Sarà anche una coincidenza, ma il fatto che Kees Stuip sia nato nel grande porto di Rotterdam, e che il lieto evento sia avvenuto proprio nell’anno (il 1953) in cui l’Olanda conobbe la più grande inondazione della sua storia, devono avere creato un rapporto profondo e indissolubile tra questo grande fotografo, le barche e l’acqua. “In realtà”, racconta Kees, “il mio interesse per la fotografia nacque in famiglia, quando rimasi affascinato nel vedere mia madre che riprendeva le nostre immagini, naturalmente in bianco e nero, con la sua piccola camera. Mi colpì l’idea che fosse possibile congelare una frazione del tempo, fermarla e conservarla. Ne fui letteralmente affascinato”. Un altro fattore doveva contribuire alla maturazione del giovane Kees, ed era il suo amore per il disegno e per le proporzioni. Ogni volta che Kees rappresentava qualcosa, che fosse una barca o un aeroplano non aveva importanza, stupiva la sua attenzione, addirittura la sua pignoleria, per le proporzioni. L’arte nelle sue diverse espressioni, l’industrial design, il gioco delle luci: fin dall’inizio le immagini e la loro espressività furono al centro del suo interesse, la sua vera e profonda passione. L’appuntamento con la fortuna si verificò qualche tempo dopo, quando, terminata la scuola secondaria, vennero i giorni del servizio militare ad Apeldoorn.
La fortuna non fu tanto quella di potersi comodamente sedere dietro una scrivania del Quartier generale dell’Esercito, ma di essere agli ordini di un ufficiale che era incaricato di documentare fotograficamente l’attività delle truppe. Fu questo superiore ad adottare Kees, guidandolo con passione e pazienza nel vasto mondo delle ottiche e degli obiettivi, delle macchine fotografiche e delle pellicole, fino all’approdo fatale in camera oscura. Il giovane apprendista ci prese gusto, seguì un corso di fotografia e ben presto capì che il suo vero desiderio era quello di iscriversi all’Accademia di Fotografia dell’Aja e diventare un fotografo professionista. Ed è quello che fece una volta congedato. Per quattro anni si concentrò nello studio. L’Accademia poneva l’accento sulla composizione, sull’aspetto creativo nel ritrarre i soggetti, sulle corde dell’emozione. Mentre Kees si confrontava con questi stimoli, ebbe modo di incontrare un famoso fotografo pubblicitario del tempo, Leopold Beels. “Iniziai così a lavorare per Beels nel tempo libero dagli studi e durante le vacanze”, ricorda Kees. “Imparai davvero molto. Imparai soprattutto che nella fotografia nulla è mai abbastanza soddisfacente, un’idea che da allora è veramente entrata a fare parte del mio Dna”. Fu nel 1976 che Kees acquistò la sua prima macchina fotografica davvero professionale, una Hasselblad. Spese l’equivalente odierno di 1.400 euro, in pratica tutti i suoi risparmi. Dopo avere concluso gli studi all’Accademia di Fotografia, aveva iniziato a lavorare in modo continuativo per Beels, ma quando nel 1978 Beels si trasferì in Australia, anche questo rapporto venne meno.
Era giunto il momento di iniziare la grande avventura solitaria e dare avvio alla carriera di fotografo freelance. Esisteva tuttavia un interrogativo fondamentale: da che parte iniziare? La strada che scelse fu quella classica: un portfolio del suo lavoro e tanto ottimismo nel proporsi. Aveva già una discreta esperienza nella fotografia pubblicitaria, e proprio da lì sarebbe partito. Un giorno fu colpito dall’inserzione di una grande agenzia (ARA) che dichiarava di avere “grandi aspettative per il futuro”. “Presi la cartella delle mie foto”, dice Kees, “e mi presentai dicendo che anch’io avevo grandi aspettative per il mio futuro, se solo loro avessero accettato di considerare il mio lavoro”. Dieci minuti dopo era giunto il primo incarico: realizzare un servizio fotografico per la divisione della Mercedes Benz che produceva autocarri. Ben presto seguirono richieste da altre importanti agenzie: FHV/BBDO, McCann-Erickson, Lintas e Ogilvy. Kees iniziò a specializzarsi nel settore dei trasporti (con General Motors, per esempio), ma anche in altre aree industriali (con Shell, BP e Exxon Mobil), nel campo finanziario (PriceWaterhouseCoopers, Aegon, Robeco), in quello dell’architettura, delle compagnie di navigazione, dei cantieri navali, delle agenzie governative.
Erano gli anni in cui un fotografo giovane e di talento aveva davvero molto lavoro da fare, e Kees non faceva in tempo a concluderne uno che già doveva iniziare quello successivo. Non era raro che il lavoro lo occupasse per 70 e a volte anche per 80 ore la settimana, in un turbine che lo portò ben presto a soddisfare le necessità di un network di decine e decine di clienti. Tanto tempo dedicato al lavoro rispondeva tuttavia sempre più a una precisa necessità “qualitativa” che Kees, con sempre maggiore consapevolezza, sentiva indispensabile. Prima di ogni impegno era per lui necessario (e la stessa cosa vale ancora oggi) parlare a lungo con il committente, capire il senso di ciò che lui desiderava trasmettere. E solo quando aveva (ed ha) una precisa idea delle emozioni e delle motivazioni che si vogliono suscitare, prendeva in mano la camera. “Il problema non è registrare qualcosa”, dice, “ma raccontare qualcosa. Per questo si deve catturare la bellezza e lo spirito di ciò che si fotografa”. L’approdo alle fotografie di mare è stata, negli anni, un’evoluzione naturale. Suo padre era armatore di motoryacht.
L’intera famiglia trascorreva le vacanze sull’acqua. Lui stesso, da bambino, collezionava cartoline di barche e il corso di vela, per i giovani Stuip, era parte essenziale del loro percorso educativo. Sono state le principali riviste di yachting a sollecitare la sua discesa in campo in questo settore, inviandolo in anni recenti a seguire alcuni tra i più importanti eventi agonistici. Senza contare che, in alcuni dei più importanti cantieri olandesi, Kees era già di casa. “Sono due le cose che mi affascinano di questo mondo”, dice Kees, “da un lato le linee delle imbarcazioni, generalmente morbide, eleganti, in fusione con quelle dell’acqua: un vero invito al gioco. In secondo luogo il fatto che tutto sia in movimento: le barche, le vele, il mare: e quella di catturare il movimento è una bella sfida che non finisce mai”.
Testo di Giuseppe Meroni pubblicato sul numero 51 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini di Francesco Rastrelli sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 11 Dicembre 2015 da admin | in | tag: Accademia di Fotografia dell'Aja, Ara, FHV/BBDO, Hasselblad, Kees Stuip, le più belle fotografie di mare, le più belle immagini di mare, Leopold Beels, Lintas, McCann-Erickson | commenti: 0