Qualcuno si è mai chiesto da dove arrivano i nomi dei fenomeni atmosferici? Perché malediciamo i vari Minosse, Scipione o Caligola quando il caldo afoso d’estate fa boccheggiare tutta l’area mediterranea, oppure ci rattristiamo sentendo nominare Katrina o Sandy, due degli uragani più violenti del recente passato? Se per quanto riguarda le ondate di calore la tradizione è abbastanza recente, i battezzatori delle tempeste oceaniche hanno una lunga tradizione. Il primo metodo utilizzato fu quello di scegliere il nome del santo
celebrato nel giorno in cui si manifestava l’uragano. Dopo che Porto Rico fu colpito per due volte, a distanza di mezzo secolo, da un uragano manifestatosi il 13 settembre, giorno in cui si celebra San Felice, si decise di utilizzare un criterio differente. Si passò, così, a quello geografico, chiamando il fenomeno atmosferico con le coordinate in cui si generava. Un metodo che risolveva l’inconveniente dei doppioni, ma creava qualche problema di comunicazione e, si sa, la velocità con la quale arriva un messaggio, in caso di tempesta, non è indifferente.
Per questo motivo si iniziarono a scegliere dei nomi propri, possibilimente brevi. E siccome, secondo una antica credenza marinara, le donne a bordo portano sfortuna, il World Meteorological Organization, l’agenzia meteorologica statunitense, decise, durante la Seconda guerra mondiale, di nominare le tempeste atlantiche con nomi femminili. Poi, nel 1953, vennero stilati sei elenchi di nomi di donna, uno per ogni lettera dell’alfabeto anglosassone, da assegnare agli uragani. Sembra che ci fosse una notevole corrispondenza fra questi elenchi e i nomi delle suocere dei meteorologi del Wmo. La tradizione è durata fino al 1979 quando un gruppo di femministe chiese di aggiungere alla lista anche nomi maschili. Qualcuno sostiene che il cambiamento fu motivato dall’ingresso, nel team del Wmo, di numerose donne, alcune particolarmente convincenti, ma la cosa certa è che, da quell’anno, anche molti maschietti (Igor, per esempio, ma anche Gustav, Ike, Dean e Felix) iniziarono a imperversare sugli oceani causando morti e devastazioni.
Per fortuna, non tutte le tempeste hanno conseguenze gravi, nonostante la loro violenza. È il caso della tempesta Petra, causata dalla Depressione d’Islanda nella prima decade di febbraio 2014. Per due giorni Petra ha scatenato tutta la sua violenza sulle coste della Francia settentrionale e del Regno Unito, due giorni durante i quali il vento ha raggiunto velocità terrificanti superando i 150 chilometri orari in alcune zone del Massiccio Centrale e i 130 chilometri orari sulla costa. Il mare si è increspato in modo straordinariamente innaturale, creando onde che hanno tagliato l’aria oltre venti metri sopra il livello normale delle acque e permettendo ai cacciatori di immagini forti di immortalare momenti di selvaggia bellezza. La precisione delle previsioni meteorologiche e la tempestività della comunicazione hanno fatto sì che non ci fossero morti, ma le mareggiate provocate da Petra potrebbero aver influito sull’incidente di un cargo spagnolo, Luno, spezzatosi in due di fronte alle coste di Anglet.
Siccome piove sempre sul bagnato, Petra non è arrivata da sola. Ha infatti preceduto, a distanza di qualche giorno, l’ennesima creatura delle Depressione d’Islanda, la tempesta Qumaira, a sua volta seguita da Ruth e Stephanie, anche se quest’ultima ha pensato bene di scatenare gran parte della sua rabbia lungo le coste iberiche. Petra, Qumaria, Ruth e Stephanie; nomi femminili, ma questa volta il World Meteorological Organization non c’entra. I battesimi sono stati celebrati in mezzo all’Europa, a circa un migliaio di chilometri dalla costa atlantica. La cerimonia viene officiata dall’Istituto di meteorologia dell’università di Berlino, che ha lanciato dal 2002 l’incredibile iniziativa Adotta un vortice, un servizio attraverso il quale chiunque può assegnare a una tempesta il nome voluto al modico prezzo di 199 euro. Per gli anticicloni, che sono merce decisamente più rara, la cifra sale a 299 euro. Si tratta di un servizio che assicura all’Istituto tedesco un guadagno che varia da 25mila ai 30mila euro l’anno e a qualche ignoto cittadino soddisfazioni impareggiabili. Se avete una suocera particolarmente fastidiosa da far maledire, in fondo, la cifra da investire non è particolarmente alta.