari distantissimi dal mare, ma “virtualmente” a bordo, con l’insegnante in cattedra al timone. Una nuova rotta nel mare della formazione di Egaf, tracciata dagli autori del corso, Giuseppe Semeraro e Franco Fiorin, e rivolto principalmente ai responsabili di  autoscuole e di enti di formazione, che  consente, tramite una semplice applicazione,  al docente di svolgere il corso agevolmente e con efficacia grazie a slides, foto, disegni e quiz, seguendo  la “scaletta” della pubblicazione in uso all’allievo, che consente di “riprendere” a casa le lezioni svolte in aula, oppure scegliendo, a proprio piacimento, un percorso alternativo, elaborando una propria scaletta di semplicissima esecuzione. E con la possibilità di compiere diverse “manovre” durante la lezione: per esempio, grazie al multimediale proiettato, sottolineando, con l’apposito evidenziatore, aspetti particolari del contenuto delle slides; oppure intervallando  l’esposizione con la proposizione di quiz: prima  della trattazione di ciascun argomento, per un breve quadro generale; o dopo  l’esposizione dell’insegnante, quale sintetico ripasso dell’argomento svolto. Senza dimenticare l’uso di  foto,  video e  disegni con i quali è è possibile sempre interagire, con la possibilità, per l’insegnante, di aggiungere ai contenuti presenti e proposti da Egaf propri materiali .  Ma  “Navigare Guida Sicura per le patenti nautiche”, nome dato al portale di Egaf, offre anche molto altro: grazie a un  “cruscotto di comando” gli insegnanti possono infatti  tenere tutto sotto controllo senza fatica semplicemente “salpando” nell’area Corsi dove l’applicazione consente al docente di organizzare e preparare ogni lezione, documentandosi sugli allievi inscritti o anche solo interessati  a partecipare alle lezioni. E con l’accesso diretto all’area Iter che consente di immergersi in un mare d’informazione e  formazione personale, per essere, in qualsiasi condizione di “navigazione”, il miglior comandante possibile, indicando agli allievi (anche grazie a  simulazioni d’esame o domande  sbagliate apposta) la miglior rotta per conseguire la patente.

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portale tutto diventa più facile, divertente…
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Per insegnare a navigare ci si può mettere al timone e spiegare agli allievi, saliti a bordo, ogni segreto per compiere le migliori manovre in navigazione. Oppure l’insegnante può tranquillamente stare seduto davanti a un computer e tenere la lezione facendo salire a bordo solo virtualmente gli aspiranti lupi di mare, ma mettendoli lo stesso in grado di provare l’esperienza di essere davvero su un’imbarcazione, facendoli “navigare ” in un mare di foto e video, slides e disegni.  Il tutto tenendo sotto controllo, come si addice a un “comandante” ogni situazione: dalla presenza a bordo  della lezione dell’intero “equipaggio” di iscritti al corso, alle materia da affrontare, al livello di apprendimento raggiunto. Tutto questo grazie a un  portale didattico e a un corso multimediale “varati”  da Egaf, (casa editrice diventata, con i propri manuali e prontuari,  un autentico faro nel mare della formazione in materia di  circolazione stradale e via mare, di motorizzazione e trasporti) per  consentire ai docenti chiamati a formare i nuovi navigatori di avere a portata di clic tutto quanto serve  per la formazione al conseguimento della patente nautica, e consentendo loro di trasmetterlo, sempre solcando il mare di Internet, ad allievi distanti decine, centinaia di chilometri. Sulla terraferma, magari distantissimi dal mare, ma “virtualmente” a bordo, con l’insegnante in cattedra al timone. Una nuova rotta nel mare della formazione di Egaf, tracciata dagli autori del corso, Giuseppe Semeraro e Franco Fiorin, e rivolto principalmente ai responsabili di  autoscuole e di enti di formazione, che  consente, tramite una semplice applicazione,  al docente di svolgere il corso agevolmente e con efficacia grazie a slides, foto, disegni e quiz, seguendo  la “scaletta” della pubblicazione in uso all’allievo, che consente di “riprendere” a casa le lezioni svolte in aula, oppure scegliendo, a proprio piacimento, un percorso alternativo, elaborando una propria scaletta di semplicissima esecuzione. E con la possibilità di compiere diverse “manovre” durante la lezione: per esempio, grazie al multimediale proiettato, sottolineando, con l’apposito evidenziatore, aspetti particolari del contenuto delle slides; oppure intervallando  l’esposizione con la proposizione di quiz: prima  della trattazione di ciascun argomento, per un breve quadro generale; o dopo  l’esposizione dell’insegnante, quale sintetico ripasso dell’argomento svolto. Senza dimenticare l’uso di  foto,  video e  disegni con i quali è è possibile sempre interagire, con la possibilità, per l’insegnante, di aggiungere ai contenuti presenti e proposti da Egaf propri materiali .  Ma  “Navigare Guida Sicura per le patenti nautiche”, nome dato al portale di Egaf, offre anche molto altro: grazie a un  “cruscotto di comando” gli insegnanti possono infatti  tenere tutto sotto controllo senza fatica semplicemente “salpando” nell’area Corsi dove l’applicazione consente al docente di organizzare e preparare ogni lezione, documentandosi sugli allievi inscritti o anche solo interessati  a partecipare alle lezioni. E con l’accesso diretto all’area Iter che consente di immergersi in un mare d’informazione e  formazione personale, per essere, in qualsiasi condizione di “navigazione”, il miglior comandante possibile, indicando agli allievi (anche grazie a  simulazioni d’esame o domande  sbagliate apposta) la miglior rotta per conseguire la patente.

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portale tutto diventa più facile, divertente…
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di pesce sarebbe davvero da… salami
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L’insaccato che non ti aspetti. Il titolo che compare sulla home page del sito di Offishina, salumeria ittica di Puglia, è difficile da confutare. Almeno per i molti che non conoscono l’esistenza dei salumi di mare. Fatti con filetti di tonno e pesce spada macinati, insaccati e stagionati. Esattamente come i salami di suino o di cinghiale, ma col miglior  pesce. Prodotti come il Pescatorino, nel quale oltre ai ritagli di  filetti di tonno e spada vengono aggiunti semi di finocchio selvatico, pepe nero e sale puro di miniera (da accompagnare con preparazione di finger food, formaggi freschi o primi piatti); o come il Pescatorino piccante, con l’aggiunta di peperoncino e finocchietto selvatico (da accompagnare con zuppe o primi piatti a base di legumi).  Prodotti che l’officina, trasforma, a dimostrazione di una grande fantasia creativa anche nella comunicazione, in offishina, dall’inglese fish, propone alla propria clientela insieme ad altre prelibatezze di mare che solo un autentico “salame” (questa volta nel senso di sciocco) potrebbe non gustare una volta scopertane l’esistenza: come il Thunnus, salume di pesce con filetto di tonno stagionato dal caratteristico colore bordeaux la cui stagionatura viene accompagnata dai profumi di alghe essiccate, erbe aromatiche e note marine; o come lo Spadino, salume di filetto di pesce spada stagionato dal gusto avvolgente e deciso, impreziosito dai profumi delle spezie della macchia mediterranea; o, ancora la pizzicata, paté di pesce spalmabile arricchito con pomodoro secco, peperoncino piccante e olio extravergine d’oliva. Prodotti straordinari proposti da un brand, Officina ittica srls, nato per produrre e commercializzare conserve della pesca trasformate con un metodo innovativo e inusuale. Una startup gastronomica ideata da Danilo Romano e dai suoi fratelli a Matino, un piccolo paese della provincia di Lecce, che, dopo un’esperienza quasi ventennale nella ristorazione hanno deciso di “svoltare” dando vita a una nuova gamma di prodotti. Salumi realizzati attraverso un percorso che parte dall’accurata scelta delle materie prime (pesce di alta qualità, conservanti naturali pregiati come il sale di miniera extra puro, spezie di macchia mediterranea naturali, olio extravergine d’oliva e mosto cotto d’uva) per arrivare alla più artigianale e lenta delle lavorazioni: basti pensare che per le conserve artigianali Offishina per la trasformazione del pesce da crudo a stagionato occorrono 1440 ore di lavoro continuo. Prelibatezze uniche e rare per le quali in alcuni casi sono state adottate le più antiche tecniche nordiche, prive di additivi chimici e capaci di conservare i principi nutritivi del pesce, che gli amanti degli insaccati di terra potranno scoprire acquistandoli on line navigando sul sito di Offishina  oltre che sul portale Laterradipuglia. Per approdare in un mare di sapori ma anche di salute visto che oltre alla concentrazione proteica, di Omega 3 e Omega 6, i prodotti, altamente digeribili, risultano a basso contenuto calorico (solo 200 circa per 100 grammi di prodotto) e sono inoltre ricchi di calcio, iodio, fosforo, potassio, selenio, fluoro, zinco, vitamine A e B.

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Eni, Rina e Fincantieri insieme per tracciare le rotte verso la decarbonizzazione in mare https://www.mareonline.it/eni-rina-e-fincantieri-insieme-per-tracciare-nuove-rotte-verso-la-decarbonizzazione-in-mare/ https://www.mareonline.it/eni-rina-e-fincantieri-insieme-per-tracciare-nuove-rotte-verso-la-decarbonizzazione-in-mare/#respond Mon, 25 Mar 2024 12:51:04 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52245 Quali sono le rotte da seguire per  trovare sempre più carburanti alternativi e più sostenibili per sostenere  il percorso di decarbonizzazione marittima,? Una domanda alla quale si preparano a dare una risposta i responsabili di Eni, azienda globale dell’energia, Fincantieri, uno dei principali complessi cantieristici al mondo, l’unico attivo in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia, e Rina, multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica, protagonisti di un accordo “varato” proprio per sviluppare iniziative congiunte per la transizione energetica, dando contemporaneamente vita anche a un  osservatorio permanente su scala globale in merito alle future evoluzioni tecnologiche, normative e di mercato. Un accordo, sottoscritto da Carlo Luzzatto, amministratore delegato e direttore generale di Rina, da Pierroberto Folgiero, amministratore delegato e direttore generale di Fincantieri e da Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution di Eni,  che prevede il coinvolgimento delle tre società “nel condurre un’analisi e valutazione completa delle alternative più sostenibili che possano supportare il percorso di decarbonizzazione marittima, basandosi anche sullo sviluppo di soluzioni complementari ai fuels già disponibili per altri settori hard to abate.” come sottolinea una  nota diffusa dal gruppo cantieristico precisando che tra gli ambiti di interesse della partnership c’è anche un’analisi del profilo infrastrutturale ed energetico di riferimento e dello sviluppo di nuove strutture logistiche, compresi gli investimenti che il comparto richiede. “La collaborazione con Fincantieri e Rina, due grandi player italiani, è un ulteriore tassello nel nostro percorso per la transizione e la decarbonizzazione del trasporto marittimo. Per rispondere agli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 è importante non solo gestire ciò che è contingente, ma anche agire in prospettiva nel medio-lungo termine, sviluppando partnership per creare soluzioni e prodotti più sostenibili. La capacità di fare networking tra i diversi attori, con il loro patrimonio di competenze e capacità tecnologiche, può dare un contributo importante per trovare soluzioni più efficaci per la strategia di decarbonizzazione del trasporto marittimo e per il soddisfacimento delle esigenze di armatori e operatori logistici, facendo leva sempre su un approccio olistico”, ha commentato Giuseppe Ricci, mentre  Pierroberto Folgiero  ha voluto porre l’attenzione sul fatto che questa nuova iniziativa “farà confluire le straordinarie competenze esistenti in Italia su nuove tecnologie, nuovi carburanti e le loro profonde implicazioni industriali nel sistema nave. Siamo molto contenti di unire le forze con Eni e Rina in una alleanza per dare concretezza alle soluzioni esistenti oggi e per tracciare la strada nel futuro con una ottica fattiva di ecosistema. Le nuove tecnologie, infatti, andranno industrializzate sulla nave, così come i nuovi combustibili andranno prodotti e distribuiti in banchina. Solo con un concetto di “innovazione cantierabile” potremmo condurre la nostra industria e proiettare la nostra leadership navalmeccanica nel futuro. Infine Carlo Luzzatto,  si è detto certo che la nuova  collaborazione “tanto più quando sono coinvolti player di calibro internazionale come Eni e Fincantieri, potrà far scaturire grandi opportunità grazie proprio alla  possibilità di mettere a fattor comune conoscenze ed esperienze, contribuendo allo studio di soluzioni più sostenibili a sostegno della filiera del trasporto marittimo. Rina”, ha... [Continua]

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Quali sono le rotte da seguire per  trovare sempre più carburanti alternativi e più sostenibili per sostenere  il percorso di decarbonizzazione marittima,? Una domanda alla quale si preparano a dare una risposta i responsabili di Eni, azienda globale dell’energia, Fincantieri, uno dei principali complessi cantieristici al mondo, l’unico attivo in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia, e Rina, multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica, protagonisti di un accordo “varato” proprio per sviluppare iniziative congiunte per la transizione energetica, dando contemporaneamente vita anche a un  osservatorio permanente su scala globale in merito alle future evoluzioni tecnologiche, normative e di mercato. Un accordo, sottoscritto da Carlo Luzzatto, amministratore delegato e direttore generale di Rina, da Pierroberto Folgiero, amministratore delegato e direttore generale di Fincantieri e da Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution di Eni,  che prevede il coinvolgimento delle tre società “nel condurre un’analisi e valutazione completa delle alternative più sostenibili che possano supportare il percorso di decarbonizzazione marittima, basandosi anche sullo sviluppo di soluzioni complementari ai fuels già disponibili per altri settori hard to abate.” come sottolinea una  nota diffusa dal gruppo cantieristico precisando che tra gli ambiti di interesse della partnership c’è anche un’analisi del profilo infrastrutturale ed energetico di riferimento e dello sviluppo di nuove strutture logistiche, compresi gli investimenti che il comparto richiede. “La collaborazione con Fincantieri e Rina, due grandi player italiani, è un ulteriore tassello nel nostro percorso per la transizione e la decarbonizzazione del trasporto marittimo. Per rispondere agli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 è importante non solo gestire ciò che è contingente, ma anche agire in prospettiva nel medio-lungo termine, sviluppando partnership per creare soluzioni e prodotti più sostenibili. La capacità di fare networking tra i diversi attori, con il loro patrimonio di competenze e capacità tecnologiche, può dare un contributo importante per trovare soluzioni più efficaci per la strategia di decarbonizzazione del trasporto marittimo e per il soddisfacimento delle esigenze di armatori e operatori logistici, facendo leva sempre su un approccio olistico”, ha commentato Giuseppe Ricci, mentre  Pierroberto Folgiero  ha voluto porre l’attenzione sul fatto che questa nuova iniziativa “farà confluire le straordinarie competenze esistenti in Italia su nuove tecnologie, nuovi carburanti e le loro profonde implicazioni industriali nel sistema nave. Siamo molto contenti di unire le forze con Eni e Rina in una alleanza per dare concretezza alle soluzioni esistenti oggi e per tracciare la strada nel futuro con una ottica fattiva di ecosistema. Le nuove tecnologie, infatti, andranno industrializzate sulla nave, così come i nuovi combustibili andranno prodotti e distribuiti in banchina. Solo con un concetto di “innovazione cantierabile” potremmo condurre la nostra industria e proiettare la nostra leadership navalmeccanica nel futuro. Infine Carlo Luzzatto,  si è detto certo che la nuova  collaborazione “tanto più quando sono coinvolti player di calibro internazionale come Eni e Fincantieri, potrà far scaturire grandi opportunità grazie proprio alla  possibilità di mettere a fattor comune conoscenze ed esperienze, contribuendo allo studio di soluzioni più sostenibili a sostegno della filiera del trasporto marittimo. Rina”, ha concluso  l’amministratore delegato della multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica, “mette a disposizione le sue competenze ingegneristiche e tecnologiche maturate nei diversi settori in cui opera per supportare lo shipping nel suo percorso verso una riduzione dell’impronta carbonica, senza precludere alcuna opzione energetica”.

 

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La nave nera riemersa dopo 4000 anni e subito riscomparsa negli abissi https://www.mareonline.it/la-nave-nera-riemersa-da-4000-anni-fa-per-scomparire-subito-negli-abissi/ https://www.mareonline.it/la-nave-nera-riemersa-da-4000-anni-fa-per-scomparire-subito-negli-abissi/#comments Mon, 25 Mar 2024 11:00:33 +0000 http://www.mareonline.it/?p=31839 Far rivivere il passato, riportare a navigare sulle onde del mare una barca di più di quattro millenni fa. A lanciare la  sfida, quasi impossibile, è stata la squadra di archeologi e studiosi che ha deciso di ricreare, sulla base di testimonianze scritte e di geroglifici, Magan, una nave dell’età del bronzo.  La storia di questa fantastica operazione comincia nel 1984, quando l’archeologo Maurizio Tosi, dell’Ismeo, l’istituto studi medio orientali, si trova a esplorare il territorio vergine del sultanato di Oman, regione della Penisola arabica, tra l’Africa e l’India, che si affaccia sull’oceano Indiano. Qui, l’archeologo scopre qualcosa di davvero unico: un frammento di coccio grande poco più di una decina di centimetri che riportava segni della scrittura protoindiana di Harappa e di Mohenjo Daro. Ciò significava che già nel 2.500 avanti Cristo  queste popolazioni erano capaci di solcare i mari e di compiere viaggi lunghissimi. Un coccio rivela: nel 2.500 avanti Cristo gli abitanti dell’Oman compivano traversate incredibili Ma com’erano queste imbarcazioni? E con una di queste barche oggi si potrebbe fare lo stesso viaggio? Queste le domande che risuonano nella mente dell’archeologo. E altri quesiti si aggiungono poco tempo dopo quando Tosi scopre, non lontano da quel primo fortunato scavo, resti che presentano segni delle impressioni di canne, di stuoie e di corde intrecciate, materiale che si usava e si usa tuttora per la costruzione di capanne. E insieme vengono anche trovati residui di particolari microrganismi che solitamente aggrediscono le chiglie delle imbarcazioni. Tosi non ha dubbi: è sulle tracce dell’antica imbarcazione. È da qui che prende le mosse il progetto “La nave di Magan (dall’antico nome del Sultanato di Oman). Tosi, insieme al Dipartimento di archeologia dell’università di Bologna e l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma e il ministero del Patrimonio e della Cultura dell’Oman comincia la sfida: riportare alla luce qualcosa che viene raffigurato su sigilli, piastre calcaree e dipinti murali. Un testo sumero conservato al Louvre svela quali materiali usare per costruire la nave… Oltre a queste immagini, però, la squadra di archeologi può contare anche su un testo sumero del 2.000 avanti Cristo, conservato al Louvre, in cui sono elencati i materiali necessari per costruire una delle “navi nere di Magan”: bitume, legno di palma, diversi tipi di canne e corde. Gli ingredienti ci sono, ma manca il “cuoco”. Tosi lo incontra solo nel 1995: si tratta dello skipper, carpentiere e storico della navigazione americano Tom Vosmer. Ora sì che il progetto può passare dalla carta alla pratica. Dal principio viene realizzato un modello tridimensionale, a cui segue una replica in scala 1:20. Poi, viene costruito un altro modello in scala 1:3, di circa 5 metri di lunghezza in cui sono utilizzati e testati i materiali locali e sperimentate le tecniche costruttive. La fase successiva è la realizzazione della copia in scala originale. Attraverso l’utilizzo di un software e l’analisi dei dati a disposizione, tra cui le fonti sumeriche che attestavano chiaramente l’esistenza delle nere navi di Magan viene stabilito che la nave,... [Continua]

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e subito riscomparsa negli abissi
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Far rivivere il passato, riportare a navigare sulle onde del mare una barca di più di quattro millenni fa. A lanciare la  sfida, quasi impossibile, è stata la squadra di archeologi e studiosi che ha deciso di ricreare, sulla base di testimonianze scritte e di geroglifici, Magan, una nave dell’età del bronzo.  La storia di questa fantastica operazione comincia nel 1984, quando l’archeologo Maurizio Tosi, dell’Ismeo, l’istituto studi medio orientali, si trova a esplorare il territorio vergine del sultanato di Oman, regione della Penisola arabica, tra l’Africa e l’India, che si affaccia sull’oceano Indiano. Qui, l’archeologo scopre qualcosa di davvero unico: un frammento di coccio grande poco più di una decina di centimetri che riportava segni della scrittura protoindiana di Harappa e di Mohenjo Daro. Ciò significava che già nel 2.500 avanti Cristo  queste popolazioni erano capaci di solcare i mari e di compiere viaggi lunghissimi.

Un coccio rivela: nel 2.500 avanti Cristo gli abitanti dell’Oman compivano traversate incredibili

Ma com’erano queste imbarcazioni? E con una di queste barche oggi si potrebbe fare lo stesso viaggio? Queste le domande che risuonano nella mente dell’archeologo. E altri quesiti si aggiungono poco tempo dopo quando Tosi scopre, non lontano da quel primo fortunato scavo, resti che presentano segni delle impressioni di canne, di stuoie e di corde intrecciate, materiale che si usava e si usa tuttora per la costruzione di capanne. E insieme vengono anche trovati residui di particolari microrganismi che solitamente aggrediscono le chiglie delle imbarcazioni. Tosi non ha dubbi: è sulle tracce dell’antica imbarcazione. È da qui che prende le mosse il progetto “La nave di Magan (dall’antico nome del Sultanato di Oman). Tosi, insieme al Dipartimento di archeologia dell’università di Bologna e l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma e il ministero del Patrimonio e della Cultura dell’Oman comincia la sfida: riportare alla luce qualcosa che viene raffigurato su sigilli, piastre calcaree e dipinti murali.

Un testo sumero conservato al Louvre svela quali materiali usare per costruire la nave…

Oltre a queste immagini, però, la squadra di archeologi può contare anche su un testo sumero del 2.000 avanti Cristo, conservato al Louvre, in cui sono elencati i materiali necessari per costruire una delle “navi nere di Magan”: bitume, legno di palma, diversi tipi di canne e corde. Gli ingredienti ci sono, ma manca il “cuoco”. Tosi lo incontra solo nel 1995: si tratta dello skipper, carpentiere e storico della navigazione americano Tom Vosmer. Ora sì che il progetto può passare dalla carta alla pratica. Dal principio viene realizzato un modello tridimensionale, a cui segue una replica in scala 1:20. Poi, viene costruito un altro modello in scala 1:3, di circa 5 metri di lunghezza in cui sono utilizzati e testati i materiali locali e sperimentate le tecniche costruttive. La fase successiva è la realizzazione della copia in scala originale. Attraverso l’utilizzo di un software e l’analisi dei dati a disposizione, tra cui le fonti sumeriche che attestavano chiaramente l’esistenza delle nere navi di Magan viene stabilito che la nave, per affrontare la navigazione oceanica che le permetteva di raggiungere le coste nord occidentali dell’India, dovesse avere una lunghezza complessiva di 13,15 metri; una larghezza di 3,5-4 metri e un’altezza di tre metri escluse le punte di prua e di poppa, e naturalmente una forma a mezzaluna. E’ il marzo 2005: come base dei lavori viene scelta un’area dei vecchi cantieri navali della città di Sur (Sultanato dell’Oman).

… canne palustri, corde di fibre di palma di dattero e di lana di capra, bitume,  tronchi di pino…

La squadra ha sei mesi di tempo per rimettere insieme l’antica imbarcazione. Per costruire Magan occorrono 10 tonnellate di canne palustri, 30 chilometri di corde di fibre di palma di dattero e di lana di capra, due tonnellate di bitume, due tronchi di pino, lana di capra e pelle di capra e di mucca. La prima fase del processo di costruzione prevede la pulitura delle canne e l’assemblaggio dello scafo. Una volta raccolte le 10 tonnellate di canne, infatti, sono state divise in fasci da 25-30 chilogrammi, pulite dalle foglie e lasciate essiccare al sole per evitare il processo di decomposizione. Terminata l’essiccazione, le canne sono state legate con corde di fibra di palma e dattero in fasci da 10 centimetri di diametro per una lunghezza di 16 metri. Lo scafo è composto da 50 fasci legati trasversalmente a 40 ordinate di canne per una lunghezza di 12 metri, una larghezza di quattro e un’altezza di tre. Lo scafo è costruito su una speciale struttura di legno composta di pannelli che ne rappresentano il profilo esatto generato al computer. Lungo i bordi dell’imbarcazione, inoltre, viene applicata pelle conciata di mucca, per fornire una superficie liscia su cui camminare, senza danneggiare le parti in canne e lo strato di bitume. Questa prima fase del processo costruttivo (pulitura canne e assemblaggio dello scafo) richiede due mesi di lavoro e 25 operai di nazionalità diverse (omaniti, indiani, bangladeshi). La fase successiva è quella di realizzare delle parti in legno, bagli trasversali, alcune ordinate a prua, altre a poppa, timone e albero. I bagli servono per rafforzare la struttura della nave e prevenire eventuali torsioni. Il timone è composto da due remi fissati a poppa che funzionano in parallelo. L’albero, alto circa otto metri, è bipede e ruota attorno al baglio centrale su appositi supporti in modo da poterlo abbassare e alzare secondo le esigenze della navigazione. La vela, fatta di lana, è di forma quadrata. Le ultime fasi del processo di costruzione sono, nell’ordine, la cucitura delle stuoie e l’applicazione dello strato di bitume. Per la stesura del bitume vengono fatti venire appositamente dall’Iraq, dove questa tecnica è ancora usata, due artigiani. La difficoltà di maneggiare il bitume è che passa dallo stato solido a quello liquido in modo rapidissimo. Il bitume aderisce molto bene alle canne e forma uno strato molto spesso conservando, comunque, una straordinaria flessibilità. Inoltre, il bitume non è soggetto a problemi dovuti a sbalzi di temperatura, ma si mantiene costantemente compatto e resistente, anche alle alte temperature. Tutto il lavoro si basa su studi iconografici, su valutazioni tecniche, come lo studio dell’idrodinamicità e della resistenza dei materiali alla pressione dell’acqua.

11 luglio 2005: lo storico varo si trasforma in uno storico flop:  Magan imbarca subito acqua

La clessidra si sta esaurendo: i sei mesi sono terminati e Tosi e la sua squadra multietnica non hanno più tempo. Così l’11 luglio 2005 nella laguna di Sur procedono al varo di Magan. È mattina, la luce del sole forte, il mare piatto, sembra che tutto vada bene, dalla terra Magan è stata restituita all’acqua. Ma dopo pochi minuti, nemmeno il tempo di ammirare quel miraggio della storia, la barca comincia a imbarcare acqua. In alcuni punti il bitume cede, si è crepato. La squadra di Tosi non si demoralizza: nel mese successivo provvede a tutte le riparazioni rendendo lo strato di bitume più spesso e solido di prima.

Il bitume ha ceduto e si è crepato: occorre rinforzarlo prima di fare un nuovo tentativo

L’alba di una nuova prova è arrivata. La mattina del 7 settembre, dopo una tradizionale cerimonia amanita, l’equipaggio è pronto per imbarcarsi sulla nave nera e compiere un itinerario marino vecchio di quattromila anni, che lo porterà dalle coste arabe a quelle indiane. Il viaggio  comincia, l’equipaggio assapora l’emozione, la magia del momento. Arriva il pomeriggio e tutto va bene, Magan solca le onde del mare puntando verso il porto di Mandvi. Tempo di navigazione previsto: 14 giorni. La fatica e il duro lavoro di 20 anni veniva ripagato. Il sole tramonta, la stanchezza comincia a farsi sentire, forse si sente stanca anche Magan che porta con sé una storia così antica.

Il secondo tentativo è catastrofico: Magan cola a picco e scompare a 1500 metri di profondità

In piena notte, infatti, Magan si inabissa. Ha percorso 10 miglia quando la nave militare amanita che la scorta riceve un segnale di Sos. A bordo della Fulk-as-Salamah, il padre della missione, Tosi, fa appena in tempo a scorgere la sua creatura che scompare in mare: Magan torna nel mistero da cui è stata tratta. Ora l’imbarcazione giace a 1.500 metri di profondità a largo di Ras al-Hadd. Giorni dopo Tosi si tormenta ancora chiedendosi cosa hanno sbagliato. La risposta è da cercarsi nel calafataggio, la fase più delicata dell’operazione.

Ma esiste ancora un esemplare: il primo prototipo dell’imbarcazione costruito a Ravenna

Ma questa storia non finisce così, con l’immagine di una nave che si inabissa, con una sconfitta sulle spalle. Infatti, Magan ha una sorella,  il primo prototipo dell’imbarcazione costruito a Ravenna. Ecco la vittoria di Tosi e della sua squadra: aver regalato una tessera in più a quel grande e misterioso mosaico che è la storia del nostro passato.

Testo di Sonia Minchillo pubblicato sul numero 41 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

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Secur Pneus, gonfiare i gommoni con gas anziche aria fa navigare in un mare di vantaggi https://www.mareonline.it/secur-pneus-gonfiare-i-gommoni-con-gas-anziche-aria-fa-navigare-in-un-mare-di-vantaggi/ https://www.mareonline.it/secur-pneus-gonfiare-i-gommoni-con-gas-anziche-aria-fa-navigare-in-un-mare-di-vantaggi/#respond Mon, 25 Mar 2024 10:55:00 +0000 https://www.mareonline.it/?p=50897 Sulla terraferma sono sempre più gli automobilisti (ma anche motociclisti e, soprattutto, i titolari di diverse imprese di autotrasporto) che hanno scelto di utilizzarla, dopo aver scoperto che quella miscela di gas tecnici a base di azoto, utilizzata al posto dell’aria per gonfiare gli pneumatici, può  ridurre il rischio di cali di pressione (destinati a tradursi automaticamente in una maggior usura del battistrada, in un maggior consumo di carburante ma anche in una possibile minor tenuta di strada) oltre che il rischio di scoppio degli pneumatici, considerato che l’azoto non genera combustione come l’ossigeno presente nell’aria compressa, impedendo che un surriscaldamento possa innescare proprio un’esplosione. Ma la nuova frontiera aperta da Siad, azienda italiana leader nel mondo per la produzione di gas industriali e sanitari, per il gonfiaggio di tutto quanto è pneumatico (a partire dalle ruote degli aerei a quelle delle auto di Formula 1 che da anni ormai utilizzano la miscela di gas tecnici al posto dell’aria) ora è pronta ad aprire nuove rotte anche sull’acqua, per un mare di navigatori che le onde amano  cavalcarle” in gommone. Con il progetto Securpneus pronto a “salire a bordo” (entrando direttamente nei tubolari) anche dei battelli pneumatici, con l’obiettivo di assicurare anche sull’acqua tutti i vantaggi offerti sulla terraferma riducendo ai minimi termini, o addirittura cancellando completamente, i potenziali pericoli sempre presenti invece su gommoni gonfiati “normalmente” con aria. Un valore aggiunto che assume contorni particolari se si pensa alle conseguenze che potrebbe avere uno scoppio in mezzo al mare, magari a chilometri dalla costa, magari con a bordo bambini, persone anziane o non capaci di nuotare. Senza dimenticare un altro “plus” al quale in molti stano guardando con attenzione: il minor consumo della “struttura “ del gommone assicurato dalla miscela di gas. Perché, come spiega Mattia Zoccoli, ingegnere, uno dei componenti della squadra di tecnici che Siad ha fatto sedere alla guida del progetto Securpneus, “l’azoto è di per sé una molecola inerte, che non reagisce o ossida, che non permea attraverso la gomma e con una più limitata variazione di volume al variare della temperatura rispetto all’aria, permettendo così di avere un gonfiaggio preciso al modificarsi delle temperature e che non “mangi” il gommone dall’interno. Un fattore non indifferente, considerato il già impattante effetto “esterno” del sole e dell’acqua salata”. Una scelta destinata ad allungare la vita del gommone, come hanno confermato  i test effettuati da costruttori qualificati e utilizzatori professionali, ottenendo  risultati. assolutamente positivi in termini di miglioramento del  mantenimento della pressione, di eliminazione delle muffe edeg li odori delle camere d’aria  e, soprattutto di prevenzione del  deterioramento e protezione del le valvole dal sale, regalandosi un mare di escursioni in più. Migliorando anche, proprio grazie alla pressione di gonfiaggio costante , le performances in termini di stabilità piuttosto che velocità di navigazione e  di consumi. Info: 348 8190811

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anziche aria fa navigare in un mare di vantaggi
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Sulla terraferma sono sempre più gli automobilisti (ma anche motociclisti e, soprattutto, i titolari di diverse imprese di autotrasporto) che hanno scelto di utilizzarla, dopo aver scoperto che quella miscela di gas tecnici a base di azoto, utilizzata al posto dell’aria per gonfiare gli pneumatici, può  ridurre il rischio di cali di pressione (destinati a tradursi automaticamente in una maggior usura del battistrada, in un maggior consumo di carburante ma anche in una possibile minor tenuta di strada) oltre che il rischio di scoppio degli pneumatici, considerato che l’azoto non genera combustione come l’ossigeno presente nell’aria compressa, impedendo che un surriscaldamento possa innescare proprio un’esplosione. Ma la nuova frontiera aperta da Siad, azienda italiana leader nel mondo per la produzione di gas industriali e sanitari, per il gonfiaggio di tutto quanto è pneumatico (a partire dalle ruote degli aerei a quelle delle auto di Formula 1 che da anni ormai utilizzano la miscela di gas tecnici al posto dell’aria) ora è pronta ad aprire nuove rotte anche sull’acqua, per un mare di navigatori che le onde amano  cavalcarle” in gommone. Con il progetto Securpneus pronto a “salire a bordo” (entrando direttamente nei tubolari) anche dei battelli pneumatici, con l’obiettivo di assicurare anche sull’acqua tutti i vantaggi offerti sulla terraferma riducendo ai minimi termini, o addirittura cancellando completamente, i potenziali pericoli sempre presenti invece su gommoni gonfiati “normalmente” con aria. Un valore aggiunto che assume contorni particolari se si pensa alle conseguenze che potrebbe avere uno scoppio in mezzo al mare, magari a chilometri dalla costa, magari con a bordo bambini, persone anziane o non capaci di nuotare. Senza dimenticare un altro “plus” al quale in molti stano guardando con attenzione: il minor consumo della “struttura “ del gommone assicurato dalla miscela di gas. Perché, come spiega Mattia Zoccoli, ingegnere, uno dei componenti della squadra di tecnici che Siad ha fatto sedere alla guida del progetto Securpneus, “l’azoto è di per sé una molecola inerte, che non reagisce o ossida, che non permea attraverso la gomma e con una più limitata variazione di volume al variare della temperatura rispetto all’aria, permettendo così di avere un gonfiaggio preciso al modificarsi delle temperature e che non “mangi” il gommone dall’interno. Un fattore non indifferente, considerato il già impattante effetto “esterno” del sole e dell’acqua salata”. Una scelta destinata ad allungare la vita del gommone, come hanno confermato  i test effettuati da costruttori qualificati e utilizzatori professionali, ottenendo  risultati. assolutamente positivi in termini di miglioramento del  mantenimento della pressione, di eliminazione delle muffe edeg li odori delle camere d’aria  e, soprattutto di prevenzione del  deterioramento e protezione del le valvole dal sale, regalandosi un mare di escursioni in più. Migliorando anche, proprio grazie alla pressione di gonfiaggio costante , le performances in termini di stabilità piuttosto che velocità di navigazione e  di consumi. Info: 348 8190811

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Abissi, le “bollicine” che emergono dalla cantina a 60 metri di profondità https://www.mareonline.it/abissi-le-bollicine-che-acquistano-un-mare-di-aromi-in-una-cantina-a-60-metri-di-profondita/ https://www.mareonline.it/abissi-le-bollicine-che-acquistano-un-mare-di-aromi-in-una-cantina-a-60-metri-di-profondita/#comments Mon, 25 Mar 2024 10:20:39 +0000 http://www.mareonline.it/?p=31244 C’è una straordinaria cantina negli abissi del Mar Ligure dalla quale emerge un mare di bollicine assolutamente unico per un brindisi dedicato al mare, alle prossime navigazioni, o, perché no, alle future immersioni. La “cantina” è quella che  Piero Lugano, viticultore per vocazione, ha “aperto” pochi anni fa nei fondali della riserva marina del Parco di Portofino, dopo aver sognato per anni di fare un suo spumante. Un sogno rimasto per anni irrealizzato perché non riusciva a trovare la cantina adatta. Poi, un giorno, l’idea, solo apparentemente assurda: aprire una cantina sott’acqua. “A 60 metri di profondità, per la precisione, dove non c’è escursione termica, dove la temperatura resta costante a 15 gradi, la pressione è intorno ai 7 bar, l’effetto culla prodotto da mareggiate e correnti assicura alle bottiglie il necessario movimento, la penombra è ottimale e, soprattutto, l’assenza di ossigeno evita i rischi di ossidazione”, aveva spiegato pochi anni fa Piero Lugano presentando la sua iniziativa. La corrente sott’acqua crea un effetto culla che assicura alle bottiglie il necessario movimento Aggiungendo che l’idea gli era venuta “semplicemente ripensando a quante volte erano state trovate a bordo di relitti di navi greche o romane anfore che ancora contenevano vino”. Il risultato di questa intuizione è Abissi, un “bollicine” dai profumi floreali intensi, sapido al palato e con una spiccata acidità, con sentori dolci di frutta bianca che lasciano il posto a note minerali prolungate. La bottiglia è bellissima, ancora avvolta da alghe e incrostazioni… Uno spumante dal perlage appena avvertibile, custodito in una bottiglia che una volta “ripescata” viene avvolta, così com’è, ricoperta di alghe e incrostazioni, in una pellicola trasparente che ne fa la soluzione perfetta per un brindisi al mare. Assaporando uno  spumante fatto secondo le regole dello Champagne, salvo un particolare: la rifermentazione in bottiglia è avvenuta su un fondale marino e il remuage, la ripetuta rotazione delle bottiglie normalmente adagiate sulle pupitres, non viene compiuta né dalla mano dell’uomo né da una macchina, ma è affidata all’oscillazione impressa dalle correnti marine. Le prime 6500 bottiglie sono state adagiate sui fondali dai sommozzatori nel 2009… Un vino prodotto con uve di Bianchetta, varietà autoctona della Liguria, e in parte di Vermentino al posto di tipologie ben più collaudate quali Chardonnay o Pinot, che un gruppo di sommozzatori professionisti hanno portato “in cantina”, per la prima volta, nel maggio 2009, calando 12 grandi gabbie,  contenenti complessivamente 6.500 bottiglie, sul fondale a 60 metri di profondità in località Cala degli Inglesi, una baia incontaminata fra Portofino e la Cala dell’Oro. … e sono state “ripescate” 13 mesi dopo per completare il metodo classico Lì sono rimaste per 13 mesi fino a quando, il 30 giugno 2010, è stata recuperata la prima gabbia e poi, via via le altre per proseguire con le successive operazioni previste dal metodo classico nella cantina del ristorante La Brinca di Né in Val Graveglia (Chiavari). Lo spumante è un pas dosé. “Non ho aggiunto la liqueur d’expedition perché ho voluto che lo spumante... [Continua]

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dalla cantina a 60 metri di profondità
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C’è una straordinaria cantina negli abissi del Mar Ligure dalla quale emerge un mare di bollicine assolutamente unico per un brindisi dedicato al mare, alle prossime navigazioni, o, perché no, alle future immersioni. La “cantina” è quella che  Piero Lugano, viticultore per vocazione, ha “aperto” pochi anni fa nei fondali della riserva marina del Parco di Portofino, dopo aver sognato per anni di fare un suo spumante. Un sogno rimasto per anni irrealizzato perché non riusciva a trovare la cantina adatta. Poi, un giorno, l’idea, solo apparentemente assurda: aprire una cantina sott’acqua. “A 60 metri di profondità, per la precisione, dove non c’è escursione termica, dove la temperatura resta costante a 15 gradi, la pressione è intorno ai 7 bar, l’effetto culla prodotto da mareggiate e correnti assicura alle bottiglie il necessario movimento, la penombra è ottimale e, soprattutto, l’assenza di ossigeno evita i rischi di ossidazione”, aveva spiegato pochi anni fa Piero Lugano presentando la sua iniziativa.

La corrente sott’acqua crea un effetto culla che assicura alle bottiglie il necessario movimento

Aggiungendo che l’idea gli era venuta “semplicemente ripensando a quante volte erano state trovate a bordo di relitti di navi greche o romane anfore che ancora contenevano vino”. Il risultato di questa intuizione è Abissi, un “bollicine” dai profumi floreali intensi, sapido al palato e con una spiccata acidità, con sentori dolci di frutta bianca che lasciano il posto a note minerali prolungate.

La bottiglia è bellissima, ancora avvolta da alghe e incrostazioni…

Uno spumante dal perlage appena avvertibile, custodito in una bottiglia che una volta “ripescata” viene avvolta, così com’è, ricoperta di alghe e incrostazioni, in una pellicola trasparente che ne fa la soluzione perfetta per un brindisi al mare. Assaporando uno  spumante fatto secondo le regole dello Champagne, salvo un particolare: la rifermentazione in bottiglia è avvenuta su un fondale marino e il remuage, la ripetuta rotazione delle bottiglie normalmente adagiate sulle pupitres, non viene compiuta né dalla mano dell’uomo né da una macchina, ma è affidata all’oscillazione impressa dalle correnti marine.

Le prime 6500 bottiglie sono state adagiate sui fondali dai sommozzatori nel 2009…

Un vino prodotto con uve di Bianchetta, varietà autoctona della Liguria, e in parte di Vermentino al posto di tipologie ben più collaudate quali Chardonnay o Pinot, che un gruppo di sommozzatori professionisti hanno portato “in cantina”, per la prima volta, nel maggio 2009, calando 12 grandi gabbie,  contenenti complessivamente 6.500 bottiglie, sul fondale a 60 metri di profondità in località Cala degli Inglesi, una baia incontaminata fra Portofino e la Cala dell’Oro.

… e sono state “ripescate” 13 mesi dopo per completare il metodo classico

Lì sono rimaste per 13 mesi fino a quando, il 30 giugno 2010, è stata recuperata la prima gabbia e poi, via via le altre per proseguire con le successive operazioni previste dal metodo classico nella cantina del ristorante La Brinca di Né in Val Graveglia (Chiavari). Lo spumante è un pas dosé. “Non ho aggiunto la liqueur d’expedition perché ho voluto che lo spumante restasse il più possibile naturale, che fosse l’espressione del terroir ligure. Ho preferito mettere a nudo qualità e difetti”, ha commentato Piero Lugano assaggiando , emozionatissimo, il primo flute di Abissi, lo spumante che riserva davvero un mare di sorprese…

Testo realizzato da Baskerville srl per mareonline

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Gianni Risso, il giornalista fotografo nelle cui vene scorre acqua di mare https://www.mareonline.it/gianni-risso-il-giornalista-fotografo-nelle-cui-vene-scorre-acqua-di-mare/ https://www.mareonline.it/gianni-risso-il-giornalista-fotografo-nelle-cui-vene-scorre-acqua-di-mare/#respond Mon, 25 Mar 2024 10:18:01 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52080 “Sono diventato giornalista-pubblicista nel 1972, con lo scopo preciso di scrivere di attività subacquee, quando i media si occupavano di subacquea solo per eventi di cronaca nera. Da allora ho scritto più di 6000 articoli, quasi tutti conservati gelosamente nel mio archivio, e sono state pubblicate più di cento mie foto in copertina su riviste di tutto il mondo”. Inizia così il “racconto” della vita in mare di Gianni Risso, giornalista e fotografo e indiscussa memoria storica della subacquea italiana, “nato l’8 marzo 1941 a Bogliasco in provincia di Genova, segno zodiacale pesci”, come aggiunge immediatamente, quasi a sottolineare che il suo destino sott’acqua fosse stato scritto già al momento del parto. E questo nonostante a un certo punto della sua infanzia la sua vista sembrava aver preso tutt’altra direzione: sempre circondato dall’azzurro, certo, ma questa volta del cielo e non del mare. L’azzurro del cielo lo affascinava, quello del mare l’ha stregato Già, perché in quegli anni la sua più grande passione “era l’aeromodellismo” che non si limitava alla costruzione di velovoli militari e civili in scala, ma era “volata altissima” fino a portarlo a “ costruire razzi., fondando addirittura un Centro sperimentale razzi di Bogliasco che, “dopo tanti fallimenti”, con fessa “ci vide riuscire a lanciare l’Airstrip, un razzo in acciaio alto più di due metri che raggiunse la quota di 2000 metri. Ero già riuscito perfino a trovare uno sponsor, Crema Nivea, che pubblicò un articolo di quattro pagine sulla nostra piccola impresa sul proprio magazine, o meglio la propria rivista come si diceva allora”. Una passione per l’altezza del cielo destinata però a cambiare presto rotta, guidandolo agli antipodi, nelle profondità del mare. “Il mio ingresso nel mondo sommerso risale alla notte dei tempi”, racconta Gianni Risso, con i capelli scompigliati dal vento, suo “marchio di fabbrica”. Paride, il Migliore maestro per le prime escursioni… “Era il 1961 e conobbi un ragazzo siciliano, Paride Migliore, che viveva a Bogliasco e passava tutto il tempo libero a far pesca subacquea. Un giorno fra una chiacchiera e l’altra mi chiese se volevo fargli da barcaiolo per le sue battute di pesca, che erano sempre fruttuose e io istintivamente accettai subito. Mi bastarono due uscite con la lancetta per farmi venir voglia di provare con lui che mi accompagnò alla scoperta della caccia subacquea. Dal lancio di razzi passai al lancio delle aste. Comprai un Saetta a molla della Cressi e da quel momento la mia unica e avvincente passione divenne la caccia subacquea. Mi divertivo veramente, anche se non prendevo grossi pesci, esploravo e scoprivo le bellezze dei fondali antistanti Bogliasco. Il mio regno delle battute di pesca era la piccola baia della Ligia, al confine fra Bogliasco e Capolungo. … prime di andare a  lezione dal “professor Puny Marsano” Il rais della caccia subacquea in zona era “Puny” Marsano. Ogni mattina prima di iniziare la battuta raccoglieva le ordinazioni di pesce dalle bagnanti e rientrava dopo 3 o 4 ore con non meno dell’80 per cento di... [Continua]

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nelle cui vene scorre acqua di mare
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“Sono diventato giornalista-pubblicista nel 1972, con lo scopo preciso di scrivere di attività subacquee, quando i media si occupavano di subacquea solo per eventi di cronaca nera. Da allora ho scritto più di 6000 articoli, quasi tutti conservati gelosamente nel mio archivio, e sono state pubblicate più di cento mie foto in copertina su riviste di tutto il mondo”. Inizia così il “racconto” della vita in mare di Gianni Risso, giornalista e fotografo e indiscussa memoria storica della subacquea italiana, “nato l’8 marzo 1941 a Bogliasco in provincia di Genova, segno zodiacale pesci”, come aggiunge immediatamente, quasi a sottolineare che il suo destino sott’acqua fosse stato scritto già al momento del parto.

E questo nonostante a un certo punto della sua infanzia la sua vista sembrava aver preso tutt’altra direzione: sempre circondato dall’azzurro, certo, ma questa volta del cielo e non del mare.

L’azzurro del cielo lo affascinava, quello del mare l’ha stregato

Già, perché in quegli anni la sua più grande passione “era l’aeromodellismo” che non si limitava alla costruzione di velovoli militari e civili in scala, ma era “volata altissima” fino a portarlo a “ costruire razzi., fondando addirittura un Centro sperimentale razzi di Bogliasco che, “dopo tanti fallimenti”, con fessa “ci vide riuscire a lanciare l’Airstrip, un razzo in acciaio alto più di due metri che raggiunse la quota di 2000 metri. Ero già riuscito perfino a trovare uno sponsor, Crema Nivea, che pubblicò un articolo di quattro pagine sulla nostra piccola impresa sul proprio magazine, o meglio la propria rivista come si diceva allora”. Una passione per l’altezza del cielo destinata però a cambiare presto rotta, guidandolo agli antipodi, nelle profondità del mare. “Il mio ingresso nel mondo sommerso risale alla notte dei tempi”, racconta Gianni Risso, con i capelli scompigliati dal vento, suo “marchio di fabbrica”.

Paride, il Migliore maestro per le prime escursioni…

“Era il 1961 e conobbi un ragazzo siciliano, Paride Migliore, che viveva a Bogliasco e passava tutto il tempo libero a far pesca subacquea. Un giorno fra una chiacchiera e l’altra mi chiese se volevo fargli da barcaiolo per le sue battute di pesca, che erano sempre fruttuose e io istintivamente accettai subito. Mi bastarono due uscite con la lancetta per farmi venir voglia di provare con lui che mi accompagnò alla scoperta della caccia subacquea. Dal lancio di razzi passai al lancio delle aste. Comprai un Saetta a molla della Cressi e da quel momento la mia unica e avvincente passione divenne la caccia subacquea. Mi divertivo veramente, anche se non prendevo grossi pesci, esploravo e scoprivo le bellezze dei fondali antistanti Bogliasco. Il mio regno delle battute di pesca era la piccola baia della Ligia, al confine fra Bogliasco e Capolungo.

… prime di andare a  lezione dal “professor Puny Marsano”

Il rais della caccia subacquea in zona era “Puny” Marsano. Ogni mattina prima di iniziare la battuta raccoglieva le ordinazioni di pesce dalle bagnanti e rientrava dopo 3 o 4 ore con non meno dell’80 per cento di quello che gli avevano chiesto. Quando Paride lavorava, lui mi consentiva di seguirlo e pian piano imparavo le sue tecniche e scoprivo le sue tane. Un bel giorno del 1962”, prosegue Gianni Risso“, io, Paride e Punny prendemmo una decisione destinata a segnare le nostre vite: fare agonismo. Ci iscrivemmo alla gloriosa U.S.S. di Genova e partecipammo con risultati discreti alle prime gare selettive di Levanto e Portovenere. Ma un socio del club di Genova non praticava l’agonismo in modo decoubertiniano, come piaceva a noi, e senza indugi nel marzo del 1963 fondammo il CI CA SUB Mares di Bogliasco, club che ho presieduto ininterrottamente fino al 2022 quando mi sono dimesso e mi sono iscritto al Club Sub Sestri Levante dove ho ritrovato stimoli, passione e divertimento.

Nelle prime gare agonistiche indossava la muta da… Arlecchino

Ricordo che andai da Ludovico Mares per chiedergli di sponsorizzare il nascente club: mi accolse molto cordialmente ma mi disse subito che per il primo anno niente soldi ma solo ritagli di neoprene per farsi delle mute… arlecchino. Accettai e dal secondo anno, grazie ai risultati conseguiti, contribuì alle spese per le gare e per molti anni i nostri soci ottennero risultati eclatanti per Mares e noi. Nel 1971 Ludovico Mares fu testimone al mio matrimonio con Ilva e nel 1981 il direttore generale Carlo Alberto Bertozzi fu il padrino alla cresima di mio figlio Iskandar”. Gianni Risso dà uno sguardo all’orizzonte sul mare e si accorge di aver raggiunto un approdo lontano saltando alcune tappe….”Torniamo al 1964: ad appena un anno dalla fondazione del club, ed essendo molto attratto dall’agonismo, mi lanciai nella difficile impresa di organizzare una gara nazionale selettiva di pesca subacquea: la prima edizione della Coppa Golfo Paradiso.

Il concorrente capace di scalare i gradini del podio….

Fu subito un grande successo. Tanti partecipanti, molti pesci e una montagna di premi. Da allora la gara è diventata una di quelle con più edizioni disputate: quasi 50 e detiene il record assoluto del maggior numero di concorrenti: 132 con la bellezza di 60 imbarcazioni appoggio (c’era la formula di due sub per barca). E non solo: riuscii a farla elevare dalla Fips a competizione internazionale con la partecipazione di nomi importanti, come quelli dei fratelli Balenovic, atleti francesi e di Monaco. E di primissimo piano è anche l’elenco dei campioni che hanno vinto la gara: Mario Catalani, già campione mondiale, Antonio Toschi, Donato Gerbino, Mimmi Matteucci, Puny Marsano, Attilio Gaida, Roberto Prister, Giorgio Dapiran, Aldo Capurro, Roberto Scerbo, Silvano Agostini, Paolo Cappucciati e Nicola Smeraldi. Anche il numero di partecipanti è da Guinness: nel 1964, prima edizione già 75 saliti nel 1965 a quota 90 iscritti. Nel 1966 128; nel 1967 79; nel 1968 100. Le società iscritte erano spesso più di 20 e provenivano da Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Jugoslavia, Monaco e Francia”.  La memoria di Gianni Risso, nonostante l’età non più verdissima, è come un gigantesco acquario nel quale basta immergere un amo per pescare un mate ri ricordi…. “Oltre a organizzare, appena possibile partecipavo anche alle competizioni e nel 1976 ho vinto il 4° Trofeo Penisola di Sestri Levante battendo rivali del calibro di Azzali, Marcich, Dapiran, Scerbo. Nel Trofeo Le Grazie di Portovenere, una delle gare selettive più impegnative e belle in assoluto (era la mia preferita) ho dovuto invece accontentarmi di un 2° posto nel 1975 e un 3° nel 1976 quando Carlo Morosini della Elios finì 7°. Sempre con spirito decoubertiniano ho partecipato a varie gare internazionali a Hvar, Monaco, e in diverse altre località di mare fra cui Lussinpiccolo a cui è legato un ricordo particolare ed emozionante: era il 1976 e mi piazzai 30° alla Coppa delle Città di Lussinpiccolo dietro alla coppia Enzo Sole ed Egidio Cressi”.

… e di catturare le più belle prede con l’obiettivo fotografico

Frammenti del passato che emergono da una mare di ricordi, da una storia infinita che ha sempre avuto tre capitoli portanti: l’agonismo sportivo nella Fipsas nelle specialità della Pescasub, la fotografia subacquea e il Safari fotosub, specialità nella quale ho preso parte al 1° Campionato italiano e anche a quello del 2008, classificandomi al 7° posto. Ho vinto vari concorsi di fotosub, compreso il Trofeo Manta Sub di Genova. Anche nella “caccia fotografica subacquea”, oggi safari fotosub, ho un palmares di tutto rispetto con vittorie nelle selettive e tanti buoni piazzamenti”.

I ricordi più emozionanti? L’operazione fondali puliti…

Ma nell’album dei ricordi subacquei di Gianni Risso c’è un’immagine” che lo riempie di una soddisfazione particolare, unica e inimitabile: “ l’Operazione di ecologia pratica “Fondali puliti” che ideai nel 1972. Da allora continuo a organizzarla con crescente successo in totale autonomia e l’operazione ha raggiunto tangibili e significativi risultati pratici e d’immagine. Negli anni novanta l’Operazione fondali puliti stabilì il record mondiale assoluto con la partecipazione effettiva di 5500 subacquei appartenenti a 115 associazioni che nel corso di 105 operazioni recuperarono ben 150 tonnellate di rifiuti dai fondali italiani.  Nel 2023 solo in Liguria abbiamo organizzato Fondali puliti ad Alassio, Bogliasco, Recco, Sestri Levante e Zoagli”.

… la prima immersione mondiale in alta quota sotto il ghiaccio…

Un evento capace di emozionarlo solo a parnarne, mentre a mettergli i brividi è il ricordo di un’altra “storia fantastica”: quella della “prima immersione mondiale in alta quota sotto ghiaccio. Teatro il Lago Miage, Gruppo Monte Bianco, periodo luglio 1969, ovviemen e con un severissimo controllo medico. La organizzai con l’amico Mario Polleri di Bogliasco e con il supporto dei Vigili del fuoco di Genova, della Mares e dell’Azienda autonoma soggiorno di Courmayeur. La squadra del dottor Andrea Ravara attuò una serie di avveniristiche ricerche mediche con monitoraggio Ecg sui tre sub in immersione a ridosso della parete del ghiacciaio. Io avrei dovuto fare le foto sub ma l’acqua era latte, rimasi in acqua dieci minuti e continuai a fare foto …terrestri. I risultati delle ricerche, in particolare quelle sulla coagulazione del sangue in ipotermia furono così eclatanti che furono richiesti anche dall Accademia delle scienze dell’Unione sovietica, dalla Nasa e da enti e istituti di ricerca di tutto il mondo”.

… e  la partecipazione alla mostra internazionale Mare Nostrum

Un evento che nel “podio personale” di Gianni Risso è sul secondo gradino mentre al terzo posto la menoria storica della subacquea nazionale mette senza indugi a pari merito “la partecipazione su invito alla mostra internazionale “MareNostrum” svoltasi a Parigi nel 1997 e a Bruxelles, nella sede dell’Unesco, nel 1998. Ero stato selezionato con altri 22 fotografi di fama mondiale tra i quali: David Doubilet, Tony Malmquist, Sophie De Wilde, Ariel Fuchs, Francis Le Guen . Per me fu veramente un successo straordinario”. Ma le soddisfazioni che hanno appagato Gianni Risso nella sua lunghissima “immersione nella passione per il mare” sono moltissime, costellate di incontri “con tanti personaggi famosi e campioni che ho avuto il piacere e l’onore di immortalare”. Per esempio realizzando reportages subacquei in tutto il mondo e in particolare seguendo molti dei record mondiali d’immersione in apnea e dei campionati mondiali di fotografia e caccia in apnea.

Fra i suoi soggetti i più grandi apneisti, ma anche reali, volti tv…

“Ho avuto la fortuna di fotografare in azione i profondisti: Jacques Mayol, Angela Bandini, Stefano Makula, Umberto Pelizzari, Gianluca Genoni, Tanya Streeter, Alessia Zecchini, Audrey Mestre e Francisco Ferreras “Pipin”, che ho scoperto e ho lanciato nel mondo dei record trovandogli perfino una squadra di sponsor tecnici (Plastmeccanica, Isotta, Seac, San-O-Sus) per il suo primo record a -69 metri in assetto costante a Cuba. Ho fotografato i campioni di caccia in apnea: Mazzarri, Amengual, Esclapez, Toschi, Scarpati, Gasparri, March, Carbonell e tanti altri. Sono stato addetto stampa e fotografo del noto apneista dei ghiacci Nicola Brischigiaro.  In uno dei suoi record di distanza rimasi sott’acqua sotto ghiaccio per 30 minuti indossando soltanto una muta umida, due pezzi, 7 millimetri di spessore… Mi hanno definito anche “il fotografo dei Vip” e in verità ho dei reportages esclusivi, corredati da foto subacquee con il principe Vittorio Emanuele di Savoia, l’ex presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, il regista James Cameron, l’ex Ct della Nazionale di calcio Marcello Lippi e con l’olimpionica di nuoto sincronizzato Giovanna Burlando, senza dimenticare volti della tv come Natalia Estrada e Antonella Elia o Marco Predolin”.

… pubblicati su decine di testate italiane e straniere

Ma senza scordare anche le testate giornalistiche che hanno pubblicato sue fotografie. Un vero mare d giornali che comprende Panorama, L’Espresso, Famiglia Cristiana, Dizionario Enciclopedico Treccani, Oggi, L’Europeo, Playboy, Nautica, Radiocorriere TV, SUB, Class, Yacht Capital, Pescare, Più Bella, Grazia,Il Fotografo, Starter, Deep, Special, Topolino, Il Giornalino, Starbene, Scienza e vita, Magazine, Mare 2000, Epoca, Voi pescatori, Chi, Polizia moderna, Reflex, Progresso fotografico Fotografare, Fitness, Campus, Gentleman, Sport Week, Professione Fitness, Mondo Sommerso, Aqua, Il Subacqueo, Pescasub, Pesca in Apnea, Oggi, Maxim, Vivo, Monsieur, Arte Navale e Blu Mag , Il Secolo XIX, Il Lavoro, Il Giornale, La Stampa, Corriere mercantile e Il Giorno.solo per citare quelle italiane mentre all’estero vanta collaborazioni con le redazioni di Apnea, Oceans, Subaqua e Le Monde de la Mer (Francia), Tauchen (Germania), Aquanaut (Svizzera), Scuba e Pescasub (Spagna), Vithos e Greek Diver (Grecia), Skin Diver (Usa), Vela e Motor (Brasile), Octopus, Neptun e DiveTek (Russia), Octopus (Francia), Deniz Magazin (Turchia), Scuba Diver (Australasia), Dive Magazine, Submarine (Ungheria), MundoSubmerso (Portogallo), Dive Log Australasia. Testate che in molti casi fanno capolino dai cassetti e dagli armadi in cui Gianni Risso custodisce i suoi “ricordi più profondi”, fra cui figurano anche “il premio di fotogiornalismo subacqueo del Gro Sub di Palermo; il premio Amore per il Mare della A.S. Scubadiving di Lentini (SR) e il Trofeo Manta Sub di Genova. Anche la Fiipsas mi ha onorato con l’assegnazione di due stelle d’argento. Nel 2022 mi è stato poi attribuito il Premio Calipso istituito dalla Rivista Mondo Sommerso e nel 2024 uno dei Premi Marcante”. Capitoli di una storia giunta ai giorni nostri senza perdere neanche per un istante la voglia di continuare a “esplorare” il mare in ogni modo.

Per chi vuole esplorare il mare da casa ha creato www.apneaworld.com

Come testimonia la creazione, nel 2000, con il figlio Iskandar del portale specializzato  www.apneaworld.com, che è fra i più ricchi di fotografie e presentazioni di campioni e personaggi storici delle attività subacquee a 360° o come un nuovo progetto per il 2024 che Gianni Risso (che nella sua carriera senza confini, è stato anche responsabile pr e pubblicità per circa 15 anni delle riviste  Sub, Pescasub, Fotosub  e  Canoa & Rafting,  oltre che per alcuni anni di Aqva    e Subaqva  e dal 2002 della rivista Dee)  tiene per ora segreto.

… con splendidi fondali, pesci ma anche…. modelle sirene

Nessun segreto nasconde invece le sue preferenze dietro l’obiettivo, con una predilezione per “le foto d’azione e quelle con la presenza di modelle nelle immagini subacquee .  Con un ragguardevole numero di modelle”, aggiunge sorridendo “ che erano delle vere sirene”. Bellezze acquatiche che Gianni Risso ha avuto anche il piacere di veder sfilare in passerella come membro della giuria internazionale del concorso  “Miss Plongée International”, ruolo da giurato che ha vestito anche in molte altre occasioni come per esempio al Campionato nazionale francese di fotografia subacquea a Marsiglia. “ Un episodio storico, per un italiano”, conclude Gianni Risso non prima di aver sfogliato ancora qualche pagina del suo straordinario album dei ricordi: la partecipazione e, spesso l’organizzazione di concorsi come Miss Modella Fotosub d’Italia; Underwater Kiss by  www.apneaworld.com;  Bergeggi Sopra e sotto il mare; I Giochi del mare di Ventotene; Trofeo Madonnina del Mare Zoagli, diventato “maggiorenne” grazie alle sue 18 edizioni; Aqaba Photocontest. E, an cora, il Ventadiving U/W Photo Trophy (Mar Rosso, Bahamas); il 1° trofeo Omega U/W photocontest; il 1° Trofeo Rivista Sub e Nikon, fino al concorso di Fotosub notturno  Luci nella Notte. “

Migliaia di  articoli e foto fatti per invitare a scoprire il fantastico mondo sommerso

 

Una mia foto è stata utilizzata per il poster della campagna mondiale pro acquacoltura 2009 dalla Fao e posso vantare fra gli ultimi importanti riconoscimenti, riservati a pochi fotografi al mondo, quello di “Ambassador” Mares” e della Cressi.” Immagini, racconti che emergono da un mare di passione che per decenni ha spinto Gianni Risso a “raccontare il mondo subacqueo con infiniti scatti e articoli, con la speranza di invogliare anche chi non aveva mai messo la testa sott’acqua a provare questa esperienza unica” Parola di uno che, secondo molti, “non ha sangue ma acqua di mare che scorre nelle vene” .

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Piscina Rei, dove il mare della Sardegna offre uno spettacolo degno d’un re https://www.mareonline.it/piscina-rei-dove-il-mare-della-sardegna-mostra-uno-spettacolo-degno-dun-re/ https://www.mareonline.it/piscina-rei-dove-il-mare-della-sardegna-mostra-uno-spettacolo-degno-dun-re/#comments Mon, 25 Mar 2024 10:14:20 +0000 https://www.mareonline.it/?p=47312 Nomen homen, ovvero, dal latino, di nome e di fatto. Un modo di dire creato dagli antichi romani, convinti che proprio nel nome scelto per il neonato sarebbe dipeso il suo destino, che calza a pennello per la Costa Rei che, sempre traducendo dal latino,  significa “costa del re”.  Un angolo di paradiso in terra nel Sud della Sardegna lambita da acque che per bellezza e trasparenza non temono confronti, capaci di regalare ai vacanzieri la più grande e straordinaria piscina naturale.  Niente di cui stupirsi, dunque, che qualcuno abbia scelto proprio il nome di Piscina Rei per “battezzare” la propria struttura turistica: un residence  realizzato in uno dei punti più suggestivi della costa  a due passi (e non è solo un modo di dire: gli ospiti si ritrovano praticamente con i piedi in acqua appena usciti dalla camera…) da una meravigliosa spiaggia di sabbia bianca che la prestigiosa rivista Lonely Planet ha votato come come la quinta spiaggia al mondo per bellezza, e che conduce in un mare color smeraldo. Un luogo da sogno per una vacanza capace di trasformare qualsiasi sogno nella più affascinate realtà, immersi nel comfort e nella calda accoglienza dei 56 villini, delle 11 garden villas mare o delle 4 garden villas panorama; sprofondati nel relax dell’area riservata sulla spiaggia con ombrelloni e lettini (magari mentre i bimbi, sorvegliati da personale di assoluta fiducia, giocano nella piscina a loro dedicata); rigenerati e rimessi in forma nel  centro benessere con area  fitness, pedana yoga, palestra attrezzata, vasca idromassaggio con area relax. E, ancora, deliziati dai piatti serviti  al ristorante centrale ma anche dalle bevande e dai cocktail serviti al bar sulla spiaggia… Magari in attesa di fare un po’ di attività sportiva (con la possibilità di scegliere, in acqua,  kajak, snorkeling, diving, sup, wind surf, kite surf, vela, catamarano e, sulla terraferma,  mountain-bike, hiking, trekking, beach volley, beach tennis , tennis e calcetto) e, per le signore, di sottoporsi ai trattamenti del centro estetico. O magari di fare una passeggiata in riva al mare lungo di sette chilometri  ininterrotti di spiaggia, o d’esplorare le aree più aspre e selvagge presenti nelle vicinanze e che lasciano puntualmente senza parole anche gli “habitues dell’avventura”. Senza dimenticare le immersioni( sia per per principianti sia per esperti che possono utilizzare la propria attrezzatura personale oppure quella fornita dal centro nautico all’interno del villaggio o dal Diving center nelle immediate vicinanze), i corsi di vela, le bellissime escursioni in barca nella zona di Capo Ferrato, nell’Isola di Serpentara, nell’Isola dei Cavoli e nell’area Marina Protetta di Capo Carbonara… Un ventaglio di opportunità da godere fino in fondo prima di concedersi una notte rigenerante nelle strutture immerse nel verde (dotate di  aria condizionata e Tv sat) pronti al risveglio a rituffarsi in un mare di relax e divertimento. Su spiagge e in acque che, assicurano due ospiti entusiasti, Massimiliano e Maria Rosa, sono davvero degne di un re…  

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offre uno spettacolo degno d’un re
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Nomen homen, ovvero, dal latino, di nome e di fatto. Un modo di dire creato dagli antichi romani, convinti che proprio nel nome scelto per il neonato sarebbe dipeso il suo destino, che calza a pennello per la Costa Rei che, sempre traducendo dal latino,  significa “costa del re”.  Un angolo di paradiso in terra nel Sud della Sardegna lambita da acque che per bellezza e trasparenza non temono confronti, capaci di regalare ai vacanzieri la più grande e straordinaria piscina naturale.  Niente di cui stupirsi, dunque, che qualcuno abbia scelto proprio il nome di Piscina Rei per “battezzare” la propria struttura turistica: un residence  realizzato in uno dei punti più suggestivi della costa  a due passi (e non è solo un modo di dire: gli ospiti si ritrovano praticamente con i piedi in acqua appena usciti dalla camera…) da una meravigliosa spiaggia di sabbia bianca che la prestigiosa rivista Lonely Planet ha votato come come la quinta spiaggia al mondo per bellezza, e che conduce in un mare color smeraldo. Un luogo da sogno per una vacanza capace di trasformare qualsiasi sogno nella più affascinate realtà, immersi nel comfort e nella calda accoglienza dei 56 villini, delle 11 garden villas mare o delle 4 garden villas panorama; sprofondati nel relax dell’area riservata sulla spiaggia con ombrelloni e lettini (magari mentre i bimbi, sorvegliati da personale di assoluta fiducia, giocano nella piscina a loro dedicata); rigenerati e rimessi in forma nel  centro benessere con area  fitness, pedana yoga, palestra attrezzata, vasca idromassaggio con area relax. E, ancora, deliziati dai piatti serviti  al ristorante centrale ma anche dalle bevande e dai cocktail serviti al bar sulla spiaggia… Magari in attesa di fare un po’ di attività sportiva (con la possibilità di scegliere, in acqua,  kajak, snorkeling, diving, sup, wind surf, kite surf, vela, catamarano e, sulla terraferma,  mountain-bike, hiking, trekking, beach volley, beach tennis , tennis e calcetto) e, per le signore, di sottoporsi ai trattamenti del centro estetico. O magari di fare una passeggiata in riva al mare lungo di sette chilometri  ininterrotti di spiaggia, o d’esplorare le aree più aspre e selvagge presenti nelle vicinanze e che lasciano puntualmente senza parole anche gli “habitues dell’avventura”. Senza dimenticare le immersioni( sia per per principianti sia per esperti che possono utilizzare la propria attrezzatura personale oppure quella fornita dal centro nautico all’interno del villaggio o dal Diving center nelle immediate vicinanze), i corsi di vela, le bellissime escursioni in barca nella zona di Capo Ferrato, nell’Isola di Serpentara, nell’Isola dei Cavoli e nell’area Marina Protetta di Capo Carbonara… Un ventaglio di opportunità da godere fino in fondo prima di concedersi una notte rigenerante nelle strutture immerse nel verde (dotate di  aria condizionata e Tv sat) pronti al risveglio a rituffarsi in un mare di relax e divertimento. Su spiagge e in acque che, assicurano due ospiti entusiasti, Massimiliano e Maria Rosa, sono davvero degne di un re…

 

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Cova d’es Xoroi, l’incredibile discoteca scavata nella roccia a picco sul mare https://www.mareonline.it/cova-des-xoroi-lincredibile-discoteca-scavata-nella-roccia-a-picco-sul-mare/ https://www.mareonline.it/cova-des-xoroi-lincredibile-discoteca-scavata-nella-roccia-a-picco-sul-mare/#comments Mon, 25 Mar 2024 10:05:12 +0000 http://www.mareonline.it/?p=42461 Immaginate d’entrare in un lunghissimo e spazioso cunicolo scavato nella roccia, in una parete a strapiombo sul mare, incontrando, sul cammino, diversi punti in cui la galleria si apre in  ampie “caverne” con grandi “finestre” che offrono panorami  mozzafiato sulle onde che, decine di metri più sotto, s’infrangono sulla roccia, ma anche su un impossibile sentiero di scalini esterni che l’uomo ha scavato in quella parete rendendola unica al mondo. E ora provate a immaginare che quelle grotte siano state arredate con divanetti, tavolini e sedie, con banconi e mobili bar nei quali spiccano i migliori ingredienti per cocktail, che cavi luoghi centinaia di metri alimentino luci colorate e impianti con stereo e casse per ascoltare la miglior musica, resa unica dal mix col sound delle onde. E ora smettetela di immaginare e saltate sul primo volo per Minorca: perché quello che fino a ora avere solo immaginato esiste, ed è talmente fantastico da superare probabilmente ogni vostra immaginazione. È la discoteca Cova d’es Xoroi, una grotta scavata nella roccia posta a metà di una scogliera nei pressi di Cala en Porter, sulla costa sud della splendida Isola delle Baleari. Una discoteca divenuta leggenda (e non poteva essere diversamente) in tutto il mondo, uno degli approdi nei quali, il popolo della notte del mare , non può non gettare l’ancora per una notte indimenticabile in un locale il cui nome nasce proprio da un’antica leggenda. Quella di Xoroi, un pirata turco forse miracolosamente scampato a un naufragio o forse abbandonato per qualche grave colpa sull’isola dall’equipaggio della sua nave, che trovato riparo all’interno di una grotta naturale a picco sul mare completamente invisibile dall’esterno, l’avrebbe trasformata nel suo covo, punto di partenza per razzie notturne nelle case del vicino villaggio per ritornare poi prima dell’alba nel rifugio segreto. Fino a quando, una notte, il pirata turno non vide e si innamorò perdutamente di una ragazza che decise di rapire portandola con sè all’interno della grotta. La leggenda vuole che la ragazza dopo aver supplicato per mesi Xoroi perché la liberasse, abbia finito (uno dei primi casi di sindrome di Stoccolma?) del suo sequestratore, dandogli, nel corso degli anni, numerosi figli. Una storia a lieto fine? Neanche per sogno:  perché una notte sarebbe accaduto qualcosa di incredibile per Minorca: una nevicata che  avrebbe coperto l’isola e che avrebbe fatto scoprire il nascondiglio di Xoroi e della sua famiglia grazie alle impronte lasciate dal pirata turco e da uno dei suoi figli nella neve in una “missione notturna” alla ricerca di cibo.  E una volta scoperta la grotta gli abitanti del villaggio, approfittando dell’assenza del pirata, avrebbero “liberato” la ragazza e i figli più piccoli riconsegnandoli alla famiglia d’origine e tenendoli sotto stretta sorveglianza per evitare che si potessero ricongiungere con Xoro che, disperato,  si sarebbe gettato dalla scogliera con il figlio maggiore. Una leggenda incisa su assi di legno appese alle pareti della grotta. Ma anche un monito a chi, soprattutto dopo aver bevuto qualche cocktail di troppo, dovesse pensare a... [Continua]

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scavata nella roccia a picco sul mare
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Immaginate d’entrare in un lunghissimo e spazioso cunicolo scavato nella roccia, in una parete a strapiombo sul mare, incontrando, sul cammino, diversi punti in cui la galleria si apre in  ampie “caverne” con grandi “finestre” che offrono panorami  mozzafiato sulle onde che, decine di metri più sotto, s’infrangono sulla roccia, ma anche su un impossibile sentiero di scalini esterni che l’uomo ha scavato in quella parete rendendola unica al mondo. E ora provate a immaginare che quelle grotte siano state arredate con divanetti, tavolini e sedie, con banconi e mobili bar nei quali spiccano i migliori ingredienti per cocktail, che cavi luoghi centinaia di metri alimentino luci colorate e impianti con stereo e casse per ascoltare la miglior musica, resa unica dal mix col sound delle onde. E ora smettetela di immaginare e saltate sul primo volo per Minorca: perché quello che fino a ora avere solo immaginato esiste, ed è talmente fantastico da superare probabilmente ogni vostra immaginazione. È la discoteca Cova d’es Xoroi, una grotta scavata nella roccia posta a metà di una scogliera nei pressi di Cala en Porter, sulla costa sud della splendida Isola delle Baleari. Una discoteca divenuta leggenda (e non poteva essere diversamente) in tutto il mondo, uno degli approdi nei quali, il popolo della notte del mare , non può non gettare l’ancora per una notte indimenticabile in un locale il cui nome nasce proprio da un’antica leggenda. Quella di Xoroi, un pirata turco forse miracolosamente scampato a un naufragio o forse abbandonato per qualche grave colpa sull’isola dall’equipaggio della sua nave, che trovato riparo all’interno di una grotta naturale a picco sul mare completamente invisibile dall’esterno, l’avrebbe trasformata nel suo covo, punto di partenza per razzie notturne nelle case del vicino villaggio per ritornare poi prima dell’alba nel rifugio segreto. Fino a quando, una notte, il pirata turno non vide e si innamorò perdutamente di una ragazza che decise di rapire portandola con sè all’interno della grotta. La leggenda vuole che la ragazza dopo aver supplicato per mesi Xoroi perché la liberasse, abbia finito (uno dei primi casi di sindrome di Stoccolma?) del suo sequestratore, dandogli, nel corso degli anni, numerosi figli. Una storia a lieto fine? Neanche per sogno:  perché una notte sarebbe accaduto qualcosa di incredibile per Minorca: una nevicata che  avrebbe coperto l’isola e che avrebbe fatto scoprire il nascondiglio di Xoroi e della sua famiglia grazie alle impronte lasciate dal pirata turco e da uno dei suoi figli nella neve in una “missione notturna” alla ricerca di cibo.  E una volta scoperta la grotta gli abitanti del villaggio, approfittando dell’assenza del pirata, avrebbero “liberato” la ragazza e i figli più piccoli riconsegnandoli alla famiglia d’origine e tenendoli sotto stretta sorveglianza per evitare che si potessero ricongiungere con Xoro che, disperato,  si sarebbe gettato dalla scogliera con il figlio maggiore. Una leggenda incisa su assi di legno appese alle pareti della grotta. Ma anche un monito a chi, soprattutto dopo aver bevuto qualche cocktail di troppo, dovesse pensare a fare una bravata, gettandosi in mare da uno dei grandi fori che si affacciano sul mare. Quella di Xoroi forse sarà solo una leggenda, ma che un tuffo dalla discoteca ( di giorno viene utilizzato come bar) scavata nella scogliera di Minorca non lasci scampo è realtà.

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scavata nella roccia a picco sul mare
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Tonnara di Favignana, qui pescate le più incredibili storie di mare https://www.mareonline.it/la-tonnara-di-favignana-ora-e-un-museo-dove-pescare-i-racconti-del-mare/ https://www.mareonline.it/la-tonnara-di-favignana-ora-e-un-museo-dove-pescare-i-racconti-del-mare/#respond Mon, 25 Mar 2024 08:00:33 +0000 http://www.mareonline.it/?p=38131 L’ex stabilimento Florio di Favignana, un gioiello di archeologia industriale, non solo era il luogo dove venivano custodite le attrezzature, le ancore e le barche della mattanza, ma era anche una delle più fiorenti industrie di lavorazione conserviere del tonno e rappresentò anche la storia della famiglia Florio. Il complesso, grazie alla sua architettura con grandi archi e i soffitti altissimi, ricorda le cattedrali. Il primo nucleo dello stabilimento nacque grazie al genovese Giulio Drago che prese in affitto la tonnara di Favignana nel 1859. Ma la costruzione iniziò nel 1878, quando Ignazio Florio incaricò l’architetto Damiani Almeyda di ristrutturare i fabbricati della tonnara. Per oltre un secolo è stata la risorsa più importante dell’isola Iniziò così la fortuna di Favignana, divenuta l’isola dei Florio per antonomasia. Lo stabilimento si estende per circa 32mila metri quadrati, con una serie di grandi aree coperte e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoi, stive, galleria delle macchine, trizzana e malfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni, per la cottura del tonno, con tre alte ciminiere. Tutti gli edifici sono costruiti con il caratteristico tufo di Favignana. Nel 1937 la Famiglia Parodi di Genova acquistò dai Florio l’intera isola e la Tonnara passò così di mano, assieme a tutti i diritti di terra e di mare. Il grande stabilimento continuò a essere la principale fonte economica dell’isola. Dopo 20 anni di abbandono, la tonnara viene ristrutturata dalla Regione Sicilia Negli Anni 70 il complesso, la cui produzione non era più competitiva sul mercato, cessò l’attività e rimase in stato di abbandono per più di vent’anni. Negli anni Novanta entrò nel patrimonio immobiliare della Regione Sicilia. Il progetto di restauro, costato 14 milioni di euro, fu curato dall’architetto Stefano Biondo e fu realizzato grazie ai fondi europei del POR 2000-2006. I lavori, che hanno rappresentato uno dei più significativi impegni, affrontati dai tecnici della soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, furono poi diretti e completati dall’architetto Paola Misuraca. Il restauro iniziò a fine 2003 e terminò nel 2009. La superficie sulla quale è stato fatto l’intervento è di 19mila metri quadrati. Le coperture ripristinate raggiungono i 9mila metri quadrati. E, ancora, 27mila e 500 metri quadrati di muri restaurati e 16mila di pavimentazioni. Sono stati infine impiegati 350 metri cubi di legname per capriate e orditure e 53mila metri di cavi elettrici. Da reperto industriale a struttura espositiva all’avanguardia Gli allestimenti espositivi comprendono il museo archeologico, che raccoglie l’importante collezione dei reperti trovati nell’Arcipelago delle Egadi: anfore di vari tipi e periodi storici, reperti preistorici, una statua acefala. La “fiasca del pellegrino” in peltro del XIV secolo, trovata perfettamente sigillata conteneva ancora il vino. Esposti anche ceppi in piombo di ancore greco-romane e puniche tra cui uno, del tipo mobile (cioè smontabile) che reca su un braccio in rilievo l’iscrizione in greco euploia, cioè buona navigazione, a protezione dell’imbarcazione da possibili disastri. Infine i famosi rostri della Battaglia delle... [Continua]

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L’ex stabilimento Florio di Favignana, un gioiello di archeologia industriale, non solo era il luogo dove venivano custodite le attrezzature, le ancore e le barche della mattanza, ma era anche una delle più fiorenti industrie di lavorazione conserviere del tonno e rappresentò anche la storia della famiglia Florio. Il complesso, grazie alla sua architettura con grandi archi e i soffitti altissimi, ricorda le cattedrali.
Il primo nucleo dello stabilimento nacque grazie al genovese Giulio Drago che prese in affitto la tonnara di Favignana nel 1859. Ma la costruzione iniziò nel 1878, quando Ignazio Florio incaricò l’architetto Damiani Almeyda di ristrutturare i fabbricati della tonnara.

Per oltre un secolo è stata la risorsa più importante dell’isola

Iniziò così la fortuna di Favignana, divenuta l’isola dei Florio per antonomasia. Lo stabilimento si estende per circa 32mila metri quadrati, con una serie di grandi aree coperte e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoi, stive, galleria delle macchine, trizzana e malfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni, per la cottura del tonno, con tre alte ciminiere. Tutti gli edifici sono costruiti con il caratteristico tufo di Favignana. Nel 1937 la Famiglia Parodi di Genova acquistò dai Florio l’intera isola e la Tonnara passò così di mano, assieme a tutti i diritti di terra e di mare. Il grande stabilimento continuò a essere la principale fonte economica dell’isola.

Dopo 20 anni di abbandono, la tonnara viene ristrutturata dalla Regione Sicilia

Negli Anni 70 il complesso, la cui produzione non era più competitiva sul mercato, cessò l’attività e rimase in stato di abbandono per più di vent’anni. Negli anni Novanta entrò nel patrimonio immobiliare della Regione Sicilia. Il progetto di restauro, costato 14 milioni di euro, fu curato dall’architetto Stefano Biondo e fu realizzato grazie ai fondi europei del POR 2000-2006. I lavori, che hanno rappresentato uno dei più significativi impegni, affrontati dai tecnici della soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, furono poi diretti e completati dall’architetto Paola Misuraca. Il restauro iniziò a fine 2003 e terminò nel 2009. La superficie sulla quale è stato fatto l’intervento è di 19mila metri quadrati. Le coperture ripristinate raggiungono i 9mila metri quadrati. E, ancora, 27mila e 500 metri quadrati di muri restaurati e 16mila di pavimentazioni. Sono stati infine impiegati 350 metri cubi di legname per capriate e orditure e 53mila metri di cavi elettrici.

Da reperto industriale a struttura espositiva all’avanguardia

Gli allestimenti espositivi comprendono il museo archeologico, che raccoglie l’importante collezione dei reperti trovati nell’Arcipelago delle Egadi: anfore di vari tipi e periodi storici, reperti preistorici, una statua acefala. La “fiasca del pellegrino” in peltro del XIV secolo, trovata perfettamente sigillata conteneva ancora il vino. Esposti anche ceppi in piombo di ancore greco-romane e puniche tra cui uno, del tipo mobile (cioè smontabile) che reca su un braccio in rilievo l’iscrizione in greco euploia, cioè buona navigazione, a protezione dell’imbarcazione da possibili disastri. Infine i famosi rostri della Battaglia delle Egadi del 241 a.C. Una piccola sezione è dedicata alla storia dei Florio. Nell’ex spogliatoio delle donne è allestita la seconda sezione della mostra permanente, con le fotografie in bianco e nero di Sebastiãno Salgado, della serie Workers, realizzate a Favignana agli inizi anni Novanta, quelle di René Burri che ritraggono la Tonnara negli anni Cinquanta e le opere degli anni Settanta di Leonard. Completano la ristrutturazione dello stabilimento una serie di pannelli didattici sulla pesca e sulla lavorazione del tonno, la realizzazione e l’installazione di pannelli fotografici a illustrare i momenti e le attività più significative. Infine le grandi stanze dell’olio dove vengono esposte le “latte” originali nelle quali veniva inscatolato il tonno. All’interno del complesso, nella grande Galleria delle Macchine, è stata realizzata una sala convegni da 400 posti, climatizzata e completamente arredata.

Testo di Maurizio Bizziccari, pubblicato sul numero 76 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

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F.lli Razeto & Casareto, gli accessori nautici “indossati” dalle imbarcazioni più belle https://www.mareonline.it/f-lli-razeto-casareto-gli-accessori-nautici-indossati-dalle-piu-belle-imbarcazioni-al-mondo/ https://www.mareonline.it/f-lli-razeto-casareto-gli-accessori-nautici-indossati-dalle-piu-belle-imbarcazioni-al-mondo/#comments Mon, 25 Mar 2024 07:10:06 +0000 https://www.mareonline.it/?p=51309 Come può un’azienda avere la sede che si affaccia sulle acque del Tirreno e avere le sue creazioni che si “specchiano” contemporaneamente nelle acque di centinaia, migliaia di località turistiche fra le più affascinanti del pianeta? Semplice, basta avere la sede sulla costa ligure e produrre complementi e accessori personalizzabili per grandi liner, navi da crociera e yacht, capaci di conquistare chiunque con la loro bellezza e funzionalità, con la loro tecnologia a volte proiettata addirittura nel futuro. Imbarcazioni di ogni tipo e misura che fanno navigare in ogni angolo del globo gli accessori di qualità per il settore nautico realizzati da F.lli Razeto & Casareto, azienda varata oltre un secolo fa e diventata “ambasciatrice” del Made in Italy legato alla cantieristica nautica. Un’azienda la cui storia è da sempre legata in mondo inscindibile, esattamente come capita per i migliori nodi marinai, con la Riviera di Levante, a partire dal territorio di Sori che ospita il complesso di tre piani, per oltre 2500 metri quadrati di spazi, dove laboriosità, creatività e rispetto per l’ambiente sono le tre “materie prime” per ogni oggetto creato, per ogni progetto avviato: tre “elementi” tramandati di generazione in generazione e “mandati” nei mari di tutto il mondo. Come testimoniano i dati aziendali che raccontano come metà della produzione sia destinata al mercato estero; come certifica la posizione di leadership che l’azienda, che oggi vede al timone l’amministratore delegato Andrea Razeto, chiamato anche a ricoprire l’incarico di vicepresidente di Confindustria nautica e di membro del comitato esecutivo di Icomia, ha conquistato a livello internazionale, apprezzata dai più importanti cantieri anche grazie alla grande capacità di personalizzazione degli elementi e alla vasta rete di distribuzione e assistenza che attraversa tutti i continenti. Un’azienda che rappresenta un perfetto mix di capacità artigianali, con un’impostazione  particolarmente flessibile e l’assenza di produzioni in grande serie e catene di montaggio che offrono la possibilità a clienti grandi e piccoli di scegliere un alto livello di customizzazione dei prodotti, affidandosi all’esperienza e alla competenza di artigiani e tecnici specializzati in un mestiere in grado di evolvere, adattarsi o anticipare le correnti di mercato. Il che si traduce in serrature e ferramenta d’autore che negli ultimi anni hanno visto Razeto & Casareto salpare dal mare anche alla conquista della terraferma, con linee di maniglie innovative e pluri-premiate capaci di abbracciare le necessità del futuro, tra lusso e tecnologia. Una capacità che affonda le sue radici in una storia iniziata nel 1919, alla fine della Prima guerra mondiale, in una piccola fonderia nel centro di Sori, in cui i fratelli Razeto insieme a Carlo Casareto hanno iniziato a fornire cerniere, attaccapanni, ganci, serrature e accessori di ricambio per navi ai provveditori di bordo genovesi. Undici anni dopo la prima grande “virata” destinata a tracciare la rotta vincente: nel 1930, infatti, l’attività cresce tanto da riuscire a fornire direttamente i cantieri navali nazionali e internazionali, tra cui Ansaldo di Genova impegnato nella costruzione di un mito della cantieristica italiana, di una leggenda mondiale: il transatlantico... [Continua]

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“indossati” dalle imbarcazioni più belle
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Come può un’azienda avere la sede che si affaccia sulle acque del Tirreno e avere le sue creazioni che si “specchiano” contemporaneamente nelle acque di centinaia, migliaia di località turistiche fra le più affascinanti del pianeta? Semplice, basta avere la sede sulla costa ligure e produrre complementi e accessori personalizzabili per grandi liner, navi da crociera e yacht, capaci di conquistare chiunque con la loro bellezza e funzionalità, con la loro tecnologia a volte proiettata addirittura nel futuro. Imbarcazioni di ogni tipo e misura che fanno navigare in ogni angolo del globo gli accessori di qualità per il settore nautico realizzati da F.lli Razeto & Casareto, azienda varata oltre un secolo fa e diventata “ambasciatrice” del Made in Italy legato alla cantieristica nautica. Un’azienda la cui storia è da sempre legata in mondo inscindibile, esattamente come capita per i migliori nodi marinai, con la Riviera di Levante, a partire dal territorio di Sori che ospita il complesso di tre piani, per oltre 2500 metri quadrati di spazi, dove laboriosità, creatività e rispetto per l’ambiente sono le tre “materie prime” per ogni oggetto creato, per ogni progetto avviato: tre “elementi” tramandati di generazione in generazione e “mandati” nei mari di tutto il mondo. Come testimoniano i dati aziendali che raccontano come metà della produzione sia destinata al mercato estero; come certifica la posizione di leadership che l’azienda, che oggi vede al timone l’amministratore delegato Andrea Razeto, chiamato anche a ricoprire l’incarico di vicepresidente di Confindustria nautica e di membro del comitato esecutivo di Icomia, ha conquistato a livello internazionale, apprezzata dai più importanti cantieri anche grazie alla grande capacità di personalizzazione degli elementi e alla vasta rete di distribuzione e assistenza che attraversa tutti i continenti. Un’azienda che rappresenta un perfetto mix di capacità artigianali, con un’impostazione  particolarmente flessibile e l’assenza di produzioni in grande serie e catene di montaggio che offrono la possibilità a clienti grandi e piccoli di scegliere un alto livello di customizzazione dei prodotti, affidandosi all’esperienza e alla competenza di artigiani e tecnici specializzati in un mestiere in grado di evolvere, adattarsi o anticipare le correnti di mercato. Il che si traduce in serrature e ferramenta d’autore che negli ultimi anni hanno visto Razeto & Casareto salpare dal mare anche alla conquista della terraferma, con linee di maniglie innovative e pluri-premiate capaci di abbracciare le necessità del futuro, tra lusso e tecnologia. Una capacità che affonda le sue radici in una storia iniziata nel 1919, alla fine della Prima guerra mondiale, in una piccola fonderia nel centro di Sori, in cui i fratelli Razeto insieme a Carlo Casareto hanno iniziato a fornire cerniere, attaccapanni, ganci, serrature e accessori di ricambio per navi ai provveditori di bordo genovesi. Undici anni dopo la prima grande “virata” destinata a tracciare la rotta vincente: nel 1930, infatti, l’attività cresce tanto da riuscire a fornire direttamente i cantieri navali nazionali e internazionali, tra cui Ansaldo di Genova impegnato nella costruzione di un mito della cantieristica italiana, di una leggenda mondiale: il transatlantico Rex. Anni in cui la produzione aumenta in modo sensibile, anche sull’onda di una domanda sempre più alta di articoli in lega leggera per navi da guerra, destinati a essere “stampati” anche nelle pagine del primo catalogo di prodotti. A guerra finita, a spingere sempre più l’attività è il vento, fortissimo, alimentato dal desiderio di ricostruire sia le flotte mercantili sia quelle turistiche, con i capannoni della fabbrica allargati e allungati per fare spazio alla produzione di accessori per porte, cabine, oblò e finestrini per i più importanti transatlantici italiani: Giulio Cesare, Cristoforo Colombo, Andrea Doria, Michelangelo e Raffaello. E neppure la fine dell’epoca dei transatlantici ferma la corsa dell’azienda di Sori, grazie alle capacità imprenditoriali di chi è al timone, capace di spostare immediatamente la barra verso il mercato emergente della nautica da diporto a cui dedica il 50 per cento della produzione, mentre la restante metà è rivolta alla cantieristica nazionale e internazionale delle navi da crociera. Un “diario di bordo”, quello che racconta la storia della Razeto & Casareto, dal quale emergono una straordinaria passione per ciò che si fa e per quello che si vorrà fare, con un occhio puntato al presente e al passato e uno al futuro, all’orizzonte, con lo sguardo puntato sempre sull’innovazione più “intelligente”, più utile a fornire le migliori risposte alle domande del mercato. Ed è proprio grazie agli importanti investimenti nell’ambito della ricerca e dello sviluppo che la storica produzione di F.lli Razeto & Casareto si è ampliata con l’ Innovation & Design Lab, concretizzandosi nell’ideazione e creazione di maniglie intelligenti, capaci di indicare le migliori vie di fuga in casi d’emergenza ma anche di “sbarrare l’ingresso” a virus pericolosissimi come quello del Covid 19, premiate alle più importanti fiere e concorsi di design in tutto il mondo. Maniglie che hanno consentito all’azienda ligure di spalancare le porte su nuovi mercati, facendo registrare l’ennesimo cambio di rotta vincente. E permettendo al catalogo di prodotti, sempre più ampio e prezioso,  di “specchiarsi” non solo nelle acque di tutto in mondo, ma anche di far brillare in uno straordinario abbinamento, in migliaia di abitazioni e uffici in tutto il mondo, l’eleganza più profonda abbinata alla più alta tecnologia. Imprese che possono riuscire solo a chi nasce sul mare e ha l’esplorazione nel proprio Dna, pronto a scoprire e far scoprire sempre qualcosa di nuovo, di unico. A volte talmente fantastico da stupire. Ma solo in attesa di quello che apparirà domani all’orizzonte…

Testo realizzato da Pietro Barachetti per mareonline.it

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“indossati” dalle imbarcazioni più belle
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I fari illuminano la rotta per viaggiare in un mare di storia del nostro Paese https://www.mareonline.it/i-fari-illuminano-la-rotta-per-viaggiare-in-un-mare-di-storia-del-nostro-paese/ https://www.mareonline.it/i-fari-illuminano-la-rotta-per-viaggiare-in-un-mare-di-storia-del-nostro-paese/#comments Wed, 20 Mar 2024 06:05:31 +0000 http://www.mareonline.it/?p=899 I fari marittimi sono fra le costruzioni più affascinanti,  solitari abitanti di paesaggi spesso desolati, solidamente ancorati a radici di roccia o  cemento  e semplicemente  fondati su sottili moli o piedritti, in un equilibrio apparentemente molto fragile ma in realtà capaci di sfidare i più violenti attacchi della natura, dai quali spessissimo hanno sottratto anche gli equipaggi di imbarcazioni guidate in salvo dal loro fascio di luce  intermittente. Strutture capaci di sopravvivere, grazie al loro fascino unico, anche alla moderna tecnologia della navigazione che ha di fatto reso inutile la loro presenza. Un fascino che brilla fin dalla notte dei tempi, quando fra le Sette meraviglie del mondo erano menzionati il Faro di Alessandria, costruito sull’isola di Pharos nel 283 a.C. e crollato solo nel 1303 in seguito a un violentissimo  terremoto… considerato la struttura più alta (con i suoi 100 o forse addirittura 140 metri) dell’antichità, e il Colosso di Rodi,  del 290 aC, costruzione-scultura che rappresentava il dio Helios alta 33 metri e rimasta a sua volta vittima di un  terremoto nel 226 aC. Una meraviglia alla quale si sarebbero ispirati, secoli più tardi, i  costruttori della Statua della Libertà a New York.  A Ravenna i mosaici di Sant’Apollinare raffigurano il faro dell’antico porto militare In Italia navigare a ritroso nel tempo alla ricerca di antichi fari significa far scalo, nelle mete più lontane, a Ostia, dove è ancora visibile la forma esagonale del faro innalzato nel  secondo secolo aC nel porto dall’imperatore Claudio e poi da Traiano, oppure a Ravenna dove  nei mosaici di Sant’Apollinare si vede raffigurato il faro del porto militare di Classe, costruito dove ora si trova il campanile. Ben più vicine, nel tempo, sono invece altre mete dove antichi fari appaiono oggi come allora. La maestra raggiungeva ogni giorno  in barca il faro di Sant’Andrea per far lezione ai figli del guardiano È il caso del faro di Punta Pezzo costruito nel 1883, sullo stretto di Messina che emette tre lampi di luce rossa, o del suo opposto, il faro di Capo Peloro in Sicilia, che emette invece una luce verde. Lasciando le acque dello Ionio per quelle dell’Adriatico si resta affascinati dal faro di Sant’Andrea, sull’isola omonima che si trova di fronte a Gallipoli,  rimasto in attività fino al 1973, poi lasciato in abbandono fino alla fine del 2005, e tornato a risplendere nel 2006 dopo i lavori di ristrutturazione. Un faro dove ogni giorno, mare permettendo, negli anni 60 sbarcava  una maestra per insegnare  ai figli dei faristi e attorno al quale furono costruiti il forno e la cisterna dell’acqua per assicurare la sopravvivenza anche in caso di prolungato maltempo. Il bellissimo faro della Rocchetta al Lido di Venezia è fra i più antichi d’Italia Risalendo l’Adriatico è poi possibile incontrare i fari di Ortona, San Benedetto del Tronto, Ancona, Senigallia, Fano, Ravenna, che raccontano la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, prima di arrivare  a Venezia dove si può ammirare il faro della Rocchetta al Lido, tra i più antichi d’Italia, costruito nel... [Continua]

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in un mare di storia del nostro Paese
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I fari marittimi sono fra le costruzioni più affascinanti,  solitari abitanti di paesaggi spesso desolati, solidamente ancorati a radici di roccia o  cemento  e semplicemente  fondati su sottili moli o piedritti, in un equilibrio apparentemente molto fragile ma in realtà capaci di sfidare i più violenti attacchi della natura, dai quali spessissimo hanno sottratto anche gli equipaggi di imbarcazioni guidate in salvo dal loro fascio di luce  intermittente. Strutture capaci di sopravvivere, grazie al loro fascino unico, anche alla moderna tecnologia della navigazione che ha di fatto reso inutile la loro presenza. Un fascino che brilla fin dalla notte dei tempi, quando fra le Sette meraviglie del mondo erano menzionati il Faro di Alessandria, costruito sull’isola di Pharos nel 283 a.C. e crollato solo nel 1303 in seguito a un violentissimo  terremoto…

considerato la struttura più alta (con i suoi 100 o forse addirittura 140 metri) dell’antichità, e il Colosso di Rodi,  del 290 aC, costruzione-scultura che rappresentava il dio Helios alta 33 metri e rimasta a sua volta vittima di un  terremoto nel 226 aC. Una meraviglia alla quale si sarebbero ispirati, secoli più tardi, i  costruttori della Statua della Libertà a New York.

 A Ravenna i mosaici di Sant’Apollinare raffigurano il faro dell’antico porto militare

In Italia navigare a ritroso nel tempo alla ricerca di antichi fari significa far scalo, nelle mete più lontane, a Ostia, dove è ancora visibile la forma esagonale del faro innalzato nel  secondo secolo aC nel porto dall’imperatore Claudio e poi da Traiano, oppure a Ravenna dove  nei mosaici di Sant’Apollinare si vede raffigurato il faro del porto militare di Classe, costruito dove ora si trova il campanile. Ben più vicine, nel tempo, sono invece altre mete dove antichi fari appaiono oggi come allora.

La maestra raggiungeva ogni giorno  in barca il faro di Sant’Andrea per far lezione ai figli del guardiano

È il caso del faro di Punta Pezzo costruito nel 1883, sullo stretto di Messina che emette tre lampi di luce rossa, o del suo opposto, il faro di Capo Peloro in Sicilia, che emette invece una luce verde. Lasciando le acque dello Ionio per quelle dell’Adriatico si resta affascinati dal faro di Sant’Andrea, sull’isola omonima che si trova di fronte a Gallipoli,  rimasto in attività fino al 1973, poi lasciato in abbandono fino alla fine del 2005, e tornato a risplendere nel 2006 dopo i lavori di ristrutturazione. Un faro dove ogni giorno, mare permettendo, negli anni 60 sbarcava  una maestra per insegnare  ai figli dei faristi e attorno al quale furono costruiti il forno e la cisterna dell’acqua per assicurare la sopravvivenza anche in caso di prolungato maltempo.

Il bellissimo faro della Rocchetta al Lido di Venezia è fra i più antichi d’Italia

Risalendo l’Adriatico è poi possibile incontrare i fari di Ortona, San Benedetto del Tronto, Ancona, Senigallia, Fano, Ravenna, che raccontano la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, prima di arrivare  a Venezia dove si può ammirare il faro della Rocchetta al Lido, tra i più antichi d’Italia, costruito nel 1855 dal Regio ufficio del Genio civile, ma attivato solo nel 1879.

A Trieste il faro della Vittoria è diventato uno dei simboli della liberazione

Chiude il viaggio nel Mar Adriatico lo splendido Faro della Vittoria a Trieste, la cui costruzione iniziata nel 1923 è terminata quattro anni più tardi, simbolo della liberazione, visto che la sua costruzione fu decisa dopo l’arrivo in porto della nave Audace, la prima ad attraccare dopo la fine della prima guerra mondiale. Cambiando mare e risalendo le acque del mar Tirreno, non è possibile non fare scalo a Capri e godere  lo splendido skyline del faro costruito a partire dal 1862, tra i fari maggiori d’Italia per dimensioni e potenza. Navigando verso le isole Flegree di Procida e Ischia si scorge invece il  faro di Capo Miseno, reso noto al grande pubblico da un film di Federico Moccia, attivato nel 1860, distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale e ricostruito nel 1954. Un faro che  offre una straordinaria vista sul golfo di Napoli. Riuscitissimo esempio di come una  struttura progettata per altri scopi possa invece essere riutilizzata, è il faro di Forte Stella a Portoferraio, eretto sul bastione nord nel 1778 dall’arciduca Leopoldo su uno degli impianti militari voluti dal Duca Cosimo I de’ Medici nel 1500 a difesa della città. Risale invece agli inizi del 1300  il faro di Livorno, eretto ad opera della repubblica Marinara di Pisa. Sarebbe stato il più antico d’Italia se le cariche di dinamite delle truppe tedesche non lo avessero fatto saltare nel 1944. Grazie però alla volontà dei cittadini di Livorno, è stato possibile nel 1956 inaugurare la fedele ricostruzione del faro originale, ora monumento nazionale.

Sull’isola del Tino i fuochi venivano accesi da  San Venerio, patrono dei faristi

Faro capace d’illuminare storia e leggenda è quello del Tino, sull’omonima isola,  grandioso esempio di architettura fortificata neo classica, rifugio del monaco eremita San Venerio, oggi considerato il patrono dei faristi che qui era solito accendere tra il VI e VII secolo grandi fuochi in aiuto ai naviganti.

La Lanterna di Genova è il secondo faro più antico ancora utilizzato del mondo dopo quello di La Coruna

Lasciato il mar Ligure (non prima di aver visitato la Lanterna di Genova, simbolo della città, costruita nel 1128 e secondo faro più antico e ancora utilizzato del mondo, dopo quello di La Coruna in Spagna) e raggiunta la  Sardegna,  merita una visita il faro dell’isola dei Cavoli, costruito nel 1856 di fronte a Villasimius, vicino a Cagliari. A ovest, nel Golfo di Oristano, c’è invece  il faro di Capo San Marco, costruito nel 1924, e a nord, semplicemente straordinario per la sua particolare collocazione, sorge, in cima a un dirupo, proprio al di sopra delle famose Grotte di Nettuno, il faro di Capo Caccia, costruito nel 1864.

Il faro di Capo Caccia costruito su un dirupo a strapiombo è alto 186 metri sul livello del mare

Una torre alta circa 24 metri che, sommati, all’altezza della scogliera, portano l’altezza totale del faro a 186 metri sul livello del mare, facendo di Capo Caccia il faro più alto d’Italia.

Il faro di Capo Scalambri? Deve la sua fama anche al commissario Montalbano….

Ricca  di fari è anche la Sicilia: su tutti spicca, per celebrità ( acquisita anche grazie ai racconti del commissario  Montalbano di Andrea Camilleri) il faro di Capo Scalambri, in località Punta Secca, poco distante dalla Marina di Ragusa,  costruito nel 1859 in un luogo luogo noto tradizionalmente come uno degli approdi di Ulisse.

Libero adattamento per mareonline.it del testo di Cristiana Bartolomei pubblicato sul numero 50 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini di Seasee sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali. Per visitare il sito:www.seasee.com

 

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in un mare di storia del nostro Paese
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Missione sott’acqua per Fincantieri e Saipem L’incarico è sorvegliare e prestare soccorso https://www.mareonline.it/missione-sottacqua-per-fincantieri-e-saipem-lincarico-e-sorvegliare-e-prestare-soccorso/ https://www.mareonline.it/missione-sottacqua-per-fincantieri-e-saipem-lincarico-e-sorvegliare-e-prestare-soccorso/#respond Tue, 19 Mar 2024 11:47:19 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52225 Mezzi subacquei autonomi capaci di dialogare con altre unità di superficie (o a loro volta realizzate per muoversi sott’acqua), da impiegare nell’ambito della sorveglianza e del controllo di infrastrutture critiche sommerse oltre che in attività di soccorso. E’ questo che si vede all’orizzonte dai ponti di comando di Fincantieri, unico complesso cantieristico al mondo attivo in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia, di Saipem, leader globale nell’ingegneria e nella costruzione di infrastrutture per il settore energetico onshore e offshore, oltre che dal quartier generale della Marina Militare italiana, protagoniste di un memorandum d’intesa sottoscritto proprio in previsione di una cooperazione commerciale e industriale per progettare e realizzare i nuovi veicoli, promuovendo e sviluppando le eccellenze nazionali nel settore dell’Underwater. Un memorandum, siglato a Palazzo Marina, sede dello Stato maggiore della Marina militare, da Claudio Cisilino, responsabile dell’area Strategia aziendale e innovazione di Fincantieri, Mauro Piasere, direttore operativo per il settore Robotica e soluzioni industrializzate di Saipem e l’Ammiraglio di squadra Giuseppe Berutti Bergotto, sottocapo di Stato maggiore della Marina militare, che ha posto le basi, come si legge in un comunicato diffuso dal gruppo cantieristico italiano, “ per abilitare la partecipazione delle due società a programmi di rilevanza nel mercato italiano e internazionale nell’ambito della sorveglianza e controllo di infrastrutture critiche subacquee e alle attività di soccorso, mediante l’impiego di tecnologie specifiche complementari di Fincantieri e Saipem”, specificando che “la collaborazione prevede l’integrazione tra navi di superficie e sottomarini realizzati da Fincantieri e il programma di sviluppo dei droni “Hydrone” di Sonsub, il centro di eccellenza di Saipem che realizza tecnologie e soluzioni subacquee”. Saipem è infatti la prima società al mondo ad aver qualificato e commercializzato droni sottomarini residenti autonomi per attività di intervento e ispezione fino a 3.000 metri di profondità, progettati e industrializzati fra Marghera e Trieste, che sono già stati impiegati per le attività di controllo e manutenzione delle infrastrutture sottomarine nel mercato energetico offshore al servizio di importanti compagnie energetiche. Fincantieri si è posta al centro dei programmi di sviluppo della filiera dell’Underwater, con opportunità di business estremamente promettenti, anche grazie alla capacità di guidare un’efficace integrazione tra l’industria della Difesa e quella civile. Il Gruppo Fincantieri ha costruito dal 1929 a oggi 180 sommergibili, di cui 105 nel cantiere navale del Muggiano.”Con la firma del memorandum d’intesa”, conclude il comunicato , Fincantieri e Saipem intendono porsi come riferimento per la dimensione subacquea, la cui centralità strategica è sempre più evidente nel contesto geopolitico attuale”.

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L’incarico è sorvegliare e prestare soccorso
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Mezzi subacquei autonomi capaci di dialogare con altre unità di superficie (o a loro volta realizzate per muoversi sott’acqua), da impiegare nell’ambito della sorveglianza e del controllo di infrastrutture critiche sommerse oltre che in attività di soccorso. E’ questo che si vede all’orizzonte dai ponti di comando di Fincantieri, unico complesso cantieristico al mondo attivo in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia, di Saipem, leader globale nell’ingegneria e nella costruzione di infrastrutture per il settore energetico onshore e offshore, oltre che dal quartier generale della Marina Militare italiana, protagoniste di un memorandum d’intesa sottoscritto proprio in previsione di una cooperazione commerciale e industriale per progettare e realizzare i nuovi veicoli, promuovendo e sviluppando le eccellenze nazionali nel settore dell’Underwater. Un memorandum, siglato a Palazzo Marina, sede dello Stato maggiore della Marina militare, da Claudio Cisilino, responsabile dell’area Strategia aziendale e innovazione di Fincantieri, Mauro Piasere, direttore operativo per il settore Robotica e soluzioni industrializzate di Saipem e l’Ammiraglio di squadra Giuseppe Berutti Bergotto, sottocapo di Stato maggiore della Marina militare, che ha posto le basi, come si legge in un comunicato diffuso dal gruppo cantieristico italiano, “ per abilitare la partecipazione delle due società a programmi di rilevanza nel mercato italiano e internazionale nell’ambito della sorveglianza e controllo di infrastrutture critiche subacquee e alle attività di soccorso, mediante l’impiego di tecnologie specifiche complementari di Fincantieri e Saipem”, specificando che “la collaborazione prevede l’integrazione tra navi di superficie e sottomarini realizzati da Fincantieri e il programma di sviluppo dei droni “Hydrone” di Sonsub, il centro di eccellenza di Saipem che realizza tecnologie e soluzioni subacquee”. Saipem è infatti la prima società al mondo ad aver qualificato e commercializzato droni sottomarini residenti autonomi per attività di intervento e ispezione fino a 3.000 metri di profondità, progettati e industrializzati fra Marghera e Trieste, che sono già stati impiegati per le attività di controllo e manutenzione delle infrastrutture sottomarine nel mercato energetico offshore al servizio di importanti compagnie energetiche. Fincantieri si è posta al centro dei programmi di sviluppo della filiera dell’Underwater, con opportunità di business estremamente promettenti, anche grazie alla capacità di guidare un’efficace integrazione tra l’industria della Difesa e quella civile. Il Gruppo Fincantieri ha costruito dal 1929 a oggi 180 sommergibili, di cui 105 nel cantiere navale del Muggiano.”Con la firma del memorandum d’intesa”, conclude il comunicato , Fincantieri e Saipem intendono porsi come riferimento per la dimensione subacquea, la cui centralità strategica è sempre più evidente nel contesto geopolitico attuale”.

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L’incarico è sorvegliare e prestare soccorso
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Mediterranea Cosmetics, il laboratorio dove la bellezza si specchia nel mare https://www.mareonline.it/mediterranea-cosmetics-il-laboratorio-dove-la-bellezza-si-specchia-nel-mare/ https://www.mareonline.it/mediterranea-cosmetics-il-laboratorio-dove-la-bellezza-si-specchia-nel-mare/#respond Mon, 18 Mar 2024 10:00:37 +0000 https://www.mareonline.it/?p=48596 Un laboratorio affacciato sul mare dove i ricercatori attingono a tutto quello che è più profondamente naturale per creare i propri prodotti cosmetici, con l’obiettivo di ricreare nell’equilibrio tra natura e scienza la stessa armonia degli elementi di un paesaggio unico come può esserlo solo quello che offre sole, mare, vento, costa. Tutto questo è Mediterranea Cosmetics, azienda di produzione di creme, sieri, oli e altri articoli per la cura del corpo derivati dall’olio di oliva. Anzi, da un olio d’oliva: quello prodotto dalla Fratelli Carli, azienda fondata a Imperia nel 1911 e diventata sinonimo di olio pregiato in tutto il mondo, e che nel 1996, su iniziativa di Lucio Carli, ha deciso di sviluppare un’attività parallela. Usando come materia prima uno dei tesori che madre natura ha donato all’umanità, la spremitura di olive, un prodotto straordinario per il palato e per la salute grazie alle sue proprietà antiossidanti che, insieme ai preziosi principi attivi, ne hanno fatto un protagonista di primo piano anche nella cosmesi. Un brand, quello creato dalla famiglia Carli, che negli anni è cresciuto esponenzialmente, imponendosi all’attenzione generale del mercato, grazie alla capacità di saper continuamente innovare, seguendo una rotta che già l’azienda olearia aveva tracciato quasi un secolo fa, tra le prime aziende italiane ad aver venduto i propri prodotti per corrispondenza. Uno sguardo rivolto sempre al futuro, a nuovi orizzonti, che negli ultimi anni ha cavalcato sempre più l’onda del mare di Internet, facendo navigare in rete i prodotti di un brand che ha ottenuto la certificazione rilasciata dall’ente no-profit internazionale B-Lab solo a imprese con specifici requisiti legati a performance ambientali e sociali. Imprese “B Corp” che  operano non solo per proprio profitto, ma anche per avere un impatto positivo sul pianeta. A cominciare dal mare, mondo al quale il brand ha dedicato creme e oli abbronzanti e prodotti dopo sole capaci di regalare invidiabili tintarelle proteggendo ai livelli più alti la salute della pelle. Prodotti di altissima qualità (senza “sprofondare” in spese troppo elevate) per il mare così come per la vita di ogni giorno in città con una gamma di prodotti che è possibile scoprire navigando sul sito dell’azienda (cliccate qui). E che in molti casi sono diventati irrinunciabili per migliaia di persone, in particolar modo donne, attente alla propria bellezza, alla propria freschezza, alla propria salute. Da giovanissime così come un po’ più in la negli anni, magari dopo aver superato la “barriera” degli “anta”. Donne per le quali è stata creata una specifica linea, Action, con una crema anti-age specifica che parte dai “primi 40 anni” proponendo via via una crema antietà ideale per ogni decade, fino agli 80 anni. Prodotti cosmetici (acquistabili on line ma anche in empori dedicati, a partire da quelli di Imperia e Milano per arrivare a quello “varato” nel grande centro commerciale di Orio al Serio, in provincia di Bergamo, a due passi dall’aeroporto internazionale capace di far approdare qui milioni di turisti – e acquirenti- ogni anno ) capaci di diventare inseparabili compagni di viaggio.... [Continua]

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dove la bellezza si specchia nel mare
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Un laboratorio affacciato sul mare dove i ricercatori attingono a tutto quello che è più profondamente naturale per creare i propri prodotti cosmetici, con l’obiettivo di ricreare nell’equilibrio tra natura e scienza la stessa armonia degli elementi di un paesaggio unico come può esserlo solo quello che offre sole, mare, vento, costa. Tutto questo è Mediterranea Cosmetics, azienda di produzione di creme, sieri, oli e altri articoli per la cura del corpo derivati dall’olio di oliva. Anzi, da un olio d’oliva: quello prodotto dalla Fratelli Carli, azienda fondata a Imperia nel 1911 e diventata sinonimo di olio pregiato in tutto il mondo, e che nel 1996, su iniziativa di Lucio Carli, ha deciso di sviluppare un’attività parallela. Usando come materia prima uno dei tesori che madre natura ha donato all’umanità, la spremitura di olive, un prodotto straordinario per il palato e per la salute grazie alle sue proprietà antiossidanti che, insieme ai preziosi principi attivi, ne hanno fatto un protagonista di primo piano anche nella cosmesi. Un brand, quello creato dalla famiglia Carli, che negli anni è cresciuto esponenzialmente, imponendosi all’attenzione generale del mercato, grazie alla capacità di saper continuamente innovare, seguendo una rotta che già l’azienda olearia aveva tracciato quasi un secolo fa, tra le prime aziende italiane ad aver venduto i propri prodotti per corrispondenza. Uno sguardo rivolto sempre al futuro, a nuovi orizzonti, che negli ultimi anni ha cavalcato sempre più l’onda del mare di Internet, facendo navigare in rete i prodotti di un brand che ha ottenuto la certificazione rilasciata dall’ente no-profit internazionale B-Lab solo a imprese con specifici requisiti legati a performance ambientali e sociali. Imprese “B Corp” che  operano non solo per proprio profitto, ma anche per avere un impatto positivo sul pianeta. A cominciare dal mare, mondo al quale il brand ha dedicato creme e oli abbronzanti e prodotti dopo sole capaci di regalare invidiabili tintarelle proteggendo ai livelli più alti la salute della pelle. Prodotti di altissima qualità (senza “sprofondare” in spese troppo elevate) per il mare così come per la vita di ogni giorno in città con una gamma di prodotti che è possibile scoprire navigando sul sito dell’azienda (cliccate qui). E che in molti casi sono diventati irrinunciabili per migliaia di persone, in particolar modo donne, attente alla propria bellezza, alla propria freschezza, alla propria salute. Da giovanissime così come un po’ più in la negli anni, magari dopo aver superato la “barriera” degli “anta”. Donne per le quali è stata creata una specifica linea, Action, con una crema anti-age specifica che parte dai “primi 40 anni” proponendo via via una crema antietà ideale per ogni decade, fino agli 80 anni. Prodotti cosmetici (acquistabili on line ma anche in empori dedicati, a partire da quelli di Imperia e Milano per arrivare a quello “varato” nel grande centro commerciale di Orio al Serio, in provincia di Bergamo, a due passi dall’aeroporto internazionale capace di far approdare qui milioni di turisti – e acquirenti- ogni anno ) capaci di diventare inseparabili compagni di viaggio. Sulla terraferma e in mare aperto.

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Egaf, una bussola di carta guida nel mare delle pratiche della nautica da diporto https://www.mareonline.it/una-bussola-di-carta-guida-nel-mare-delle-pratiche-della-nautica-da-diporto/ https://www.mareonline.it/una-bussola-di-carta-guida-nel-mare-delle-pratiche-della-nautica-da-diporto/#respond Mon, 18 Mar 2024 09:57:41 +0000 https://www.mareonline.it/?p=48134 Muoversi nel mare delle pratiche della nautica da diporto può risultare difficilissimo. A meno di avere una “mappa” sulla quale sono indicati veri e propri tesori, sotto forma di informazioni utili per lo svolgimento delle pratiche amministrative. Come quelle custodite in una preziosissima guida intitolata ” “Consulenza nella nautica da diporto” pubblicata dalla casa editrice Egaf e scritta da Franco Fiorin, Elio Di Jeso e Alfonso Garlisi. Un ingegnere, un avvocato e un ex dirigente di polizia  riuniti per realizzare una “carta nautica” (comprensiva di bussola e sestante…) per navigare fra le regole del diporto nautico moderno, oggetto, negli ultimi anni, di interventi di riordino e aggiornamento normativo.  A partire dal 2005, con l’approvazione del nuovo Codice che ha distinto la disciplina da quella della navigazione mercantile agevolando la diffusione in Italia, anche grazie alla semplificazione degli adempimenti tecnici e amministrativi, dell’acquisto e dell’uso delle unità di piccola dimensione e di bassa potenza. Norme che negli anni successivi hanno continuato a evolversi, con l’emanazione del regolamento di esecuzione nel 2008, e che sono ancora oggetto di costante aggiornamento per adeguarsi alle modifiche della normativa dell’Unione europea e allo sviluppo del diporto nautico in tutte le sue filiere. Indispensabile, di fronte a questi continui “cambiamenti di rotta” poter contare su un aiuto per evitare  possibili scogli e secche amministrativi,  fornito proprio dal manuale realizzato da Egaf che aiuta i lettori a “incrociare”, pagina dopo pagina, durante una vera e propria navigazione alla scoperta dello svolgimento professionale delle pratiche tecnico-amministrative nella nautica da diporto, argomenti come l’istituzione del sistema telematico centrale delle unità da diporto e la diffusione degli sportelli telematici del diportista (attivabili negli studi di consulenza automobilistica e i raccomandatari marittimi, estendendo così alla nautica da diporto il campo di operatività di queste categorie professionali e agevolando il cittadino nel compiere ogni formalità amministrativa); la costruzione e omologazioni delle unità da diporto; gli organismi di certificazione, ispezione e controllo nella nautica; le visite iniziali, periodiche e occasionali delle unità da diporto; le identificazioni delle unità da diporto. O, ancora le scuole nautiche e le abilitazioni al comando di unità a uso privato o in conto proprio; le autorizzazioni all’esercizio e abilitazioni istruttori. Un mare di nozioni preziosissime, da quale emergono anche materie particolarmente curiose e affascinanti, come per esempio il capitolo dedicato al ritrovamento di relitti in mare o su spiaggia… Testo realizzato da Baskerville srl Comunicazione & Immagine

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delle pratiche della nautica da diporto
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Muoversi nel mare delle pratiche della nautica da diporto può risultare difficilissimo. A meno di avere una “mappa” sulla quale sono indicati veri e propri tesori, sotto forma di informazioni utili per lo svolgimento delle pratiche amministrative. Come quelle custodite in una preziosissima guida intitolata ” “Consulenza nella nautica da diporto” pubblicata dalla casa editrice Egaf e scritta da Franco Fiorin, Elio Di Jeso e Alfonso Garlisi.

Un ingegnere, un avvocato e un ex dirigente di polizia  riuniti per realizzare una “carta nautica” (comprensiva di bussola e sestante…) per navigare fra le regole del diporto nautico moderno, oggetto, negli ultimi anni, di interventi di riordino e aggiornamento normativo.  A partire dal 2005, con l’approvazione del nuovo Codice che ha distinto la disciplina da quella della navigazione mercantile agevolando la diffusione in Italia, anche grazie alla semplificazione degli adempimenti tecnici e amministrativi, dell’acquisto e dell’uso delle unità di piccola dimensione e di bassa potenza. Norme che negli anni successivi hanno continuato a evolversi, con l’emanazione del regolamento di esecuzione nel 2008, e che sono ancora oggetto di costante aggiornamento per adeguarsi alle modifiche della normativa dell’Unione europea e allo sviluppo del diporto nautico in tutte le sue filiere. Indispensabile, di fronte a questi continui “cambiamenti di rotta” poter contare su un aiuto per evitare  possibili scogli e secche amministrativi,  fornito proprio dal manuale realizzato da Egaf che aiuta i lettori a “incrociare”, pagina dopo pagina, durante una vera e propria navigazione alla scoperta dello svolgimento professionale delle pratiche tecnico-amministrative nella nautica da diporto, argomenti come l’istituzione del sistema telematico centrale delle unità da diporto e la diffusione degli sportelli telematici del diportista (attivabili negli studi di consulenza automobilistica e i raccomandatari marittimi, estendendo così alla nautica da diporto il campo di operatività di queste categorie professionali e agevolando il cittadino nel compiere ogni formalità amministrativa); la costruzione e omologazioni delle unità da diporto; gli organismi di certificazione, ispezione e controllo nella nautica; le visite iniziali, periodiche e occasionali delle unità da diporto; le identificazioni delle unità da diporto. O, ancora le scuole nautiche e le abilitazioni al comando di unità a uso privato o in conto proprio; le autorizzazioni all’esercizio e abilitazioni istruttori. Un mare di nozioni preziosissime, da quale emergono anche materie particolarmente curiose e affascinanti, come per esempio il capitolo dedicato al ritrovamento di relitti in mare o su spiaggia…

Testo realizzato da Baskerville srl Comunicazione & Immagine

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delle pratiche della nautica da diporto
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Foan, gli oggetti d’arredo in ottone che personalizzano ogni imbarcazione https://www.mareonline.it/foan-gli-oggetti-darredo-in-ottone-che-personalizzano-ogni-imbarcazione/ https://www.mareonline.it/foan-gli-oggetti-darredo-in-ottone-che-personalizzano-ogni-imbarcazione/#comments Mon, 18 Mar 2024 09:45:50 +0000 http://www.mareonline.it/?p=37848 Avete presente tutti quei particolari di un’imbarcazione che attirano l’attenzione perché sono belli, un po’ d’antan e, soprattutto, esclusivi? Per realizzare quei particolari che fanno diventare uniche le scalette, che caratterizzano gli interni, che rendono particolarmente affascinante l’illuminazione, potete tranquillamente approdare alla Foan di Sori, in provincia di Genova, azienda che da trent’anni crea e produce articoli in ottone realizzati con fusione a terra. Il catalogo delle proposte di Foan è ricchissimo: si va dalle lampade in ottone agli accessori veri per la nautica, dai complementi d’arredo ai prodotti specifici in lega leggera. Plafoniere, lampade a muro, piantane, fanali di fonda, campane, ganci e appendichiavi, oblò, aleggi, boccole, supporti, stazioni meteo e orologi sono solamente alcune delle proposte Foan che, per rendere ancora più completa la sua offerta, si mette a disposizione della creatività dei suoi clienti. L’azienda di Sori, infatti, esegue anche lavorazioni su disegno ed è in grado di realizzare prodotti su misura adattando le proprie capacità alle esigenze dell’armatore. Come se ciò non bastasse, Foan esegue anche operazioni di lucidatura e restauro di oggetti in ottone, a testimonianza di una grande competenza per quanto riguarda la lavorazione di questo materiale. Testo realizzato da Baskerville per mareonline

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che personalizzano ogni imbarcazione
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Avete presente tutti quei particolari di un’imbarcazione che attirano l’attenzione perché sono belli, un po’ d’antan e, soprattutto, esclusivi? Per realizzare quei particolari che fanno diventare uniche le scalette, che caratterizzano gli interni, che rendono particolarmente affascinante l’illuminazione, potete tranquillamente approdare alla Foan di Sori, in provincia di Genova, azienda che da trent’anni crea e produce articoli in ottone realizzati con fusione a terra. Il catalogo delle proposte di Foan è ricchissimo: si va dalle lampade in ottone agli accessori veri per la nautica, dai complementi d’arredo ai prodotti specifici in lega leggera. Plafoniere, lampade a muro, piantane, fanali di fonda, campane, ganci e appendichiavi, oblò, aleggi, boccole, supporti, stazioni meteo e orologi sono solamente alcune delle proposte Foan che, per rendere ancora più completa la sua offerta, si mette a disposizione della creatività dei suoi clienti. L’azienda di Sori, infatti, esegue anche lavorazioni su disegno ed è in grado di realizzare prodotti su misura adattando le proprie capacità alle esigenze dell’armatore. Come se ciò non bastasse, Foan esegue anche operazioni di lucidatura e restauro di oggetti in ottone, a testimonianza di una grande competenza per quanto riguarda la lavorazione di questo materiale.

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San Simone, qui si estrae l’essenza del mare per offrirla a Yacht club, porti… https://www.mareonline.it/san-simone-qui-si-estrae-lessenza-del-mare-per-offrirla-a-yacht-club-porti/ https://www.mareonline.it/san-simone-qui-si-estrae-lessenza-del-mare-per-offrirla-a-yacht-club-porti/#respond Mon, 18 Mar 2024 09:10:52 +0000 https://www.mareonline.it/?p=48879 “Fabbricherò tutti i profumi che desiderate ma voi dovete insegnarmi a catturare l’odore di ogni cosa che esiste, potete farlo?” chiede Jean-Baptiste Grenouille, interpretato da Ben Whishaw, nel film “Profumo – Storia di un assassino”, adattamento per il grande schermo del celebre romanzo “Il Profumo” di Patrick Suskind. Fernanda Russo Corrado, creatrice di profumi al timone dell’Antica Erboristeria San Simone di Firenze, che ha rilevato nel 1993 ampliandone l’attività fino ad aprire una scuola per profumieri, è a sua volta pronta a “fabbricare” tutte le nuove fragranze che un cliente può desiderare, senza chiedergli d’insegnarle a catturare l’odore di ogni cosa ma semplicemente svelandole i propri desideri, i propri gusti. Una serie di informazioni dalle quali Fernanda Russo Corrado, “essenziera” laureata in farmacia all’università degli studi di Modena, è pronta a “salpare” ogni volta verso la creazione di un nuovo profumo (richiesto da un singolo cliente, oppure da un’azienda decisa ad abbinare il proprio marchio a un profumo unico e inconfondibile, a un’associazione o a un circolo sportivo i cui soci vogliano essere accomunati anche dal profumo), come se fosse al timone di una nave-laboratorio che naviga in un mare di essenze, pronta a percepire il più piccolo segnale di cambiamento trasportato dall’aria, a fiutare l’odore del vento intriso di iodio per capire se quella che sta seguendo è la rotta migliore. Con un fantastico “approdo” da raggiungere: concentrare in poche gocce un mare di emozioni. Una “navigazione” alla scoperta di nuovi “mondi” da esplorare con l’olfatto che affonda le sue origini in un’arte antichissima: quella, appunto, di creare profumi artigianali. Un’arte senza tempo, che per certi versi nasce con l’uomo e nel tempo si “specializza” grazie in particolare all’avvento della tecnica e al contributo della chimica, che ha permesso di ottenere molecole di sintesi particolarmente persistenti riducendo l’impatto anche ambientale connesso alla ricerca delle materie prime”, spiega Fernanda Russo Corrado, approdata in Toscana dalla natia Capo Rizzuto, dove le bastava affacciarsi alla finestra di casa per catturare con lo sguardo l’infinita bellezza del mare ma anche per coglierne, con l’olfatto, l’odore che, come affermava la scrittrice francese di origine ebraica Irène Némirovsky, “unito alla sabbia sotto le dita, all’aria e al vento, fa si che sia impossibile essere infelici”. Un’arte artigianale che nell’era moderna ha dovuto fare i conti con la concorrenza con i grandi gruppi che, aggiunge l “inventrice di profumi”, “certamente ha un suo peso, ma con un mercato che si è comunque tramandato nel tempo perché ci sono e ci saranno sempre persone che scelgono un profumo tailor-made, che appartengono a una nicchia che rifugge il profumo commerciale e impattante e guardano piuttosto a una fragranza in grado di essere espressione e reinterpretazione di se stessi”. Clienti, che l’Antica Erboristeria e spezieria San Simone vanta in tutta Italia oltre che in diversi Paesi esteri, che “optano per la creazione di un profumo principalmente per avere un prodotto che sia espressione della propria personalità, che la renda unica e immediatamente riconoscibile: clienti che desiderano essere coinvolti direttamente... [Continua]

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del mare per offrirla a Yacht club, porti…
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“Fabbricherò tutti i profumi che desiderate ma voi dovete insegnarmi a catturare l’odore di ogni cosa che esiste, potete farlo?” chiede Jean-Baptiste Grenouille, interpretato da Ben Whishaw, nel film “Profumo – Storia di un assassino”, adattamento per il grande schermo del celebre romanzo “Il Profumo” di Patrick Suskind. Fernanda Russo Corrado, creatrice di profumi al timone dell’Antica Erboristeria San Simone di Firenze, che ha rilevato nel 1993 ampliandone l’attività fino ad aprire una scuola per profumieri, è a sua volta pronta a “fabbricare” tutte le nuove fragranze che un cliente può desiderare, senza chiedergli d’insegnarle a catturare l’odore di ogni cosa ma semplicemente svelandole i propri desideri, i propri gusti. Una serie di informazioni dalle quali Fernanda Russo Corrado, “essenziera” laureata in farmacia all’università degli studi di Modena, è pronta a “salpare” ogni volta verso la creazione di un nuovo profumo (richiesto da un singolo cliente, oppure da un’azienda decisa ad abbinare il proprio marchio a un profumo unico e inconfondibile, a un’associazione o a un circolo sportivo i cui soci vogliano essere accomunati anche dal profumo), come se fosse al timone di una nave-laboratorio che naviga in un mare di essenze, pronta a percepire il più piccolo segnale di cambiamento trasportato dall’aria, a fiutare l’odore del vento intriso di iodio per capire se quella che sta seguendo è la rotta migliore. Con un fantastico “approdo” da raggiungere: concentrare in poche gocce un mare di emozioni. Una “navigazione” alla scoperta di nuovi “mondi” da esplorare con l’olfatto che affonda le sue origini in un’arte antichissima: quella, appunto, di creare profumi artigianali. Un’arte senza tempo, che per certi versi nasce con l’uomo e nel tempo si “specializza” grazie in particolare all’avvento della tecnica e al contributo della chimica, che ha permesso di ottenere molecole di sintesi particolarmente persistenti riducendo l’impatto anche ambientale connesso alla ricerca delle materie prime”, spiega Fernanda Russo Corrado, approdata in Toscana dalla natia Capo Rizzuto, dove le bastava affacciarsi alla finestra di casa per catturare con lo sguardo l’infinita bellezza del mare ma anche per coglierne, con l’olfatto, l’odore che, come affermava la scrittrice francese di origine ebraica Irène Némirovsky, “unito alla sabbia sotto le dita, all’aria e al vento, fa si che sia impossibile essere infelici”. Un’arte artigianale che nell’era moderna ha dovuto fare i conti con la concorrenza con i grandi gruppi che, aggiunge l “inventrice di profumi”, “certamente ha un suo peso, ma con un mercato che si è comunque tramandato nel tempo perché ci sono e ci saranno sempre persone che scelgono un profumo tailor-made, che appartengono a una nicchia che rifugge il profumo commerciale e impattante e guardano piuttosto a una fragranza in grado di essere espressione e reinterpretazione di se stessi”. Clienti, che l’Antica Erboristeria e spezieria San Simone vanta in tutta Italia oltre che in diversi Paesi esteri, che “optano per la creazione di un profumo principalmente per avere un prodotto che sia espressione della propria personalità, che la renda unica e immediatamente riconoscibile: clienti che desiderano essere coinvolti direttamente nel processo creativo che comporta una sorta di viaggio, che viene vissuto come una vera esperienza che attinge ai ricordi e ai momenti passati”. Clienti che, in quel “viaggio in un mare di essenze” vogliono essere “l’equipaggio”, non i destinatari finali che si limitano ad attendere, in porto, l’arrivo delle “merci”.” Un viaggio fra gusti ed emozioni che”, assicura Fernanda Russo Corrado, “vede instaurarsi tra il maestro profumiere e il cliente un rapporto assimilabile a quello che intercorre tra maestro e discepolo. Con quest’ultimo che viene come guidato e aiutato a esternare quella che possiamo definire la propria natura e personalità e con le fragranze che vengono scelte sulla base della reazione che provocano “al naso”, rigorosamente dopo essere state testate sulla pelle per verificare la loro “resa”, nel senso che talvolta quello che noi sentiamo con il naso non corrisponde a quello che la nostra pelle restituisce per la semplice ragione che siamo tutti essere unici”. Come lo è il profumo artigianale, creato per una singola persona , ma anche un’azienda interessata a fare un regalo “unico” proprio perché personalizzato. “Spesso le aziende si rivolgono a noi per la creazione di quello che viene definito come branding olfattivo”, conferma Fernanda Russo Corrado, “e negli ultimi anni il marketing sensoriale ha assunto un ruolo di rilevante importanza divenendo una vera e propria strategia: lo scopo è la creazione di una fragranza d’ambiente che rispecchi in toto i valori del brand, lo renda immediatamente riconoscibile e capace di coinvolgere il cliente a livello emotivo e multisensoriale, garantendogli una esperienza unica e irripetibile”. Sulla terraferma così come in mare. “Quando parliamo di fragranze per l’ambiente il dato che non deve mai essere trascurato è proprio il luogo, lo spazio a cui saranno destinate: alcune sono adatte agli ambienti destinati al relax, altre invece devono essere d’impatto, ossia agire immediatamente sul canale delle emozioni, come per esempio avviene negli spazi destinati all’accoglienza, senza dimenticare anche l’importanza di rispettare il ciclo stagionale: ci sono momenti in cui abbiamo bisogno di essere avvolti e coccolati e altri in cui tendiamo invece a scoprirci e quindi ad avere una maggior esigenza di leggerezza. Questa parola viene subito in mente se penso a un ambiente marino: per un luogo come la barca il concept ritengo sia creare una fragranza che annulli l’idea di esterno-interno per creare una sorta di continuum rispetto alla dimensione acquatica. Questo vale sia per le fragranze d’ambiente sia per un eventuale profumo personale, che penserei come qualcosa di assolutamente impalpabile con i sentori della salsedine, delle onde che si infrangono sullo scoglio, del vento, senza dimenticare la macchia mediterranea e il profumi degli agrumi e soprattutto tenendo in considerazione anche un altro importante aspetto che è quello relativo al benessere della pelle”. Un mondo , quello del mare e della navigazione, al quale l’Antica Erboristeria e spezieria aperta a Firenze, in via Ghibellina, a due passi dalla basilica di Santa Croce, ha dedicato già alcuni profumi: Baia, Mare Nostrum, Oltremare, a cui si è aggiunto recentemente Acquamarina. Fragranze “con note acquatiche” disponibili sia nella collezione per ambiente sia in quella eau de parfùm nate, confessa l’essenziera, “sicuramente anche grazie al fatto che io sono nata e provengo da un luogo di mare, che mi aiuta a ricostruire quella memoria olfattiva che si è consolidata durante la mia infanzia trascorsa in questi luoghi, ma soprattutto al fatto che esiste un legame naturale, antichissimo, indissolubile tra il profumo e il mare: basta guardare e scrutare nel mondo antico degli Egizi, esplorare il mondo greco, dell’antico Impero Romano per scoprire che già il mare entrava a far parte degli scambi commerciali, culturali e costumi provenienti da altri mondi”; basta pensare ai viaggi di Marco Polo in Oriente e di Cristoforo Colombo nelle Indie che, proprio via mare, ci ha portato a conoscere ambre, muschi, incenso, mirra, rosa, gelsomino, fiori d’arancio, sandalo dall’Oriente. Senza dimenticare la conoscenza della vaniglia, del cioccolato, del pepe e del peperoncino, del cedro della Virginia dall’America; elementi di fondamentale importanza per la profumeria artigianale”. Un mare di essenze “venute” dal mare e che al mare potrebbero “tornare” sempre di più, sull’onda di “ordini” provenienti da yacht club, associazioni nautiche, cantieri nautici, aziende legate alla nautica, porti turistici decisi a creare un proprio profumo da donare ai soci, ai partner. Potenziali nuovi committenti ai quali Fernanda Russo Corrado guarda con particolare attenzione e per i quali i laboratori dell’antica erboristeria e spezieria nascondono, nei cassetti di antichi e bellissimi mobili in legno, nuovi “progetti” per nuovi profumi. “Nel “ cassetto” c’è sempre qualcosa che deve essere completato e tra queste ce ne sono un paio dedicati al mare ma soprattutto ai porti. Nuove idee che per essere sviluppate e trasformate in prodotto finito possono richiedere tempi non particolarmente lunghi, da due a tre mesi”. Nuove fragranze di cui il laboratorio artigianale di via Ghibellina cura ogni singolo dettaglio, dalla scelta del flacone alla realizzazione dell’etichetta e del packaging, sempre discussa e pianificata con il cliente, così come, quando si tratta di un’azienda intenzionata anche a commercializzare il prodotto , “l’ottimizzazione dell’investimento, raggiunta di solito con una campionatura di  300 pezzi  che consente di rientrare
 dell’investimento generando un mark up variabile in base al
posizionamento del Brand e al prezzo di vendita al pubblico del
profumo”. Un investimento che, conclude la farmacista al timone dell’Antica Spezieria ed erboristeria fiorentina, “costa sempre un po’ più rispetto al prodotto industriale, ma che viene ampiamente ripagato dalla consapevolezza di avere un profumo su misura, frutto di una qualità nella ricerca e nella 
selezione delle materia prime, capace di regalare quell’unicità che crea poi appartenenza,”. Parola di chi alla creazione di nuovi profumi ha dedicato la vita e che se gli odori fossero colori sarebbe in grado di mostrare ai propri clienti il più incredibile arcobaleno immaginabile. Una donna capace, parafrasando il poeta 
Khalil Gibran, di racchiudere in una goccia di profumo “ tutti i segreti di tutti gli oceani”.

Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & immagine srl per mareonline.it

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del mare per offrirla a Yacht club, porti…
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Ristorante Maxi, a tavola l’occhio vuole la sua parte? Qui anche la vista sul mare è squisita https://www.mareonline.it/ristorante-maxi-a-tavola-locchio-vuole-la-sua-parte-qui-anche-la-vista-sul-mare-e-squisita/ https://www.mareonline.it/ristorante-maxi-a-tavola-locchio-vuole-la-sua-parte-qui-anche-la-vista-sul-mare-e-squisita/#comments Mon, 18 Mar 2024 07:15:59 +0000 http://www.mareonline.it/?p=11751 Sbarco al ristorante, la rubrica di mareonline che guida gli appassionati di navigazione e di cucina alla scoperta dei migliori ristoranti d’Italia raggiungibili direttamente in barca (selezionati nel raggio di pochissimi chilometri dal più vicino porto turistico) fa tappa nella penisola Sorrentina, al ristorante Maxi, dove la straordinaria cucina dello chef tedesco pluristellato Oliver Glowig, che dall’aprile 2014 ha sostituito Danilo Di Vuolo al “timone della cucina”, si abbina alla perfezione a un ambiente unico, con i bellissimi tavoli in legno disposti su una terrazza incastonata nella roccia e affacciata sul Golfo di Napoli, con sullo sfondo il Vesuvio. Una vista mozzafiato che fa da contorno a un menu capace di lasciare a sua volta a bocca aperta. Ristorante: Maxi Indirizzo: via Luigi Serio, 8, Vico Equense. Distanza dal porto di Seiano:  3 chilometri. Telefono: 081 8015757 E-mail: info@hotelcapolagala.com Chiusura settimanale: lunedì. Chiusura per ferie: dal 20 ottobre al 20 aprile. Costo medio: euro 90 per persona. Carte di credito: AX, VISA, MC, Bancomat. Posti a sedere: 90 Perchè sceglierlo: perché assaggiare i sapori più profondi della sua cucina, premiati da una stella Michelin sulle ultime 3 guide, ammirando il Golfo di Napoli e il Vesuvio da una meravigliosa terrazza incastonata nella scogliera, ha un sapore unico al mondo. Ma anche per premiare la scelta, fatta dai titolari e dallo chef, di servire alla clientela solo prodotti a chilometri zero, frutto del mare e della terra circostante (dalle erbe aromatiche del giardino del Capo La Gala ai pesci e ai molluschi scelti personalmente sui banchi dei pescatori locali, dall’olio dop di Montechiato ai profumatissimi agrumi della costiera…), contribuendo così a tutelare un ambiente naturale di rara bellezza. Prodotti di stagione che lo chef Oliver Glowig propone rivisitando, in chiave moderna,  ricette che affondano le loro radici addirittura nei secoli. Con un occhio di riguardo ai clienti più piccoli e agli ospiti con intolleranze alimentari. Curiosità: lo staff di cucina è giovanissimo ma possiede tutta l’esperienza degli chef più… navigati. La ricetta dello chef Candele spezzate con ragout di pesce da zuppa Ingredienti per 4 persone: 320 grammi di candele di Gragnano; 500 grammi di pesce da zuppa misto (coccio, scorfano, tracina, cernia ecc); 1 costa di sedano; 1 carota; mezza cipolla; 200 grammi di pomodorini del piennolo; pepe in grani; qualche foglia di alloro, aglio e prezzemolo. Preparazione: sfilettare i pesci e conservare tutti i filetti, procedere alla preparazione di un ragout facendo rosolare tutti gli odori con un filo di olio di oliva extra vergine e aggiungendo, quando saranno ben dorati, le lische precedentemente pulite e messe a bagno in acqua fredda per circa un’ora. Continuare la cottura per circa dieci minuti e quando le lische saranno ben dorate sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco e aggiungere circa un litro di acqua fredda e i pomodorini; continuare la cottura fino a quando il sugo non risulti sciropposo, quindi passare la salsa in un colino a maglia fine. Preparare un soffritto con aglio e un filo di olio di oliva, quindi aggiungere i filetti di pesce... [Continua]

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parte? Qui anche la vista sul mare è squisita
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Sbarco al ristorante, la rubrica di mareonline che guida gli appassionati di navigazione e di cucina alla scoperta dei migliori ristoranti d’Italia raggiungibili direttamente in barca (selezionati nel raggio di pochissimi chilometri dal più vicino porto turistico) fa tappa nella penisola Sorrentina, al ristorante Maxi, dove la straordinaria cucina dello chef tedesco pluristellato Oliver Glowig, che dall’aprile 2014 ha sostituito Danilo Di Vuolo al “timone della cucina”, si abbina alla perfezione a un ambiente unico, con i bellissimi tavoli in legno disposti su una terrazza incastonata nella roccia e affacciata sul Golfo di Napoli, con sullo sfondo il Vesuvio. Una vista mozzafiato che fa da contorno a un menu capace di lasciare a sua volta a bocca aperta.

Ristorante: Maxi
Indirizzo: via Luigi Serio, 8, Vico Equense.
Distanza dal porto di Seiano:  3 chilometri.
Telefono: 081 8015757
E-mail: info@hotelcapolagala.com
Chiusura settimanale: lunedì.
Chiusura per ferie: dal 20 ottobre al 20 aprile.
Costo medio: euro 90 per persona.
Carte di credito: AX, VISA, MC, Bancomat.
Posti a sedere: 90
Perchè sceglierlo: perché assaggiare i sapori più profondi della sua cucina, premiati da una stella Michelin sulle ultime 3 guide, ammirando il Golfo di Napoli e il Vesuvio da una meravigliosa terrazza incastonata nella scogliera, ha un sapore unico al mondo. Ma anche per premiare la scelta, fatta dai titolari e dallo chef, di servire alla clientela solo prodotti a chilometri zero, frutto del mare e della terra circostante (dalle erbe aromatiche del giardino del Capo La Gala ai pesci e ai molluschi scelti personalmente sui banchi dei pescatori locali, dall’olio dop di Montechiato ai profumatissimi agrumi della costiera…), contribuendo così a tutelare un ambiente naturale di rara bellezza. Prodotti di stagione che lo chef Oliver Glowig propone rivisitando, in chiave moderna,  ricette che affondano le loro radici addirittura nei secoli. Con un occhio di riguardo ai clienti più piccoli e agli ospiti con intolleranze alimentari.
Curiosità: lo staff di cucina è giovanissimo ma possiede tutta l’esperienza degli chef più… navigati.
La ricetta dello chef
Candele spezzate con ragout di pesce da zuppa
Ingredienti per 4 persone: 320 grammi di candele di Gragnano; 500 grammi di pesce da zuppa misto (coccio, scorfano, tracina, cernia ecc); 1 costa di sedano; 1 carota; mezza cipolla; 200 grammi di pomodorini del piennolo; pepe in grani; qualche foglia di alloro, aglio e prezzemolo.
Preparazione: sfilettare i pesci e conservare tutti i filetti, procedere alla preparazione di un ragout facendo rosolare tutti gli odori con un filo di olio di oliva extra vergine e aggiungendo, quando saranno ben dorati, le lische precedentemente pulite e messe a bagno in acqua fredda per circa un’ora. Continuare la cottura per circa dieci minuti e quando le lische saranno ben dorate sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco e aggiungere circa un litro di acqua fredda e i pomodorini; continuare la cottura fino a quando il sugo non risulti sciropposo, quindi passare la salsa in un colino a maglia fine. Preparare un soffritto con aglio e un filo di olio di oliva, quindi aggiungere i filetti di pesce tagliati a bocconcini, far rosolare e insaporire con qualche mestolo di salsa ottenuta con le lische, aggiungere la pasta precedentemente cotta in acqua e sale e continuare la cottura per qualche altro minuto. Mantecare la pasta con un filo di olio di oliva extra vergine, regolare di sale e pepe e disporre nel piatto guarnendo con qualche erba aromatica.
La cantina: Sono oltre mille le etichette che, ovviamente, propongono i migliori frutti della tradizione vitivinicola campana, come  come il Falerno e il Greco, l’Aglianico, il Fiano, il Greco, la Falanghina, il Per’ e palummo, l’Asprinio, la Biancolella, la Coda di volpe, la Forastera.

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parte? Qui anche la vista sul mare è squisita
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Fisico da regata? Top Excite di Technogym è l’attrezzo perfetto per costruirselo https://www.mareonline.it/fisico-da-regata-top-excite-di-technogym-e-lattrezzo-perfetto-per-costruirselo/ https://www.mareonline.it/fisico-da-regata-top-excite-di-technogym-e-lattrezzo-perfetto-per-costruirselo/#respond Mon, 18 Mar 2024 04:55:07 +0000 https://www.mareonline.it/?p=49557 È l’attrezzo usato dai “grinder” di Luna Rossa Prada Pirelli per aumentare la propria potenza muscolare e, allo stesso tempo, la velocità, per preparare nel migliore dei modi l’assalto alla Coppa America. Una “macchina” capace di simulare alla perfezione la colonnina della barca offrendo la miglior risposta possibile a chi chiede la miglior preparazione fisica soprattutto per la parte alta del corpo. Magari proprio inseguendo il sogno di entrare a far parte un giorno dell’esclusivo club di “eletti” chiamati a girare a velocità supersonica le maniglie delle colonnine per recuperare una drizza o una scotta, per accumulare, sugli scafi di ultima generazione ormai proiettati nel futuro, l’energia indispensabile per regolare le vele e i foil attraverso una sofisticata rete di pompe idrauliche, pistoni, sistemi oleodinamici ed elettronici. Top Excite di Technogym, attrezzo che replica il movimento del grinder, è uno degli oggetti del desiderio di chi sogna, un giorno, di trovarsi faccia a faccia con il  verricello usato sulle grandi barche da regata, ma anche, più semplicemente, di moltissimi appassionati di vela che vogliono farsi trovare il più “allenati” possibile per qualsiasi appuntamento in mare, sfoggiando – cosa che non guasta mai – un fisico da atleta. Uno dei tanti “oggetti del desiderio” di chi ama lo sport, il benessere e il “bellessere”, progettati e realizzati dall’azienda di Cesena  diventata i leader mondiale nella produzione di attrezzi per lo sport e il tempo libero, veri e proprio “concentrati di tecnologia applicata all’attività sportiva” per tonificare la muscolatura e migliorare la resistenza, consentendo di raggiungere una forma fisica ottimale. Cosa che il modello Top Excite “per grinder” consente di ottenere sfruttando i vantaggi del movimento rotatorio della parte superiore del corpo, con la possibilità di scegliere se allenarsi in posizione seduta, utilizzando il sedile ergonomico, o eretta aumentando il livello di difficoltà dell’esercizio. Coinvolgendo, nel primo caso, tutti i muscoli di petto, spalle, schiena, braccia e tronco, e contribuendo a migliorare la stabilità e la postura; con il “valore aggiunto”, nel secondo caso, in posizione eretta, di attivare la muscolatura corporea nel suo insieme, trasmettendo la forza dalle gambe alla parte superiore del tronco e alle braccia tramite i muscoli stabilizzatori della colonna. Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & immagine srl per mareonline.it

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è l’attrezzo perfetto per costruirselo
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È l’attrezzo usato dai “grinder” di Luna Rossa Prada Pirelli per aumentare la propria potenza muscolare e, allo stesso tempo, la velocità, per preparare nel migliore dei modi l’assalto alla Coppa America. Una “macchina” capace di simulare alla perfezione la colonnina della barca offrendo la miglior risposta possibile a chi chiede la miglior preparazione fisica soprattutto per la parte alta del corpo. Magari proprio inseguendo il sogno di entrare a far parte un giorno dell’esclusivo club di “eletti” chiamati a girare a velocità supersonica le maniglie delle colonnine per recuperare una drizza o una scotta, per accumulare, sugli scafi di ultima generazione ormai proiettati nel futuro, l’energia indispensabile per regolare le vele e i foil attraverso una sofisticata rete di pompe idrauliche, pistoni, sistemi oleodinamici ed elettronici. Top Excite di Technogym, attrezzo che replica il movimento del grinder, è uno degli oggetti del desiderio di chi sogna, un giorno, di trovarsi faccia a faccia con il  verricello usato sulle grandi barche da regata, ma anche, più semplicemente, di moltissimi appassionati di vela che vogliono farsi trovare il più “allenati” possibile per qualsiasi appuntamento in mare, sfoggiando – cosa che non guasta mai – un fisico da atleta. Uno dei tanti “oggetti del desiderio” di chi ama lo sport, il benessere e il “bellessere”, progettati e realizzati dall’azienda di Cesena  diventata i leader mondiale nella produzione di attrezzi per lo sport e il tempo libero, veri e proprio “concentrati di tecnologia applicata all’attività sportiva” per tonificare la muscolatura e migliorare la resistenza, consentendo di raggiungere una forma fisica ottimale. Cosa che il modello Top Excite “per grinder” consente di ottenere sfruttando i vantaggi del movimento rotatorio della parte superiore del corpo, con la possibilità di scegliere se allenarsi in posizione seduta, utilizzando il sedile ergonomico, o eretta aumentando il livello di difficoltà dell’esercizio. Coinvolgendo, nel primo caso, tutti i muscoli di petto, spalle, schiena, braccia e tronco, e contribuendo a migliorare la stabilità e la postura; con il “valore aggiunto”, nel secondo caso, in posizione eretta, di attivare la muscolatura corporea nel suo insieme, trasmettendo la forza dalle gambe alla parte superiore del tronco e alle braccia tramite i muscoli stabilizzatori della colonna.

Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & immagine srl per mareonline.it

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è l’attrezzo perfetto per costruirselo
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Quattro dammusi in uno, l’acquisto da sogno a Pantelleria salpa a bordo di questa asta https://www.mareonline.it/quattro-dammusi-in-uno-lacquisto-da-sogno-a-pantelleria-salpa-a-bordo-di-questa-asta/ https://www.mareonline.it/quattro-dammusi-in-uno-lacquisto-da-sogno-a-pantelleria-salpa-a-bordo-di-questa-asta/#respond Fri, 15 Mar 2024 10:44:34 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52201 Pantelleria, contrada Madonna delle Grazie,  poca distanza dal paese di  Scauri: è qui, circondata da 2.200 metri quadrati  di rigogliosa vegetazione e ulivi secolari, tra cui uno, vecchio di oltre 500 anni,  fra i pochi  legalmente censiti fra i più antichi d’Italia, che  si trova la “Casa del vecchio ulivo” suddivisa in quattro splendidi Dammusi a terrazzamenti, soluzione che garantisce privacy e momenti di relax  godendo di fantastici tramonti sul mare osservando il sole che scompare dietro le montagne africane. Il “rifugio” perfetto per chi cerca un’immersione nel relax con, allo stesso tempo,la possibilità  di raggiungere le principali  località di interesse e tutti i servizi come ristoranti, bar, negozi,  supermercati, bancomat, ospedale, farmacie e aeroporto. L’esterno comune della villa si compone di un giardino  mediterraneo, un’area relax di 350 metri quadrati con piscina, doccia a cascata naturale  e vista mozzafiato sul Mar Mediterraneo e le coste Tunisine. Si accede alla proprietà grazie al cancello principale, che conduce al  primo Dammuso di 70 metri quadrati, impreziosito da un bellissimo ampio  patio con tavolo e sedie, barbecue e amaca L’interno offre invece un  delizioso e accogliente soggiorno con finestra vista mare, pronto a trasformarsi in camera da letto grazie a un divano letto matrimoniale, una  camera matrimoniale con  armadio a muro  illuminata da un’ampia finestra  e una piccola  cucina a vista. Salendo tre scalini si raggiunge il Dammuso padronale di 140 metri quadrati, con  un ampio patio con divani in muratura tipici panteschi con vista mozzafiato dove poter godere di cene all’aperto con familiari e amici. L’interno offre la cucina e,  proseguendo, un’accogliente camera padronale con  una porta finestra che consente l’accesso diretto al terrazzo privato. Di fianco alla camera c’è il bagno provvisto di tutti i sanitari e cabina doccia con finestra vista mare. Entrambi gli appartamenti dispongono di aria condizionata. Ma non è finita qui: per completare il “poker vincente”  basta scendere gli scalini che conducono al terzo Dammuso  di 22 metri quadrati  con camera da letto e bagno provvisto di tutti i sanitari e cabina doccia, oltre a un patio con tavolo per 4 persone e, allo  stesso livello della piscina, il quarto Dammuso aduso lavanderia di 30 metri quadrati. Un luogo straordinario, ideale  sia per famiglie che vogliono godere di momenti di relax, sia per gruppi di amici che vogliono organizzare serate e feste in compagnia,  in vendita all’asta (clicca qui), fissata per il 17 e 18 aprile,  con base di un milione di euro, arredi compresi.  Info: 3513433112

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a Pantelleria salpa a bordo di questa asta
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Pantelleria, contrada Madonna delle Grazie,  poca distanza dal paese di  Scauri: è qui, circondata da 2.200 metri quadrati  di rigogliosa vegetazione e ulivi secolari, tra cui uno, vecchio di oltre 500 anni,  fra i pochi  legalmente censiti fra i più antichi d’Italia, che  si trova la “Casa del vecchio ulivo” suddivisa in quattro splendidi Dammusi a terrazzamenti, soluzione che garantisce privacy e momenti di relax  godendo di fantastici tramonti sul mare osservando il sole che scompare dietro le montagne africane. Il “rifugio” perfetto per chi cerca un’immersione nel relax con, allo stesso tempo,la possibilità  di raggiungere le principali  località di interesse e tutti i servizi come ristoranti, bar, negozi,  supermercati, bancomat, ospedale, farmacie e aeroporto. L’esterno comune della villa si compone di un giardino  mediterraneo, un’area relax di 350 metri quadrati con piscina, doccia a cascata naturale  e vista mozzafiato sul Mar Mediterraneo e le coste Tunisine. Si accede alla proprietà grazie al cancello principale, che conduce al  primo Dammuso di 70 metri quadrati, impreziosito da un bellissimo ampio  patio con tavolo e sedie, barbecue e amaca L’interno offre invece un  delizioso e accogliente soggiorno con finestra vista mare, pronto a trasformarsi in camera da letto grazie a un divano letto matrimoniale, una  camera matrimoniale con  armadio a muro  illuminata da un’ampia finestra  e una piccola  cucina a vista. Salendo tre scalini si raggiunge il Dammuso padronale di 140 metri quadrati, con  un ampio patio con divani in muratura tipici panteschi con vista mozzafiato dove poter godere di cene all’aperto con familiari e amici. L’interno offre la cucina e,  proseguendo, un’accogliente camera padronale con  una porta finestra che consente l’accesso diretto al terrazzo privato. Di fianco alla camera c’è il bagno provvisto di tutti i sanitari e cabina doccia con finestra vista mare. Entrambi gli appartamenti dispongono di aria condizionata. Ma non è finita qui: per completare il “poker vincente”  basta scendere gli scalini che conducono al terzo Dammuso  di 22 metri quadrati  con camera da letto e bagno provvisto di tutti i sanitari e cabina doccia, oltre a un patio con tavolo per 4 persone e, allo  stesso livello della piscina, il quarto Dammuso aduso lavanderia di 30 metri quadrati. Un luogo straordinario, ideale  sia per famiglie che vogliono godere di momenti di relax, sia per gruppi di amici che vogliono organizzare serate e feste in compagnia,  in vendita all’asta (clicca qui), fissata per il 17 e 18 aprile,  con base di un milione di euro, arredi compresi.  Info: 3513433112

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a Pantelleria salpa a bordo di questa asta
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Rocca la bottarga, sapori di mare così buoni da concedere il bis agli Oscar gastronomici https://www.mareonline.it/rocca-la-bottarga-sapori-di-mare-cosi-buoni-da-concedere-il-bis-agli-oscar-del-gusto/ https://www.mareonline.it/rocca-la-bottarga-sapori-di-mare-cosi-buoni-da-concedere-il-bis-agli-oscar-del-gusto/#respond Fri, 15 Mar 2024 10:22:58 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52137 Produttori italiani  di piccole e medie dimensioni ma capaci di offrire grandi prodotti enogastronomici: è per far conoscere le loro eccellenze agroalimentari che è nato Crai Italy Food Awards, evento che ha visto l’edizione 2024 andare in scena  a Villa Renoir a Legnano, in provincia di Milano con ben 500 aziende iscritte e 137 salite sul palco dopo essersi aggiudicate uno fra i premi e le menzioni speciali in palio. Fra queste anche un’azienda sarda sinonimo di alta qualità nella preparazione di prelibatezze capaci di esaltare i sapori più “profondi” del mare: la  sarda “Rocca la Bottarga” che nella categoria  aziende ittiche, vinta da Castrovinci Sicilia, si è concessa un bis, assicurandosi sia una menzione speciale  sia  un premio speciale per la “Promozione del territorio – vendita e produzione di prodotti ittici. “Un doppio riconoscimento nella serata degli Oscar dedicati ai produttori agroalimentari italiani che ci ha reso felici e orgogliosi”, ha commentato Alexia Broi, responsabile commerciale dell’azienda  di Quartucciu, nel cagliaritano, la cui storia è “ancorata”  alla propria terra e racchiusa in  prodotti distribuiti nelle più importanti catene italiane della grande distribuzione, nelle principali strutture ho.re.ca. e nei canali all’ingrosso, con i ricercatissimi “vasetti” di bottarga, di polpa di granchio e di altre squisitezze presenti anche nei migliori negozi di diversi Paesi stranieri. “I Crai Italy Food Awards  sono diventati una vetrina importantissima per il sistema agroalimentare italiano , un veicolo per promuovere la  cultura agroalimentare e la tradizione del nostro Paese, semplicemente unico per storia, arte, ma anche tradizioni culinarie”, ha aggiunto Alexia Broi, “e aver scritto un “capitolo” di questa affascinante storia è stato per Rocca la Bottarga bellissimo”.

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da concedere il bis agli Oscar gastronomici
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Produttori italiani  di piccole e medie dimensioni ma capaci di offrire grandi prodotti enogastronomici: è per far conoscere le loro eccellenze agroalimentari che è nato Crai Italy Food Awards, evento che ha visto l’edizione 2024 andare in scena  a Villa Renoir a Legnano, in provincia di Milano con ben 500 aziende iscritte e 137 salite sul palco dopo essersi aggiudicate uno fra i premi e le menzioni speciali in palio. Fra queste anche un’azienda sarda sinonimo di alta qualità nella preparazione di prelibatezze capaci di esaltare i sapori più “profondi” del mare: la  sarda “Rocca la Bottarga” che nella categoria  aziende ittiche, vinta da Castrovinci Sicilia, si è concessa un bis, assicurandosi sia una menzione speciale  sia  un premio speciale per la “Promozione del territorio – vendita e produzione di prodotti ittici. “Un doppio riconoscimento nella serata degli Oscar dedicati ai produttori agroalimentari italiani che ci ha reso felici e orgogliosi”, ha commentato Alexia Broi, responsabile commerciale dell’azienda  di Quartucciu, nel cagliaritano, la cui storia è “ancorata”  alla propria terra e racchiusa in  prodotti distribuiti nelle più importanti catene italiane della grande distribuzione, nelle principali strutture ho.re.ca. e nei canali all’ingrosso, con i ricercatissimi “vasetti” di bottarga, di polpa di granchio e di altre squisitezze presenti anche nei migliori negozi di diversi Paesi stranieri. “I Crai Italy Food Awards  sono diventati una vetrina importantissima per il sistema agroalimentare italiano , un veicolo per promuovere la  cultura agroalimentare e la tradizione del nostro Paese, semplicemente unico per storia, arte, ma anche tradizioni culinarie”, ha aggiunto Alexia Broi, “e aver scritto un “capitolo” di questa affascinante storia è stato per Rocca la Bottarga bellissimo”.

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Mototoscafi d’epoca, solo pochi cantieri sono “riconosciuti” per il refitting dei gioielli Riva https://www.mareonline.it/mototoscafi-depoca-solo-pochi-cantieri-sono-riconosciuti-per-il-refitting-dei-gioielli-riva/ https://www.mareonline.it/mototoscafi-depoca-solo-pochi-cantieri-sono-riconosciuti-per-il-refitting-dei-gioielli-riva/#comments Thu, 14 Mar 2024 18:29:18 +0000 https://www.mareonline.it/?p=52111 Ci sono moltissime imbarcazioni  che possono essere sottoposte a un refitting in moltissimi cantieri. E altre, poche o addirittura pochissime,  per le quali,per  qualsiasi intervento, dalla più piccola riparazione fino al rinnovo dell’intero scafo, è consigliabile (ma sarebbe più esatto dire obbligatorio) “approdare” invece   in pochissimi cantieri, altamente specializzati, capaci di restituire l’antico splendore a signore del mare spesso di una certa età, ma dalla bellezza senza tempo, protagoniste di navigazioni attraverso i decenni attraendo  puntualmente in modo irresistibile lo sguardo di  qualsiasi armatore incrociato lungo la rotta…. E’ il caso dei motoscafi d’epoca Riva, autentici gioielli del mare che richiedono l’intervento di veri e propri “orafi” della cantieristica nautica,  di artigiani entrati a far parte di una selezionatissima lista di superesperti “riconosciuta” dagli stessi cantieri Riva. A partire da Ram, il primo Riva boat service creato dallo stesso  ingegner Carlo Riva nel 1957 e che oggi fa parte dello Gruppo Ferretti che ha acquisito il marchio reso leggendario nel mondo dal suo più grande e inimitabile “timoniere” (clicca qui per leggere l’articolo dedicato a Carlo Riva); per proseguire con un minuscolo elenco di cantieri d’autore “autorizzati” a mettere mano a uno scafo Riva d’epoca: Nautica Casarola, a Lazise, sulle rive del Lago di Garda; Centro nautico Arcangeli, con sede a Salò; cantiere Nautico Barberis, di Castelletto Sopra Ticino, in provincia di Novara (tel. 0331 962656);   Yacht Club Erio Lario Matteri a Lezzeno,  sul lago di Como. Fino al laboratorio di   Giacomo Lazzari (tel. 035928460),  maestro d’ascia di  82 anni che  lavora il legno dagli anni ’50 e ha al suo attivo più di 200 barche Riva d’epoca in legno ristrutturate nell’intera carriera lavorativa nella sua “sartoria per le barche Riva che dista a pochissima distanza  dal cantiere di Sarnico dove la leggenda Riva è salpata. Per poi navigare sui mari e gli oceani di tutto il mondo. E per approdare, in caso di un refitting, rigorosamente in una manciata di cantieri. I soli “riconosciuti” dai Cantieri Riva.

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“riconosciuti” per il refitting dei gioielli Riva
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Ci sono moltissime imbarcazioni  che possono essere sottoposte a un refitting in moltissimi cantieri. E altre, poche o addirittura pochissime,  per le quali,per  qualsiasi intervento, dalla più piccola riparazione fino al rinnovo dell’intero scafo, è consigliabile (ma sarebbe più esatto dire obbligatorio) “approdare” invece   in pochissimi cantieri, altamente specializzati, capaci di restituire l’antico splendore a signore del mare spesso di una certa età, ma dalla bellezza senza tempo, protagoniste di navigazioni attraverso i decenni attraendo  puntualmente in modo irresistibile lo sguardo di  qualsiasi armatore incrociato lungo la rotta…. E’ il caso dei motoscafi d’epoca Riva, autentici gioielli del mare che richiedono l’intervento di veri e propri “orafi” della cantieristica nautica,  di artigiani entrati a far parte di una selezionatissima lista di superesperti “riconosciuta” dagli stessi cantieri Riva. A partire da Ram, il primo Riva boat service creato dallo stesso  ingegner Carlo Riva nel 1957 e che oggi fa parte dello Gruppo Ferretti che ha acquisito il marchio reso leggendario nel mondo dal suo più grande e inimitabile “timoniere” (clicca qui per leggere l’articolo dedicato a Carlo Riva); per proseguire con un minuscolo elenco di cantieri d’autore “autorizzati” a mettere mano a uno scafo Riva d’epoca: Nautica Casarola, a Lazise, sulle rive del Lago di Garda; Centro nautico Arcangeli, con sede a Salò; cantiere Nautico Barberis, di Castelletto Sopra Ticino, in provincia di Novara (tel. 0331 962656);   Yacht Club Erio Lario Matteri a Lezzeno,  sul lago di Como. Fino al laboratorio di   Giacomo Lazzari (tel. 035928460),  maestro d’ascia di  82 anni che  lavora il legno dagli anni ’50 e ha al suo attivo più di 200 barche Riva d’epoca in legno ristrutturate nell’intera carriera lavorativa nella sua “sartoria per le barche Riva che dista a pochissima distanza  dal cantiere di Sarnico dove la leggenda Riva è salpata. Per poi navigare sui mari e gli oceani di tutto il mondo. E per approdare, in caso di un refitting, rigorosamente in una manciata di cantieri. I soli “riconosciuti” dai Cantieri Riva.

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“riconosciuti” per il refitting dei gioielli Riva
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magiche che si muovono e si trasformano?
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In testa alla classifica delle rotte “a vela”più richieste dalla loro clientela, spesso affezionatissima, pronta a ripresentarsi puntualmente anno dopo anno all’imbarco, ci sono quelle che puntano verso le  isole della Croazia, attraversando l’Adriatico e approdando sull’Isola di Lussino, l’isola della vitalità per la sua qualità di vita e clima favorevole oltre che punto di partenza  perfetto per navigare, in  acque turchesi circondate da una  natura incontaminata, alla scoperta dell’arcipelago delle Isole Kornati, con le sue 147 isole e scogliere, da  Mljet, l’isola più boscosa dell’Adriatico con il 70 per cento della superficie ricoperta da verde e da foreste, a  Hvar, con la sua architettura e spiagge lussuose. A chi desidera invece più semplicemente fare una gita in gommone  l'”equipaggio” di Sailing Marina, realtà del boat renting con base  a Marina di Ravenna nel Porto turistico Marinara, una  propria  flotta composta sia da barche a vela (Beneteau Oceanis 46.1 e Bavaria C42) sia  a motore (Nautilus 19 LX), offre la possibilità di esplorare il mare Adriatico e le sue zone limitrofe iniziando dalla  foce del delta del Po e dai  suoi dintorni, tra cui Comacchio e l’Isola dell’Amore. Un approdo, quest’ultimo, come assicura Andrea Tinti, “portavoce” della società di noleggio di barche e gommoni, ” libera, selvaggia, dalla natura incontaminata, ideale per trascorrere una giornata circondati dalla bellezza di un’oasi naturale:  una riserva naturale dove non esistono sentieri ma che consente di camminare liberamente, sia sulla spiaggia sia nella parte più interna, dove si trovano le lagune”. Un’isola “capace davvero di far innamorare, grazie anche al suo  “scanno”, una lingua di sabbia nella quale si formano dune che si trasformano e si muovono con le maree e il vento, e dove l’unica costruzione che si trova è il Faro di Goro, costruito negli anni ’50, attualmente utilizzato come ristorante e hotel, dove è possibile trascorrere giorni e notti indimenticabili, gustare le migliori ricette di pesce e godere dei servizi della spiaggia attrezzata gestita dagli stessi titolari”. Proposte che l’affiatatissima squadra che gestisce  Sailing Marina offre “in pacchetti personalizzabili secondo le proprie esigenze, partendo da un noleggio esclusivo di mezza giornata, per quanto riguarda il gommone, fino a un noleggio di più settimane, per quanto riguarda le barche a vela”, conclude Angelica Tinti, “mettendo a disposizione di “vecchi” e nuovi clienti anche  l’organizzazione di eventi, pranzi, cene o aperitivi sulle nostre imbarcazioni con la possibilità di godere anche un servizio di skipper. Per scoprire di più sui nostri servizi basta navigare sul  sito www.sailingmarina.com o venire a trovarci nella nostra base al Porto turistico di Marinara a Marina di Ravenna, dove saremo felici di aiutarvi a realizzare le vostre vacanze dei sogni”.

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Abitare in mezzo al mare? Ecco le case faro costruite come moderne palafitte https://www.mareonline.it/un-po-case-un-po-fari-la-palafitte-moderne-che-portano-la-luce-sulle-acque-del-mare/ https://www.mareonline.it/un-po-case-un-po-fari-la-palafitte-moderne-che-portano-la-luce-sulle-acque-del-mare/#comments Thu, 14 Mar 2024 12:15:50 +0000 http://www.mareonline.it/?p=42084 Chi avesse la ventura di navigare per la prima volta sulle torpide acque della baia di Chesapeake, magari nelle prime ore di una mattina brumosa, potrebbe all’improvviso trovarsi davanti a uno spettacolo sconcertante. Una deliziosa casetta bianca in legno, dalla curiosa pianta esagonale, coperta da un tetto rosso brillante e una bella chiostra di abbaini, si erge tra le onde come se fosse la cosa più naturale al mondo. La sensazione di stranimento è ancora più intensa durante le alte maree, quando le acque solitamente placide della profonda insenatura nascondono alla vista i macigni accatastati come protezione ai piedi del bizzarro edificio. In effetti, a uno sguardo più attento questo si palesa ben presto per quello che è, ossia un faro, ma di un tipo davvero particolare. Il suo nome, Thomas Point Shoal Light, lo deve all’insidiosa secca la cui presenza sta a segnalare non solo con una brillante luce intermittente, ma anche con una potente sirena antinebbia. Ci troviamo lungo le frastagliate coste interne del Maryland, una delle tredici colonie che diedero origine ai moderni Stati Uniti, non lontano dalla capitale Annapolis. La baia di Chesapeake è una lunga valle fluviale scavata in tempi remotissimi dal fiume Susquehanna e poi modellata dall’erosione glaciale fino a circa 10.000 anni fa; l’enorme bacino idrografico, affacciato sull’Oceano Atlantico, è caratterizzato da acque poco profonde, rese insidiose dalla frequente presenza di secche e bassi fondali. Le costruzioni originali erano realizzate sulle secche, ma le fondamenta collassavano sempre Proprio per proteggere da questi pericoli i battelli per lo più diretti verso la florida Baltimora, già nei primi anni dell’Ottocento si decise di costruire una serie di fari lungo gli oltre 330 chilometri dell’insenatura. Edificati con le tecniche consuete, avevano la tipica forma a torre, ma ben presto manifestarono il loro fatale punto debole. Eretti su fondali poco consistenti e soggetti alla continua erosione esercitata dalle correnti, poco alla volta venivano minati alle fondamenta e infine collassavano sotto la micidiale spinta degli spessi lastroni di ghiaccio formatisi durante gli inverni più rigidi. Venne così proposto un progetto rivoluzionario e già sperimentato in Inghilterra, che prevedeva il posizionamento di palafitte costituite da robusti tubi di ferro letteralmente avvitati nei fondali sabbiosi, raccordati da una spaziosa piattaforma sulla quale veniva poi costruita con tecniche del tutto tradizionali una struttura abitativa munita di una torretta atta ad alloggiare il faro vero e proprio. Qui la fantasia dei costruttori poteva sbizzarrirsi, seguendo le mode architettoniche del momento: ciò spiega l’incongruente aspetto di questi particolarissimi fari, spesso simili a cottage di campagna. Il faro di Thomas Point Shoal è adesso un monumento di importanza storica Poiché la palificazione conferiva una certa elasticità alla struttura e offriva poca resistenza alle correnti e soprattutto ai ghiacci, questo tipo di faro ebbe larga diffusione lungo le poco profonde acque costiere del Maryland, del North Carolina e della Florida (ma non solo), tanto che, a partire dal 1848, ne vennero commissionati oltre settanta. Tuttavia, quello di Thomas Point Shoal – completato nel 1875 e... [Continua]

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faro costruite come moderne palafitte
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Chi avesse la ventura di navigare per la prima volta sulle torpide acque della baia di Chesapeake, magari nelle prime ore di una mattina brumosa, potrebbe all’improvviso trovarsi davanti a uno spettacolo sconcertante. Una deliziosa casetta bianca in legno, dalla curiosa pianta esagonale, coperta da un tetto rosso brillante e una bella chiostra di abbaini, si erge tra le onde come se fosse la cosa più naturale al mondo. La sensazione di stranimento è ancora più intensa durante le alte maree, quando le acque solitamente placide della profonda insenatura nascondono alla vista i macigni accatastati come protezione ai piedi del bizzarro edificio. In effetti, a uno sguardo più attento questo si palesa ben presto per quello che è, ossia un faro, ma di un tipo davvero particolare. Il suo nome, Thomas Point Shoal Light, lo deve all’insidiosa secca la cui presenza sta a segnalare non solo con una brillante luce intermittente, ma anche con una potente sirena antinebbia. Ci troviamo lungo le frastagliate coste interne del Maryland, una delle tredici colonie che diedero origine ai moderni Stati Uniti, non lontano dalla capitale Annapolis. La baia di Chesapeake è una lunga valle fluviale scavata in tempi remotissimi dal fiume Susquehanna e poi modellata dall’erosione glaciale fino a circa 10.000 anni fa; l’enorme bacino idrografico, affacciato sull’Oceano Atlantico, è caratterizzato da acque poco profonde, rese insidiose dalla frequente presenza di secche e bassi fondali.

Le costruzioni originali erano realizzate sulle secche, ma le fondamenta collassavano sempre

Proprio per proteggere da questi pericoli i battelli per lo più diretti verso la florida Baltimora, già nei primi anni dell’Ottocento si decise di costruire una serie di fari lungo gli oltre 330 chilometri dell’insenatura. Edificati con le tecniche consuete, avevano la tipica forma a torre, ma ben presto manifestarono il loro fatale punto debole. Eretti su fondali poco consistenti e soggetti alla continua erosione esercitata dalle correnti, poco alla volta venivano minati alle fondamenta e infine collassavano sotto la micidiale spinta degli spessi lastroni di ghiaccio formatisi durante gli inverni più rigidi. Venne così proposto un progetto rivoluzionario e già sperimentato in Inghilterra, che prevedeva il posizionamento di palafitte costituite da robusti tubi di ferro letteralmente avvitati nei fondali sabbiosi, raccordati da una spaziosa piattaforma sulla quale veniva poi costruita con tecniche del tutto tradizionali una struttura abitativa munita di una torretta atta ad alloggiare il faro vero e proprio. Qui la fantasia dei costruttori poteva sbizzarrirsi, seguendo le mode architettoniche del momento: ciò spiega l’incongruente aspetto di questi particolarissimi fari, spesso simili a cottage di campagna.

Il faro di Thomas Point Shoal è adesso un monumento di importanza storica

Poiché la palificazione conferiva una certa elasticità alla struttura e offriva poca resistenza alle correnti e soprattutto ai ghiacci, questo tipo di faro ebbe larga diffusione lungo le poco profonde acque costiere del Maryland, del North Carolina e della Florida (ma non solo), tanto che, a partire dal 1848, ne vennero commissionati oltre settanta. Tuttavia, quello di Thomas Point Shoal – completato nel 1875 e oggi classificato come monumento di importanza storica – è oggi l’ultimo rimasto nella sua posizione originaria, mentre tutti gli altri sono andati distrutti o, smontati, sono stati trasferiti altrove e adattati a funzioni diverse. Un celebre esempio di reimpiego è costituito dal faro di Drum Point, spostato nel 1975 spostato sull’isola Solomons, noto luogo di villeggiatura della Chesapeake Bay, dove è divenuto il fiore all’occhiello del Calvert Maritime Museum. Se dei cosiddetti screw-pile lighthouses sono purtroppo rimasti ben pochi superstiti, una più fortunata sorte è toccata a un altro bizzarro tipo di faro, comune non solo nella baia di Chesapeake, ma in molti altri punti delle coste atlantiche statunitensi: si tratta dei fari a cassone, o caisson lighthouses.

Dopo i fari sulle palafitte nacquero quelli a cassone con un basamento in ghisa o in cemento armato

Ideati sul finire del Diciannovesimo secolo, sono costituiti appunto da un grande cassone cilindrico cavo – per lo più in lastre di ghisa, ma anche in cemento armato – che veniva rimorchiato in prossimità della secca e quindi zavorrato fino ad appoggiarsi sul fondo sabbioso. Una volta che questo massiccio basamento si era perfettamente stabilizzato, gli operai potevano erigere sulla piattaforma l’abitazione del guardiano del faro, con la consueta torretta nella quale era ospitata la potente lampada di segnalazione ed eventualmente una sirena antinebbia. Anche in questo caso, il gusto dei progettisti diede origine a un proliferare di surreali cottage e casette, dipinte in genere di bianco o rosso squillante, alcuni dei quali hanno un’inquietante somiglianza con la villetta abitata dal disturbato protagonista di Pshyco, capolavoro di Alfred Hitchcock. Più economici e robusti dei fari su palafitta, i caisson lighthouses giunti fino ai giorni nostri sono autentici capolavori ingegneristici e una gioia per gli occhi; tra i più celebri (e fotografati) vanno ricordati almeno il Wolf Trap Light, al largo delle coste della Virginia, e il Baltimore Harbor Light, entrambi nella baia di Chesapeake.

Alcuni di questi straordinari fari sono diventati esclusivi bed & breakfast

Giustamente considerati monumenti storici, oggi questi magnifici fari per lo più appartengono all’amministrazione pubblica o ad associazioni amatoriali, ma in qualche caso sono stati acquistati da privati, che ne hanno fatto eremi di lusso o li hanno trasformati in esclusivi bed & breakfast. Curiosamente, sebbene ormai la navigazione si avvalga di sistemi digitali satellitari molto avanzati come Loran e Gps, la Guardia Costiera nella maggioranza dei casi mantiene ancora operativi i loro sistemi ottici, ormai alimentati ad energia solare. In più di un caso, addirittura, sono state le locali compagnie di navigazione e associazioni velistiche a reclamare con enfasi il buon funzionamento degli antiquati segnali luminosi. Come dire: la rivincita delle tradizioni sulla moderna tecnologia.

Testo di Fabio Bourbon pubblicato sul numero 92 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

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faro costruite come moderne palafitte
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Barche “panciute”? Trasportarle non è più un problema con i carrelli ad “ali di gabbiano” https://www.mareonline.it/barche-panciute-trasportarle-non-e-piu-un-problema-con-i-carrelli-ad-ali-di-gabbiano/ https://www.mareonline.it/barche-panciute-trasportarle-non-e-piu-un-problema-con-i-carrelli-ad-ali-di-gabbiano/#respond Thu, 14 Mar 2024 11:58:22 +0000 https://www.mareonline.it/?p=49719 Ali di gabbiano: tre parole che agli appassionati di quattro ruote fanno venire immediatamente in mente le portiere di alcune fra più affascinanti auto sportive. A partire dalla Mercedes-Benz 300 SL del 1954, la prima a utilizzare questa soluzione, con le portiere “incernierate” sul tetto, che per le difficoltà nel realizzare la struttura, oltre che per i costi di realizzazione, è diventata sin dal suo debutto sinonimo di esclusività.  Esattamente come la “Gullwing” nome (che tradotto significa appunto ali di gabbiano) scelto per la sportiva di lusso della casa tedesca “stellata”. A chi all’asfalto della strada (e delle piste) preferisce le acque di mari e oceani ed è un profondo conoscitore dell’affascinante mondo del refitting nautico, ali di gabbiano sono tre parole destinate invece a far pensare ai nuovi invasi per barche a vela trasportabili con carrelli motorizzati realizzati dalla Navaltecnosud di Bari, azienda dove sembra non possa trascorrere giorno senza che all’orizzonte spuntino nuove “creazioni”. Carrelli dove i puntelli posizionati al centro sella sono dotati di bracci ad ali di gabbiano, appunto, dedicate a chi possiede carrelli stretti e deve gestire barche a vela invece “panciute”. Una nuova “invenzione”, nata per rispondere  a una richiesta fatta alla Navaltecnosud  da Fortunato Moratto e Francesco Bortolussi, di Marina Sant’Andrea San Giorgio di Nogaro, che Roberto Spadavecchia  e i suoi più stretti collaboratori hanno immediatamente varato  seguendo la rotta che da sempre si è dimostrata vincente: salpare dalla tradizione appresa dal passato per  continuare ad abbinare soluzioni pensate per il futuro. In una sorta di continuo “Ritorno al futuro”, titolo di un celebre film che ha per protagonista un’auto super sportiva, la DeLorean DMC-12, capace di viaggiare nel tempo. Un’auto che, guarda caso, aveva le portiere ad ali di gabbiano… Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & immagine srl per mareonline.it  

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un problema con i carrelli ad “ali di gabbiano”
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Ali di gabbiano: tre parole che agli appassionati di quattro ruote fanno venire immediatamente in mente le portiere di alcune fra più affascinanti auto sportive. A partire dalla Mercedes-Benz 300 SL del 1954, la prima a utilizzare questa soluzione, con le portiere “incernierate” sul tetto, che per le difficoltà nel realizzare la struttura, oltre che per i costi di realizzazione, è diventata sin dal suo debutto sinonimo di esclusività.  Esattamente come la “Gullwing” nome (che tradotto significa appunto ali di gabbiano) scelto per la sportiva di lusso della casa tedesca “stellata”. A chi all’asfalto della strada (e delle piste) preferisce le acque di mari e oceani ed è un profondo conoscitore dell’affascinante mondo del refitting nautico, ali di gabbiano sono tre parole destinate invece a far pensare ai nuovi invasi per barche a vela trasportabili con carrelli motorizzati realizzati dalla Navaltecnosud di Bari, azienda dove sembra non possa trascorrere giorno senza che all’orizzonte spuntino nuove “creazioni”. Carrelli dove i puntelli posizionati al centro sella sono dotati di bracci ad ali di gabbiano, appunto, dedicate a chi possiede carrelli stretti e deve gestire barche a vela invece “panciute”. Una nuova “invenzione”, nata per rispondere  a una richiesta fatta alla Navaltecnosud  da Fortunato Moratto e Francesco Bortolussi, di Marina Sant’Andrea San Giorgio di Nogaro, che Roberto Spadavecchia  e i suoi più stretti collaboratori hanno immediatamente varato  seguendo la rotta che da sempre si è dimostrata vincente: salpare dalla tradizione appresa dal passato per  continuare ad abbinare soluzioni pensate per il futuro. In una sorta di continuo “Ritorno al futuro”, titolo di un celebre film che ha per protagonista un’auto super sportiva, la DeLorean DMC-12, capace di viaggiare nel tempo. Un’auto che, guarda caso, aveva le portiere ad ali di gabbiano…

Testo realizzato da Baskerville Comunicazione & immagine srl per mareonline.it

 

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un problema con i carrelli ad “ali di gabbiano”
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Modellini di barche in scatola, così diventano dei capolavori https://www.mareonline.it/piergiorgio-turra-ecco-come-da-un-modellino-in-scatola-puo-nascere-un-pezzo-unico/ https://www.mareonline.it/piergiorgio-turra-ecco-come-da-un-modellino-in-scatola-puo-nascere-un-pezzo-unico/#comments Thu, 14 Mar 2024 11:55:19 +0000 http://www.mareonline.it/?p=865 I primi esemplari conosciuti di navi in miniatura sono quelli ritrovati nelle antiche tombe delle popolazioni del Medio Oriente. Si ritiene che fossero delle offerte sacre, come per i modelli cretesi, oppure che servissero al defunto nel suo viaggio verso il mondo dei morti, come per quelli dell’antico Egitto. La costruzione di modelli navali propriamente detti, risale invece agli inizi del XV secolo. In principio furono vecchi marinai che, sulla scorta dei loro ricordi o per pura passione, realizzarono i primi esemplari. Questi modelli, anche se frutto del massimo impegno e di tanta abilità, possedevano tuttavia delle parti o dei singoli pezzi non perfettamente in scala con l’originale. Al giorno d’oggi la precisione offerta dalla tecnica e una ricca documentazione permettono al modellista di scegliere cosa costruire tra una vasta gamma di modelli navali di diverse epoche. In aiuto del principiante sono in vendita scatole di montaggio con istruzioni dettagliate, con i pezzi principali già tagliati, il cui montaggio e finitura è lasciato alla pazienza e alla passione del singolo. Ecco allora che il neo modellista, con il passare degli anni, ha la possibilità di arricchire la propria esperienza, ricorrendo a volte al consiglio di amici già esperti o acquisendo nuove documentazioni. Un esempio di come la serie può diventare fuoriserie? Il  vascello di 1° rango Royal William In tale modo egli potrà via via migliorare il proprio modello rispetto a quello offerto dalla pura e semplice scatola di montaggio. Questo miglioramento continuo, questa progressiva maturazione, è ben visibile visitando le manifestazioni modellistiche navali, ed è proprio in una di queste mostre che il nostro interesse si è soffermato su un modello derivato sì da una scatola di montaggio, ma sensibilmente elaborato e migliorato dal modellista che lo esponeva. Si tratta del modello del vascello di 1° rango Royal William. Varato a Portsmouth nel 1719, partecipò alle operazioni navali per la liberazione di Gibilterra nel 1782, quando fu anche impegnato nel tentativo di recupero del vascello Royal George, che si era capovolto nello stesso anno a Spithead. La sua ultima destinazione fu come guardaporto a Portsmonth fino al 1813, anno della sua demolizione. Il modello è stato realizzato da Piergiorgio Turra, bresciano e assiduo frequentatore di mostre modellistiche un po’ ovunque per l’Italia, diventato modellista dopo che un suo amico aveva acquistato la scatola di montaggio di un piccola barca da diporto divertendosi moltissimo nel costruirla. Il primo modello non si scorda mai. Anche se sono passati 30 anni da quel Flyng Fish… Da allora sono trascorsi 30 anni, ma l’immagine di quel primo modello è ancora ben chiaro nella sua memoria: il famoso Flyng Fish, imbarcazione adattissima per i modellisti alle prime armi. Durante la sua vita di modellista, Turra ha poi ricostruito questa imbarcazione altre due volte (senza però usare più alcuna scatola di montaggio) che contribuiscono a formare la sua personale flotta di oltre 40 esemplari, tra barche da pesca, da diporto, da trasporto e da esplorazione, galeoni, corvette e vascelli minori. Mancava, in quella collezione costruita nel suo... [Continua]

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così diventano dei capolavori
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I primi esemplari conosciuti di navi in miniatura sono quelli ritrovati nelle antiche tombe delle popolazioni del Medio Oriente. Si ritiene che fossero delle offerte sacre, come per i modelli cretesi, oppure che servissero al defunto nel suo viaggio verso il mondo dei morti, come per quelli dell’antico Egitto. La costruzione di modelli navali propriamente detti, risale invece agli inizi del XV secolo. In principio furono vecchi marinai che, sulla scorta dei loro ricordi o per pura passione, realizzarono i primi esemplari. Questi modelli, anche se frutto del massimo impegno e di tanta abilità, possedevano tuttavia delle parti o dei singoli pezzi non perfettamente in scala con l’originale.

Al giorno d’oggi la precisione offerta dalla tecnica e una ricca documentazione permettono al modellista di scegliere cosa costruire tra una vasta gamma di modelli navali di diverse epoche. In aiuto del principiante sono in vendita scatole di montaggio con istruzioni dettagliate, con i pezzi principali già tagliati, il cui montaggio e finitura è lasciato alla pazienza e alla passione del singolo. Ecco allora che il neo modellista, con il passare degli anni, ha la possibilità di arricchire la propria esperienza, ricorrendo a volte al consiglio di amici già esperti o acquisendo nuove documentazioni.

Un esempio di come la serie può diventare fuoriserie? Il  vascello di 1° rango Royal William

In tale modo egli potrà via via migliorare il proprio modello rispetto a quello offerto dalla pura e semplice scatola di montaggio. Questo miglioramento continuo, questa progressiva maturazione, è ben visibile visitando le manifestazioni modellistiche navali, ed è proprio in una di queste mostre che il nostro interesse si è soffermato su un modello derivato sì da una scatola di montaggio, ma sensibilmente elaborato e migliorato dal modellista che lo esponeva. Si tratta del modello del vascello di 1° rango Royal William. Varato a Portsmouth nel 1719, partecipò alle operazioni navali per la liberazione di Gibilterra nel 1782, quando fu anche impegnato nel tentativo di recupero del vascello Royal George, che si era capovolto nello stesso anno a Spithead. La sua ultima destinazione fu come guardaporto a Portsmonth fino al 1813, anno della sua demolizione. Il modello è stato realizzato da Piergiorgio Turra, bresciano e assiduo frequentatore di mostre modellistiche un po’ ovunque per l’Italia, diventato modellista dopo che un suo amico aveva acquistato la scatola di montaggio di un piccola barca da diporto divertendosi moltissimo nel costruirla.

Il primo modello non si scorda mai. Anche se sono passati 30 anni da quel Flyng Fish…

Da allora sono trascorsi 30 anni, ma l’immagine di quel primo modello è ancora ben chiaro nella sua memoria: il famoso Flyng Fish, imbarcazione adattissima per i modellisti alle prime armi. Durante la sua vita di modellista, Turra ha poi ricostruito questa imbarcazione altre due volte (senza però usare più alcuna scatola di montaggio) che contribuiscono a formare la sua personale flotta di oltre 40 esemplari, tra barche da pesca, da diporto, da trasporto e da esplorazione, galeoni, corvette e vascelli minori. Mancava, in quella collezione costruita nel suo ampio laboratorio-cantiere di circa 100 metri quadrati, , proprio un vascello di 1° rango. Come la  Royal William  che ha sempre esercitato su  Turra un particolare fascino, fin da quando aveva visto su un vecchio manuale di modellismo, delle fotografie del’esemplare esposto al National Marittime Museum di Greenwich.

I pezzi aggiunti? Gli argani per le gomene delle ancore, i pagliolati, le scale…

Così, quando è venuto a conoscenza che in commercio esisteva una scatola di montaggio di questo vascello, l’ha comprata senza esitare, staccandosi però dalle istruzioni della scatola di montaggio e iniziando, dopo essersi documentato a fondo anche grazie all’aiuto di un carissimo amico e grande appassionato particolarmente documentato sull’architettura navale, a curare la finitura dei ponti inferiori,  arredandoli con tutti i cannoni completi di affusto (nelle istruzioni della scatola indicavano di inserire le mezze canne), autocostruendo gli argani per le gomene delle ancore, i pagliolati e tutte le scale che collegano i ponti inferiori con i ponti di batteria. Un lavoro che può sembrare inutile, visto che  fasciando la nave ben poco di tutto quel lavoro è visibile, ma che ha reso il modello unico grazie anche alla scelta di dipingere con colori a olio i fregi delle fiancate, le decorazione di poppa e la polena e  usando un sistema di invecchiamento per renderle più verosimili alle sculture in legno del vascello… E unica è stata la soddisfazione d’averlo realizzato, dimostrando che si può realizzare un meraviglioso vascello anche partendo da una normale scatola di montaggio. Un esempio e un incoraggiamento per chi volesse avvicinarsi al modellismo.

Libero adattamento per mareonline.it del testo di Edgardo Facchi pubblicato sul numero 47 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini di Umberto Pagnoni  sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

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così diventano dei capolavori
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Onda anomala, un mostro alto 30 metri che ha inghiottito oltre 200 navi https://www.mareonline.it/onda-anomala-un-mostro-alto-fino-a-trenta-metri-che-ha-affondato-oltre-200-navi-in-soli-20-anni/ https://www.mareonline.it/onda-anomala-un-mostro-alto-fino-a-trenta-metri-che-ha-affondato-oltre-200-navi-in-soli-20-anni/#respond Thu, 14 Mar 2024 11:30:09 +0000 http://www.mareonline.it/?p=1744 Innalzamenti anomali delle onde di 20-30 metri di altezza hanno causato la scomparsa in mare di più di 200 grosse navi negli ultimi 20 anni. L’onda anomala è intesa come una ondata più alta delle altre nel susseguirsi delle onde per un dato stato del mare (da non confondere con lo tsunami causato da terremoti sottomarini). La differenza principale tra le onde anomale e gli tsunami sta nel fatto che le prime si producono anche in pieno oceano, mentre i secondi si amplificano solo avvicinandosi alle coste. Le onde anomale possono arrivare in gruppi, denominati treni d’onda, più frequentemente composti di tre, come quelle che colpirono la nave Caledonian Star il 2 marzo 2001, oppure in una singola onda di tempesta gigante, tipo quella che investì la MS Bremen il 22 febbraio 2001 e la piattaforma petrolifera Draupner nel Mar del Nord, al largo delle coste norvegesi il 1° gennaio 1995. Fu questo il primo caso di onda anomala misurata da uno strumento che registrò un’altezza di 25,6m, 2 volte e mezzo le onde che la precedevano e seguivano. Il 3 marzo 2010, onde killer colpirono la Majestic, in navigazione da Genova a Barcellona, uccidendo 2 persone e ferendone altre, oltre ad abbattere la vetrata panoramica del salone. Le correnti che vanno in senso contrario al moto ondoso possono far “impennare” il mare In alcuni casi il meccanismo di formazione dell’onda anomala è la sovrapposizione di due treni d’onda provenienti da diverse direzioni che creano un’improvvisa impennata nel moto del mare (upsurge). Alcuni studiosi ritengono che le zone maggiormente a rischio possano essere quelle dove una forte corrente si muove in senso contrario alla direzione principale del moto ondoso. Sono inoltre orientati a pensare che esista una certa forma di linearità nel modo in cui queste onde si sviluppano anche se ancora oggi non esistono certezze sulla loro origine. Un primo tentativo pratico di identificare le onde anomale è stato fatto dall’università di Miami utilizzando le immagini radar dei satelliti della Nasa. Testo di Gianfranco Meggiorin pubblicato sul numero 66 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini  sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

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che ha inghiottito oltre 200 navi
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Innalzamenti anomali delle onde di 20-30 metri di altezza hanno causato la scomparsa in mare di più di 200 grosse navi negli ultimi 20 anni. L’onda anomala è intesa come una ondata più alta delle altre nel susseguirsi delle onde per un dato stato del mare (da non confondere con lo tsunami causato da terremoti sottomarini). La differenza principale tra le onde anomale e gli tsunami sta nel fatto che le prime si producono anche in pieno oceano, mentre i secondi si amplificano solo avvicinandosi alle coste.

Le onde anomale possono arrivare in gruppi, denominati treni d’onda, più frequentemente composti di tre, come quelle che colpirono la nave Caledonian Star il 2 marzo 2001, oppure in una singola onda di tempesta gigante, tipo quella che investì la MS Bremen il 22 febbraio 2001 e la piattaforma petrolifera Draupner nel Mar del Nord, al largo delle coste norvegesi il 1° gennaio 1995. Fu questo il primo caso di onda anomala misurata da uno strumento che registrò un’altezza di 25,6m, 2 volte e mezzo le onde che la precedevano e seguivano. Il 3 marzo 2010, onde killer colpirono la Majestic, in navigazione da Genova a Barcellona, uccidendo 2 persone e ferendone altre, oltre ad abbattere la vetrata panoramica del salone.

Le correnti che vanno in senso contrario al moto ondoso possono far “impennare” il mare

In alcuni casi il meccanismo di formazione dell’onda anomala è la sovrapposizione di due treni d’onda provenienti da diverse direzioni che creano un’improvvisa impennata nel moto del mare (upsurge). Alcuni studiosi ritengono che le zone maggiormente a rischio possano essere quelle dove una forte corrente si muove in senso contrario alla direzione principale del moto ondoso. Sono inoltre orientati a pensare che esista una certa forma di linearità nel modo in cui queste onde si sviluppano anche se ancora oggi non esistono certezze sulla loro origine. Un primo tentativo pratico di identificare le onde anomale è stato fatto dall’università di Miami utilizzando le immagini radar dei satelliti della Nasa.

Testo di Gianfranco Meggiorin pubblicato sul numero 66 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini  sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

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che ha inghiottito oltre 200 navi
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Navigatori e stelle, il libro che fa approdare i lettori dove il mare e il cielo si incontrano https://www.mareonline.it/navigatori-e-stelle-il-libro-dovo-il-mare-e-il-cielo-di-incontrano/ https://www.mareonline.it/navigatori-e-stelle-il-libro-dovo-il-mare-e-il-cielo-di-incontrano/#respond Thu, 14 Mar 2024 10:44:10 +0000 https://www.mareonline.it/?p=49474 I grandi viaggi di esplorazione hanno posto enormi ostacoli ai marinai di ogni epoca: tra questi, la difficile sfida dell’orientamento. Lontani dalle coste e senza punti di riferimento, gli uomini di mare si sono rivolti alle stelle. Cielo e mare: due infiniti che si incontrano all’orizzonte, legati indissolubilmente nell’esplorazione dell’ignoto e nella scoperta di nuovi mondi. Il libro “Navigatori e stelle” di Loris Lazzati, (edizioni Geo4map, collana Libreria Geografica, 288 pagine, 28 euro) ripercorre un’epopea millenaria, dagli antichi navigatori polinesiani fino a James Cook e al capitano Sumner, raccontando i grandi viaggi della storia attraverso i resoconti e le emozioni dei loro protagonisti. Due i poli attorno a cui ruota il libro: l’epica ricerca di nuove terre e l’orientamento con le stelle. Il tema abbraccia per sua natura moltissimi campi: storia, geografia, nautica, letteratura e soprattutto, dato l’obiettivo del volume, astronomia. Il tutto con un taglio divulgativo e accessibile a tutti. Sono molti i volumi che trattano questi argomenti, ma “Navigatori e stelle” colma probabilmente un vuoto: unisce in un solo volume, di dimensioni consistenti ma di lettura agilissima, l’intera storia della navigazione oceanica, affiancata agli sviluppi dei sistemi di orientamento. Ampio spazio viene dato alle grandi rivoluzioni: la bussola, il sestante, le tabelle del moto lunare, le rette d’altezza. E alla madre di tutte le sfide: la longitudine. Un volume curatissimo dal punto di vista grafico, con foto pregevoli, mappe di lettura immediata e diagrammi chiarissimi, che semplificano concetti non sempre semplici. Un testo in grado di avvicinare a temi di grande fascino anche il lettore più digiuno di conoscenze, ma che non può mancare nemmeno nella collezione dei cultori di marineria e astronomia. Indicatissimo, per il suo taglio e la sua natura multidisciplinare, per le scuole di ogni ordine e grado.

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I grandi viaggi di esplorazione hanno posto enormi ostacoli ai marinai di ogni epoca: tra questi, la difficile sfida dell’orientamento. Lontani dalle coste e senza punti di riferimento, gli uomini di mare si sono rivolti alle stelle. Cielo e mare: due infiniti che si incontrano all’orizzonte, legati indissolubilmente nell’esplorazione dell’ignoto e nella scoperta di nuovi mondi. Il libro “Navigatori e stelle” di Loris Lazzati, (edizioni Geo4map, collana Libreria Geografica, 288 pagine, 28 euro) ripercorre un’epopea millenaria, dagli antichi navigatori polinesiani fino a James Cook e al capitano Sumner, raccontando i grandi viaggi della storia attraverso i resoconti e le emozioni dei loro protagonisti. Due i poli attorno a cui ruota il libro: l’epica ricerca di nuove terre e l’orientamento con le stelle. Il tema abbraccia per sua natura moltissimi campi: storia, geografia, nautica, letteratura e soprattutto, dato l’obiettivo del volume, astronomia. Il tutto con un taglio divulgativo e accessibile a tutti. Sono molti i volumi che trattano questi argomenti, ma “Navigatori e stelle” colma probabilmente un vuoto: unisce in un solo volume, di dimensioni consistenti ma di lettura agilissima, l’intera storia della navigazione oceanica, affiancata agli sviluppi dei sistemi di orientamento. Ampio spazio viene dato alle grandi rivoluzioni: la bussola, il sestante, le tabelle del moto lunare, le rette d’altezza. E alla madre di tutte le sfide: la longitudine. Un volume curatissimo dal punto di vista grafico, con foto pregevoli, mappe di lettura immediata e diagrammi chiarissimi, che semplificano concetti non sempre semplici. Un testo in grado di avvicinare a temi di grande fascino anche il lettore più digiuno di conoscenze, ma che non può mancare nemmeno nella collezione dei cultori di marineria e astronomia. Indicatissimo, per il suo taglio e la sua natura multidisciplinare, per le scuole di ogni ordine e grado.

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