Se volete sapere dove si trova in questo momento OGS Explora, la più grande nave italiana di ricerca proprietà dell’OGS (l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale) di Trieste basta un click sul sito http://www.vesselfinder.com/it/?imo=7310868. In tempo reale ecco la sua posizione. La potrete trovare in ogni angolo del mondo, impegnata in rilievi e ricerche, soprattutto nelle zone dove abbonda il petrolio. Ma cosa ci fa una nave da ricerca italiana in mano ai capitalisti dell’Oro nero? “Costruita nel 1973 nei cantiere di Elmsfleth, in Germania,
dal 1988 OGS Explora è di proprietà dell’Istituto triestino e da allora partecipa attivamente all’esplorazione scientifica dell’Antartide, dei mari del Nord e del Mediterraneo”, ci spiega Riccardo Ramella, direttore del RIMA, il dipartimento per lo sviluppo delle Ricerche e delle tecnologie Marine.
“Quando non è impegnata nel lavoro scientifico si mantiene effettuando con regolarità anche servizi per conto terzi. D’altronde, una nave di 72 metri di lunghezza, 1408 tonnellate di stazza, con 2 motori diesel da 1780 Hp e 30 persone a bordo tra equipaggio e ricercatori, ha un costo non indifferente che va ben oltre il finanziamento statale alla ricerca”. Dai 15mila ai 25mila euro al giorno a seconda del tipo di ricerca. “Progettata e costruita per svolgere prospezioni sismiche e quindi per scoprire grazie ai suoi strumenti all’avanguardia cosa c’è fino a decine di chilometri sotto il fondo del mare, OGS Explora si è rivelata perfetta anche per indagini di ricerca di idrocarburi, o per lo studio dei fondali più adatti a installare impianti di perforazione”, conclude Ramella. “Con i ricavi provenienti dalle attività per conto terzi, la nave copre i suoi rilevanti costi di gestione. Una formula che ha permesso a OGS di continuare a gestire questo piccolo patrimonio di attrezzature e competenze e di proseguire con essa nella sua missione principale: la ricerca vera e propria”.
Nel corso del 2009, per esempio, sono state ben 6 le campagne scientifiche in cui la nave è stata impegnata tra queste la ricerca di aree idonee per lo stoccaggio della CO2, uno dei gas serra responsabili del riscaldamento globale che potrebbe essere “sigil- lato” sottoterra o sotto i fondali marini; l’analisi di un’area di sprofondamento della crosta terrestre nei pressi dell’isola di Pantelleria che può aiutare a far luce sulla genesi dei terremoti nell’area e lo studio per conto della Protezione Civile delle coste a rischio del sud Italia a causa dell’instabilità dei fondali marini. “Dovevamo individuare i siti in cui i processi geologici sottomarini possono deformare o erodere le coste e le strutture che vi sono state realizzate come porti o aeroporti, oppure causare terremoti con il pericolo conseguente di tsunami”, spiega Ramella. “Tutti eventi potenzialmente devastanti per un profilo costiero così densamente abitato come quello italiano”. Ma è verso i Poli che la nave OGS Explora punta i suoi maggiori interessi scientifici. Prima unità italiana a essere utilizzata in Antartide dove ha compiuto già 10 missioni dal 1988 al 2006, nel 2008 e nel 2009 ha puntato la prua verso l’Artico.
Alle isole Svalbard i ricercatori hanno studiato la stabilità dei fondali marini locali e raccolto dati che permetteranno di comprendere meglio il clima del passato e dunque anche quello che ci aspetterà nel futuro. Poi è stata la volta del Mar Celtico davanti all’Irlanda dove sono state studiate le tracce lasciate sul fondo del mare da fiumi subglaciali, acque dolci derivate dalla fusione delle calotte glaciali che un tempo ricoprivano gran parte dell’Europa. Anche qui la storia climatica del passato diventa un elemento di confronto e interpretazione su quanto potrebbe accadere domani. “I fondali marini sono in gran parte un mistero per la scienza”, ci spiega Ramella. “Ben poco sappiamo di ciò che c’è sotto il mare non solo in termini di risorse (gas e petrolio), ma anche dal punto di vista della struttura geologica”. Solo di recente con strumenti come il Multibeam, uno speciale ecoscandaglio a onde acustiche, è possibile rilevare le caratteristiche morfologiche del fondo marino, mentre indagini sismiche a riflessione permettono di investigare la crosta terrestre fino a profondità di 20-30 chilometri. È dunque qui la grande sfida che OGS Explora è pronta ad affrontare. Ma non da sola. Proprio all’inizio del 2010 ha preso il via il progetto Eurofleet, dell’Unione Europea, un Consorzio di gestione delle navi da ricerca europee. L’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste è fra i partner con la sua nave. Il secondo partner italiano è il Cnr che impegna la nave Urania. “È un’iniziativa importantissima”, commenta Michele Rebesco, del Rima, veterano di crociere scientifiche polari, “perché il costo delle navi incide del 50 per cento sui progetti di ricerca”. Il finanziamento l’UE ha erogato per Eurofleet consente finalmente alla scienza di prendere il largo.
Testo di Nicoletta Salvatori, pubblicato sul numero 59 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 3 Dicembre 2014 da admin | in Imbarcazioni a motore oltre 15 metri | tag: Eurofleet, Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste, Multibeam, Riccarco Ramella | commenti: 0