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Myba: “La prima cura per gli oceani?
Ridurre le emissioni degli yacht esistenti”

Le gigantesche isole di rifiuti “emerse” negli oceani, capaci di raggiungere dimensioni impressionanti come nel caso della “Pacific Trash Vortex”,  un immenso   accumulo di spazzatura galleggiante composto da plastica, ma anche da altri materiali che si sposta seguendo  le correnti del Pacifico, grande, secondo le stime più prudenti, quanto la Penisola Iberica, rappresentano  la “radiografia di una malattia” destinata a diventare incurabile senza un intervento immediato, che minaccia di uccidere il pianeta. Un male che richiede  cure non più rinviabili, come conferma Tim Morley,  Myba Board Member, associazione fondata nel 1984  con l’obiettivo di promuovere standard di professionalità ed etica del settore nautico e che annovera oggi fra i propri soci  50 fra le maggiori società di brokerage. 

Un’associazione (con iscritti in 22 Paesi inclusi Francia, Monaco, Spagna, Italia, Gran Bretagna, Germania, Svizzera, Hong Kong e Stati Uniti) che, grazie ai suoi membri e le loro competenze e esperienze, nei decenni ha dimostrato di essere un leader e un punto di riferimento in materia di vendita e acquisto d’imbarcazioni, charter e gestione di yacht, ma anche progettazione e costruzione (con un occhio sempre più attento all’ambiente) tale da permetterle di disporre di un “osservatorio” unico sul mondo del mare. Un osservatorio dal quale Tim Morley vede oggi troppi  preoccupantissimi “segni di sofferenza” che il pianeta sta dando e che richiedono interventi urgentissimi.  Dove l’urgenza, misurata in una scala da 1 a 100, ha raggiunto il limite massimo, oltre il quale esiste solo il punto di non ritorno.  “Penso che dovendo valutare la gravità della situazione  assegnando un punteggio da  1 a 100, nessuno possa non essere d’accordo sul  fatto che la risposta è 100, ma la natura umana sembra avere difficoltà a convertire questa urgenza in azione immediata al 100 per cento”, esordisce il consigliere di Myba , al quale riesce impossibile non pensare al film “Don’t Look Up”, i cui protagonisti sono  due scienziati che scoprono l’esistenza di un meteorite che entro pochi mesi entrerà in rotta di collisione con la terra e tentano di avvertire tutti del  rischio, ma senza che nessuno li ascolti, senza che nessuno sappia o voglia rendersi conto della catastrofe in arrivo. “Io non sono un attivista per il clima e a dire tutta la verità non mi reputo neppure un ottimo esempio di eco-cittadino, anche se vado in giro per la maggior parte del tempo sulla mia bicicletta elettrica, ma mi è impossibile non rendermi conto che ognuno ha il dovere di contribuire a trovare soluzioni ai problemi della CO2 e di altri gas serra”, prosegue Tim Morley,  convinto che il mondo dello yachting “debba salpare a tutta forza per dare l’esempio, per  dare l’opportunità a chi ama navigare di farlo riducendo al massimo l’inquinamento. Questo è uno dei principali obiettivi di Myba”. Ma con quali  priorità? Cosa è innanzitutto necessario fare per accelerare il più possibile la transizione verso uno yachting a bassissime emissioni di CO2? In acqua, così come sull’asfalto nel futuro, almeno per combattere l’inquinamento prodotto dai motori,  useremo ibrido, elettrico e idrogeno? “Questa è esattamente la domanda che tutti dovrebbero porsi. Io non  ho una  risposta ma so perfettamente invece che abbiamo urgente bisogno di  trovarne in fretta e che dovremo continuare a trovarne sempre di nuove. Dobbiamo garantire che ci sia una rapida trasmissione di idee e innovazione per non sprecare alcuna opportunità per ridurre le emissioni di CO2 della nautica da diporto. In mare però siamo costretti a fare conti diversi rispetto alla strada: i grandi yacht richiedono molta più energia e le batterie non possono fornire tutta quella richiesta. Un esempio da prendere come punto di partenza sul quale lavorare per trovare nuove soluzioni potrebbe essere quello dello yacht Luminosity che  ha un’infrastruttura ibrida diesel-elettrica con  una potenza di 3 Megawatt immagazzinati in 36 tonnellate di batterie, ma con i suoi progettisti che sono i primi ad ammettere che i vantaggi non includono la riduzione delle emissioni di CO2 in modo significativo. La “rotta” da seguire nella ricerca è comunque sulla scia dell’ibrido, che significa combinare più  soluzioni, e ritengo  che  l’energia futura per lo yachting coinvolgerà molteplici fonti. I riflettori sono puntati in particolare sull’ibrido che coinvolge l’idrogeno e che sembra essere all’avanguardia, anche se presenta molti punti interrogativi e  molte sfide che devono essere superate. E si tratta di sfide che non hanno nulla di semplice: la nuova tecnologia che verrà dovrà infatti essere in grado di competere con la riserva di energia di bordo pari a molte migliaia di litri di gasolio. Tutto questo senza dimenticare  il costo e la sicurezza che giocano un ruolo importantissimo.  Sono tante le domande ancora in attesa di risposta ed è proprio per questo che Myba vuole dedicare le proprie  energie alla ricerca di persone e aziende che invece sono in grado di fornirle. I grandi cantieri stanno investendo nello sviluppo di nuove idee e noi vogliamo sostenerli e aiutarli. Come broker dovremmo essere consapevoli delle possibilità e condividere le notizie con i clienti che possono valutare se vogliono trarne vantaggio. Il nostro ruolo ci impone di non smettere mai di imparare e di fornire un valore aggiunto proprio trasmettendo le nostre conoscenze acquisite ai clienti che spesso,  così come i membri del team coinvolti nei progetti, sono essi stessi esperti in questo tipo di tecnologia. Un “gioco di squadra” con  una  condivisione di conoscenze che può  tradursi in grandi progetti. Il primo obiettivo a cui penso oggi? Fornire opzioni per riadattare gli yacht esistenti a una bassa produzione di CO2, con un costo accettabile e praticabile, il prima possibile ma anche costruire, sempre al più presto, yacht a zero emissioni di carbonio”. L’interesse delle persone per la protezione dell’ambiente dei mari e degli oceani è in aumento come del resto testimonia anche  la storia di un vostro cliente che stava per noleggiare un grande yacht, molto più grande di quelli che usava normalmente, ma che, quando ha scoperto il inquinamento che avrebbe causato, ha cambiato idea… “Sua moglie è un’ambientalista “vera” che ha tenuto anche un discorso sul tema del cambiamento climatico, la tutela ambientale per loro ha sempre  rappresentato un valore irrinunciabile e si sono resi conto che non  potevano certo “sacrificarlo  sull’altare di una crociera” noleggiando uno yacht che avrebbe prodotto centinaia di tonnellate di CO2 in una settimana. Abbiamo discusso della compensazione del carbonio, ma non è stato sufficiente. Abbiamo anche valutato l’ipotesi di navigare senza percorrere troppe miglia, ma  anche questo non li ha convinti. Questo episodio è stato un vero punto di svolta per me, mi ha fatto comprendere che il comportamento dei clienti  sta facendo rotta davvero verso un mare sempre più verde.  E mi sembra del tutto logico e inevitabile (oltre che assolutamente auspicabile) che i prossimi anni possano vedere sempre più consapevolezza delle emissioni di CO2 e di altri gas serra, con una  coscienza ambientale sempre più profonda e diffusa a indicare quali scelte adottare in mare. E a confortarmi in questa previsione-speranza sono i tanti altri segnali positivi che ci arrivano da chi naviga.  Elementi che mi rendono ottimista così come l’esperienza che sto vivendo, lavorando con un fantastico capo spedizione che si occupa di scienze del clima e grazie al quale  possiamo offrire ai clienti esperienze uniche che li portano in parti del mondo mai visitate prima per esplorare e allo stesso tempo raccogliere dati che aiuteranno gli scienziati del clima”.

pubblicato il 20 Maggio 2022 da admin | in | tag: MYBA, Tim Morley | commenti: 0

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Commenti recenti
  • Roberto Ventrella 28 Febbraio 2023 at 21:16 su Al Polo Sud a vela? Il primo italiano
    a riuscirci è stato Giovanni Ajmone Cat
    Fiero d'essere italiano, napoletano e amante del mare. Grazie!
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