La spedizione di attraversamento via terra del continente Antartico da parte di Ernest Shackleton e dei suoi uomini terminò nel gennaio del 1915, senza essere praticamente cominciata, con la nave Endurance stritolata dalla morsa dei ghiacci del mare di Weddell. Seguirono lunghi mesi alla deriva sul pack, fin quando l’esploratore non decise per l’extrema ratio: raggiungere la stazione baleniera Stromness, in Georgia Australe, distante circa 700 miglia, a bordo della scialuppa James Caird con altri cinque compagni. Qui allertò i soccorsi
per salvare il resto della spedizione rimasta in attesa a Elephant Island. Non ci fu alcuna perdita umana e il comportamento di Sir Shackleton rimane tuttora un mirabile esempio di leadership ed eccezionali doti di navigatore.
A distanza di quasi un secolo, la nipote dell’esploratore britannico, Alexandra, ha promosso la rievocazione della storica impresa di Ernest Shackleton e ne ha affidato la realizzazione a un team guidato da Tim Jarvis, australiano, scienziato esperto in spedizioni antartiche. L’idea era quella di ripercorrere il viaggio da Elephant Island alla stazione baleniera di Stromness, in Georgia Australe, nelle medesime condizioni incontrate dall’esploratore con i suoi uomini: stessa barca e, soprattutto, stesse attrezzature. Dall’abbigliamento all’alimentazione, tutto è stato fedelmente ricostruito affinché l’impresa potesse essere rivissuta nei suoi termini originari. Nessun tessuto particolare per l’abbigliamento tecnico, nessun Gps per navigare, solo bussola e sestante uguali agli originali. Anche il cibo, una sorta di lardo, è stato il medesimo del tempo. Oltre a Tim Jarvis, l’expedition leader, hanno preso parte all’impresa Nick Bubb, skipper dell’Alexandra Shackleton, veterano della Volvo Ocean Race, Seb Coulthard, nostromo della Royal Navy, responsabile dell’allestimento della barca, Barry Gray, capo istruttore alpino dei Royal Marines, responsabile per l’attraversamento della Georgia Australe, Ed Wardle, filmmaker, membro della spedizione a tutti gli effetti, incaricato delle riprese per il documentario e Paul Larsen, navigatore. Ultimo in questo elenco, Larsen è stato il protagonista principale della parte di navigazione nonché uno dei personaggi più conosciuti nel mondo della vela. Poco prima di imbarcarsi sull’Alexandra Shackleton, aveva fatto segnare il record mondiale di velocità a vela a bordo del Vestas Sailrocket 2: 65,45 nodi. Davvero niente a che fare con una scialuppa di legno che ha fatto segnare una velocità media non superiore ai 3 nodi.
La navigazione da Elephant Island è durata poco più di 11 giorni, giorni nei quali l’equipaggio ha sperimentato venti a 40 nodi, onde lunghe 6 metri, come la scialuppa stessa, in pratica, ghiaccio alla deriva, bonacce, scarsissima visibilità nell’approccio alla meta e un freddo così intenso, da portare a principi di congelamento. Rispetto al disperato viaggio per la salvezza originario, la sua rievocazione ha dovuto fare i conti con alcuni aspetti della modernità, tra cui leggi, burocrazie, dotazioni di sicurezza e obblighi tali da rendere la preparazione molto difficoltosa. Per esempio, è stato fatto obbligo di avere una nave appoggio in grado di intervenire, anche se poi il momento più rischioso è stato all’arrivo, quando l’Alexandra Shackleton ha rischiato di andare a schiantarsi contro gli scogli in una zona dove la nave non avrebbe comunque potuto avvicinarsi per mettere in salvo l’equipaggio. “Una delle difficoltà maggiori”, ha raccontato Paul Larsen, “è stata quella di atterrare nel King Haakon Sound dove arrivò Shackleton. La manovrabilità di una scialuppa con vele di cotone è davvero ridottissima, non si può risalire il vento oltre al traverso e ci siamo trovati davvero troppo vicini a costa, nella nebbia, con il serio rischio di andare a sbattere contro gli scogli. A bordo solo Nick Bubb e io avevamo esperienza di navigazione a vela; quello è stato il momento più difficile. Siamo fortunatamente riusciti a doppiare il capo che ci separava dalla baia di arrivo. Dopo aver navigato oltre 10 giorni verso la Georgia Australe in condizioni davvero difficili, ci siamo improvvisamente trovati a doverla evitare per non naufragare”.
Una volta toccata la terraferma, il gruppo è partito per la traversata tra le montagne e i crepacci. Nella prima notte un Blizzard a oltre 70 nodi ha stracciato la tenda in cotone. Esattamente come accadde nel 1916, tre uomini sono dovuti tornare alla barca. Solo Tim Jarvis e Barry Gray sono riusciti a proseguire, successivamente raggiunti da Larsen, fino alla stazione baleniera. Il gruppo si è infine riunito a Grytviken a rendere omaggio alla tomba dell’esploratore, sepolto nel 1922 quando trovò la morte durante la sua ultima spedizione polare.
Testo di Giuliano Luzzatto, pubblicato sul numero 76 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 18 Ottobre 2014 da admin | in Storie | tag: Alexandra Shackleton, Georgia Australe, Grytviken, Paul Larsen, Tim Jarvis | commenti: 0