Vesconte Maggiolo fu il capostipite di una delle più note famiglie di cartografi liguri, i cui membri si tramandavano di padre in figlio l’arte portolanica. Si era formato a Genova alla fine del ‘400, dove aveva aperto un laboratorio al servizio della Repubblica. Mezzo secolo più tardi il figlio Giacomo (o Iacopo) Vesconte Maggiolo, maestro delle carte di navigazione come il padre, ottenne un ruolo pubblico al servizio della signoria come pensionato del Senato di Genova. Tra la sua produzione spicca la Carta portolanica attualmente conservata alla Biblioteca Ambrosiana. Destinata probabilmente a un principe o a un ricco mercante, la carta offre una splendida figurazione geografica racchiusa entro due ampie cornici decorate, mentre sul collo della pergamena è incisa una Madonna seduta in trono con in braccio il Bambino. Gli elementi cartografici non sono casuali
e tradiscono precise strategie di comunicazione. Due i punti focali dell’immagine: il Mediterraneo e al suo interno Genova. Tutto il resto ruota intorno a questi due perni e fa capo a essi. Dal Mediterraneo lo spazio di mare si allarga ad est al Mar Nero, a ovest all’Atlantico e a nord al Baltico. Le terre cartografate sono quelle che insistono su questi mari: l’Europa, il Nord Africa, l’Africa atlantica del Nord, una sezione di Oriente, poco oltre Istanbul.
Assenti del tutto quei mondi extra europei i cui profili erano ormai ben noti alla cartografia europea, dalle Americhe all’Asia, all’Africa nella sua dimensione totale. Lo spazio che Maggiolo espone non è diverso da quello che un portolano di cent’anni prima avrebbe potuto identificare. È il mondo mediterraneo dello scambio, l’Europa che da quel mare ricava identità e cultura; un Mediterraneo che si collega all’Atlantico, alle isole britanniche e al Baltico lungo le rotte che dalla fine del Quattrocento le navi italiane, non solo quelle di Genova, solcavano. C’è come un richiamo a una dimensione economica e politica che non è più al centro dell’attenzione, spostata ormai verso le rotte e gli spazi transoceanici, ma che conserva una sua indubbia importanza nell’economia-mondiale. Se proviamo ad osservare gli spazi dove si addensano le informazione vediamo delinearsi nettamente due dimensioni: quella delle acque, centrata come si è detto sul Mediterraneo, e quelle delle terre, che gravita sull’Europa continentale e orientale e sull’Africa. Le aree italiana, francese e iberica sono poste in minore evidenza. Una delle parti più ricca di dettagli riguarda la sezione continentale dell’Europa con una fitta trama di toponimi, figure, legende, simboli, alcuni dei quali appaiono rovesciati. Ma la carta poteva essere girata a piacere, letta dall’alto in basso, da destra a sinistra, senza vincoli proprio perché non era fissata su un libro, ma su una pergamena. Di conseguenza le scelte dell’autore erano più libere e potevano sfruttare al massimo gli spazi bianchi che la carta concedeva, senza dovere rispettare un unico punto prospettico. Così si spiegano i prospetti di molte città grandi e piccole distribuite in tutte le aree continentali, e disegnate cinte di mura con bandiere e torri. In Africa e in Asia se ne distinguono venticinque; in Europa una cinquantina tra le quali si notano Buda in Ungheria, Praga in Polonia, Ragusa, Venezia, Siviglia e Lisbona. E ancora gli stemmi e le bandiere degli stati dipinte con colori vivaci. Compaiono i corsi dei fiumi della zona continentale, con la rappresentazione del rilievo dal quale nascono: si vedono i Pirenei, le Cevenne, le Alpi, gli Appennini, gli Urali e altre catene di monti distribuite soprattutto a est. I nomi dei luoghi sono scritti perpendicolarmente alla costa. Nelle regioni settentrionali dell’Europa, intorno e a nord del Baltico, permangono alcune aree indeterminate e persino una evidente traccia mitologica.
Si tratta di quella misteriosa isola Fixdanda disegnata vicino all’Islanda (“Ixlanda”). Al contrario è più aggiornata la toponomastica della Norvegia, chiamata Norberga, che in molti portolani del Cinquecento era o del tutto dimenticata o tracciata sommariamente e chiusa dal toponimo generico di Estlandie. Resta un’immagine assai deformata dei territori interni della Scandinavia. Anche i nomi dell’antica Roma usati per designare quelle zone (Gotia, Ocania, Dacia) richiamano la persistenza di topografie storiche antichissime, non più aggiornate sulla base di eventi e sviluppi recenti. Entro questa attenta geografia del reale si insinuano anche dati immaginari, come quello che identifica nelle fattezze di un barbuto vescovo in trono, con tanto di tiara e di mitra, il leggendario Prete Gianni. Nell’Oceano Atlantico sono rappresentate otto caravelle a vele spiegate, mentre dieci padiglioni regali, riccamente damascati, sono disposti tra l’Africa e l’Asia. Due iconografie dense di significati, tutt’altro che scontate. Le navi indicano le appartenenze alle marine, con una dominante genovese, illustrata dalle bandiere con la croce rossa in campo bianco. Non vi si legge solo un intento celebrativo e un omaggio al committente. Come non ricordare che quegli scafi forniti di timone a poppa e con una velatura che consentiva la navigazione di bolina, avevano fornito il mezzo tecnico per veleggiare nell’oceano? Era stato Colombo che aveva portato tre caravelle nella scia degli alisei atlantici. Inoltre l’iconografia delle caravelle battenti bandiera genovese tradisce lo sforzo che la piccola Repubblica del mare stava compiendo per rivendicare un ruolo nel Mediterraneo.
La caravella è l’icona del commercio, della libertà dei mari, dell’antico primato dei genovesi che Cristoforo Colombo aveva avviato. Non sono navi da guerra, di predominio, strumenti per la rivendicazione di un peso politico militarmente fondato. Attraverso esse il portolano celebra la pacifica libertà della navigazione, inneggia allo scambio commerciale e vuole ricordare, come fosse un messaggio pubblicitario, il ruolo di Genova. Vi si può persino leggere l’auspicio alla rinascita della marina mercantile genovese, in crisi dalla metà del ‘500, quando la concorrenza inglese, francese e spagnola aveva ridotto i suoi margini di azione. Genova, al centro della carta, è l’unica città italiana ad essere raffigurata con quel tipico disegno che ricorda i moderni skyline. Alla sua unicità è persino sacrificata la raffigurazione della capitale del cattolicesimo, la sede dei papi, il cuore della cristianità europea, Roma. Precisi i disegni: la lanterna, gli edifici del porto, il golfo, le mura. La carta rivela un contenuto politico forte. Con chi infatti si confronta la repubblica di Genova? Con le monarchie europee, le uniche entità politiche attentamente definite, ad eccezione dell’Inghilterra. Le icone dei re di Spagna e di Francia si notano al primo sguardo. Sono le due potenze con cui Genova ha maggiori legami. Legami di alleanza e di interesse con la Spagna, di contrasto e conflitto con la Francia. Entrambi i sovrani sono assisi in trono con i simboli del potere regale. La vera potenza espressiva della carta risiede tuttavia nel risalto riservato a tutta l’area musulmana e ottomana. Tutte le autorità sono stilizzate da padiglioni, con le tende del deserto. Su tutti domina per dimensione “Lo gran Turco”. Nella carta del Maggiolo le tende sono in primo piano con disegni in oro e testimoniano l’importanza politica che queste realtà hanno per i mercanti genovesi. Uomini che, come aveva scritto Guicciardini nella Storia d’Italia, vivevano “quieti e intenti più alle mercanzie che alla ambizione”.
Testo di Dino Carpanetto, pubblicato sul numero 59 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. È fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 20 Marzo 2023 da admin | in | commenti: 0