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Trappola in fondo al mare? C’è una
task force che salva i sommergibilisti

“Un sommergibile si può sostituire. Un equipaggio no”. Il senso del Subex, Submarine Exercise, esercitazione per sommergibili, sta tutto qui, nelle parole del Capitano di Vascello Massimo Pellegrini, comandante delle Forze subacquee della Marina militare Italiana. Il Subex, infatti, è una delle più importanti esercitazioni mondiali di soccorso a Dissub, Distressed Submarine: prevede la simulazione d’emergenze a bordo di sommergibili posati sul fondo marino e l’avvio delle procedure per salvare l’equipaggio.  Ein questo campo la Marina Militare Italiana è un riferimento internazionale. Grazie alle procedure codificate dal Subopauth, Submarine operating authority, il comando che coordina le attività dei sommergibili, e dal Cincnav, il Comando in capo della squadra navale, il Subex è seguito da osservatori di molte Marine. Ne sono stati testimoni greci e turchi, israeliani, algerini ed egiziani, pachistani e indiani, brasiliani e malesi. Ufficiali di Paesi che, in molti casi, pur uniti da alleanze formali, sono divisi da profonde tensioni nazionalistiche o religiose.

Tutto è nato dalla tragedia del K-141 Kursk sul quale morirono 118 marinai

“Non c’è nulla di segreto nelle operazioni di soccorso”, spiega il Comandante Pellegrini, che sottolinea come tali operazioni – canonizzate dalla Nato per standardizzare, oltre le tecniche, anche le strutture d’emergenza dei sommergibili – siano “motivate da una più profonda presa di coscienza del fattore umano. È una filosofia di cooperazione che ha cominciato a essere elaborata dopo la tragedia del K-141 Kursk. Quel sommergibile nucleare della flotta russa, uno dei primi varati dopo la caduta dell’Unione Sovietica, l’ultimo della classe Oscar II, nonché il più grande sommergibile d’attacco mai costruito (lungo 154 metri, a quattro ponti), affondò il 12 agosto del 2000 nel Mare di Barents, a una profondità di 108 metri. Stando all’unico rapporto credibile, l’incidente fu causato dall’esplosione di un siluro a perossido d’idrogeno. Secondo i primi rapporti dell’ammiragliato russo, tutti i 118 uomini dell’equipaggio ufficialmente a bordo morirono entro pochi minuti dall’esplosione. In seguito risultò che almeno 23 tra marinai e ufficiali attesero per ore e ore, avvolti dalle tenebre, che arrivassero i soccorsi. Squadre britanniche e norvegesi si offrirono per un immediato tentativo, ma la Russia declinò l’offerta. Poi fu troppo tardi. Il sommergibile fu recuperato da un consorzio di compagnie olandesi nel 2001 e i corpi dei marinai sepolti nella madrepatria. L’emozione suscitata da quell’evento ha indotto a riflettere sull’ineluttabilità di situazioni estreme che mettono in gioco il senso stesso della marineria e che dovrebbero rendere impossibile eludere responsabilità comuni. Solo seguendo questo spirito, infatti, come scrive il filosofo e psicologo americano James Hillman nel suo saggio Un terribile amore per la guerra – che frantuma ogni retorica e presenta le guerre come una costante della dimensione umana – anche “il combattimento diventa il paradigma dell’eticità”. Di questa forma di combattimento nella sua accezione più ampia, in cui l’individuo, il militare, è messo di fronte ai propri doveri più profondi, alla ragione stessa del suo essere nei confronti dei suoi simili, il Subex e gli uomini che ne sono protagonisti sono un esempio perfetto.

Un’esercitazione simile a un thriller a 300 metri sotto il livello del mare

L’ultima edizione del Subex 2008,  al pari di altre precedenti esercitazioni del genere, ha messo in evidenza come e quanto il know-how della nostra Marina Militare non sia semplicemente la sommatoria di conoscenze e abilità operative, ma anche di quel “fattore umano” che da sempre è la nostra maggior ricchezza. “Si lavora persona per persona: le nostre sono professionalità spinte, multiple, che coniugano hi-tech e artigianato. È un patrimonio umano che potrebbe essere messo a frutto sul mercato, integrato nel sistema Paese, immagine del modello di sviluppo italiano, spiega il Capitano di vascello Domenico Di Matteo, comandante del Gruppo Navale Speciale del Comsubin, il Comando subacquei e Incursori, che è stato protagonista dell’esercitazione. A un primo impatto, nel briefing precedente l’ultimo giorno del Subex, tutta l’esercitazione appare come un thriller alla Tom Clancy. Gli scopi, i mezzi, le risorse, le attività che la definiscono scorrono sullo schermo del computer in un susseguirsi di acronimi. Il sistema Mamis, Monitorizzazione acustica microclima interno sommergibile, vale a dire il sistema automatico di trasmissione dei dati dell’atmosfera interna. Le operazioni di soccorso tramite Srv, Submarine rescue vehicle, il minisommergibile di soccorso. Il Ventex, Ventilation exercise, l’esercitazione di ventilazione. Gli operatori Ads, Atmospheric diving suite, palombari in tuta a pressione atmosferica (che consente di lavorare sino a -300 metri). Il team Spag, Submarine parachute assistance group, gruppo di paracadutisti che ha il compito di assistere i sommergibilisti fuoriusciti dal battello, garantire appoggio al personale ancora presente nel battello e assicurare le comunicazioni in tempo reale alla Ssra, Submarine search rescue autorithy, il comando di ricerca e salvataggio sommergibili. Il tutto seguendo una proce- dura di Comcheck, Communication chek, comunicazione tra sommergibile, Subopauth e Momship, Mother ship, la nave “madre” di soccorso. In seguito, le scene che si susseguono durante il Subex amplificano la sensazione di assistere a un film: dalle riunioni nella plancia comando dell’Anteo, la nave di ricerca e salvataggio del Comsubin, a quelle all’interno del sommergibile Prini. Una volta sul fondo, simulando un’avaria, dal Prini fuoriescono tre uomini che indossano le speciali tute Seie Mk 10 per risalire in superficie in sicurezza, dove sono recuperati dai mezzi d’assistenza, condotti a bordo dell’unità di soccorso e quindi sottoposti ad accertamenti sanitari da parte di un team di medici specializzati in fisiopatologia subacquea. Ancor più potenti le scene che vedono in azione i sommozzatori del Gruppo operativo subacquei del Comsubin e il lancio dagli elicotteri del team Spag. Gli operatori si tuffano da sette metri all’interno di un turbine d’acqua sollevato dalle pale dei due Eh 101, anch’essi formidabile modello di made in Italy (sono stati sviluppati da Agusta in collaborazione con la britannica Westland). Durante la prima fase dell’esercitazione viene lanciato un battello pneumatico autogonfiabile munito di motore. Nella seconda fase gli operatori scendono in mare con zattere contenenti materiale sanitario di pronto intervento e viveri di sussistenza. Una volta montate le zattere, il team Spag procede al recupero dei naufraghi e al loro trasporto a bordo dell’Anteo. Tutto appare come una sceneggiatura in cui mezzi e uomini divengono pedine di un grande gioco. “Il pericolo che ci sia un sommergibile in zona cambia completamente lo scenario. Solo la possibilità che ci sia”, dice il comandante Pellegrini, sottolineando l’essenza stessa dell’arma subacquea: la sua minaccia oscura, quasi fantasmatica, che coinvolge innanzitutto la psiche dell’avversario.

Quando il vantaggio di essere sott’acqua si può trasformare in un incubo

Ma quel sommergibile può cambiare improvvisamente di ruolo: in caso d’emergenza si trasforma da pericolo latente in luogo dell’incubo per chi si trova al suo interno. Allo stesso tempo, chi ne era ossessionato può trasformarsi in soccorritore. Ed ecco che così, seguendo l’esercitazione, osservando e ascoltando meglio gli uomini che danno vita al Subex, ci si rende conto che non è un gioco, non è un film. Lo si percepisce a bordo dei sommergibili, nella palpabile claustrofobia che coglie gli uomini prima di essere espulsi dalla toretta, nei discorsi sulla prima telefonata a casa, dopo giorni e giorni di missione. Nelle storie che si raccontano a bordo dell’Anteo, sui primi incursori o sui palombari viareggini che negli Anni 30 recuperarono la nave Artiglio. Nelle riflessioni sulle norme di sicurezza durante l’esercitazione, sospese in quel sottile equilibrio tra realismo e salvaguardia degli uomini. Sono storie così che fanno capire davvero quanto scriveva Hillman, del momento in cui il combattimento diviene il paradigma dell’eticità. Protagonisti del Subex 2008 sono stati gli uomini del Comsubin, il Comando subacquei e incursori. Di stanza nei pressi di La Spezia, il comando dipende dal Capo di Stato Maggiore della Marina ed è formato dal Gruppo operativo incursori (Goi), dal Gruppo operativo subacqueo (Gos), dal Gruppo scuole (responsabile della formazione di base), dal Gruppo navale speciale (che comprende la nave Anteo, la nave Proteo e due motoscafi appoggio) e dall’Ufficio ricerche e studi (responsabile della messa a punto del materiale speciale). Eredi degli operatori dei mezzi d’assalto della Seconda guerra mondiale, interpreti di una vera e propria epopea, gli incursori del Comsubin compongono uno dei reparti di forze speciali più apprezzati del mondo. A loro sono assegnati compiti d’attacco a unità navali in porto o alla fonda e a installazioni portuali o costiere, operazioni di controterrorismo finalizzate soprattutto alla liberazione di ostaggi, di unità navali e installazioni marittime, infiltrazione e permanenza in territorio ostile per missioni di intelligence o supporto. Il personale del Gos, invece, è formato per svolgere attività subacquee di ogni genere: lavori, ricerche, soccorso, recuperi. A qualunque profondità umanamente raggiungibile. Info: www.marina.difesa.it/comsubin/ index.asp.

Testo di Massimo Morello pubblicato sul numero 52 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale . Le immagini di Spin 360 sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

pubblicato il 4 Dicembre 2018 da admin | in Scuole d'immersione, Storie | tag: capitano di vascello Domenico Di Matteo, capitano di Vascello Massimo Pellegrini, Comsubin, emergenze a bordo di sommergibili, Forze subacquee della Marina militare Italiana, Massimo Morello, minisommergibile di soccorso, ommergibile nucleare russo, Spin 360, Subex, Submarine Exercise, tragedia del K-141 Kursk | commenti: 0

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  • Roberto Ventrella 28 Febbraio 2023 at 21:16 su Al Polo Sud a vela? Il primo italiano
    a riuscirci è stato Giovanni Ajmone Cat
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