L’Italia affacciata sulla seconda metà del XX secolo appare un luogo di grandi speranze. Ogni aspetto della vita sociale attraversa un periodo di profonde trasformazioni e riscatto civile, dopo le distruzioni e le sofferenze causate dal grande conflitto mondiale. Uno dei settori industriali in maggior fermento è rappresentato dalla cantieristica navale. Infatti i collegamenti commerciali con il continente americano acquisiscono una valenza prioritaria per la rinascita economica dell’Europa e, in tale contesto, la lungimirante politica dei primi governi democratici dedica una particolare attenzione allo sviluppo di nuove costruzioni navali. Mettendo a frutto competenze ed esperienze mai disperse, si progettano e si realizzano navi tecnologicamente all’avanguardia, nel rispetto della grande tradizione cantieristica di prima del conflitto. Al vertice di questo rinascimento tecnologico, alle 10.30 del 16 giugno 1951 lascia lo scalo del cantiere genovese Ansaldo di Sestri Ponente lo scafo di un nuovo e meraviglioso transatlantico: il suo nome è Andrea Doria, in onore del grande ammiraglio genovese del XVI secolo.
La nave si appresta a divenire un’opera di grande pregio e raffinato design. Ogni particolare è concepito alla luce di quella originale, innata capacità manifatturiera e artistica che ancora oggi è definita come Italian Style, una vocazione alla sobria eleganza particolarmente apprez zata e richiesta dal ricco “nuovo mondo” ancora povero di storia e di arte. Quando l’Andrea Doria entra in servizio attivo sulla prestigiosa linea Genova – New York, i collegamenti aerei di massa sono ben lungi dall’esser realizzati su vasta scala e il viaggio di trasferimento da un continente all’altro è ancora un’esperienza piena di fascino. D’altra parte sono ormai trascorsi gli anni dei viaggi disperati in terza classe dell’emigrazione di inizio secolo, in contrasto stridente con i lussi delle prime classi, riservati ad aristocratici e ricchissimi borghesi. Il nuovo corso democratico del mondo occidentale si traduce nella possibilità di viaggiare in modo dignitoso per tutti i passeggeri. Se le eccellenze di un servizio lussuoso e accurato rimangono appannaggio della prima classe, l’ottimo servizio della classe cabina si armonizza degnamente con la ex terza classe che, secondo i nuovi standard di comfort, si definisce ora classe turistica. Novità assoluta, poi, è il moderno sistema di aria condizionata, presente in tutte le zone di soggiorno della nave, incluse le aree destinate al riposo dell’equipaggio. Il servizio offerto a bordo dell’ammiraglia della società Italia riscuote un successo di clientela immediato. Rispetto ai transatlantici britannici e americani, veri e propri “levrieri del mare”, la traversata sull’Andrea Doria dura un giorno in più e, in un’era in cui la fretta e il risparmio di tempo non sono ancora di prioritario interesse, questo giorno in più rappresenta un piacevole diversivo, un momento di cure e attenzioni senza pari. Il 17 luglio 1956, l’Andrea Doria salpa dal molo della Stazione Marittima di Genova, per compiere la sua 101a traversata atlantica.
Alla guida di un equipaggio competente e professionale è il comandante Piero Calamai, universalmente riconosciuto e stimato come ufficiale di grande esperienza e profondo carisma. Nato a Genova il giorno di Natale del 1897 da una famiglia da sempre legata al mare, compie gli studi da capitano di lungo corso presso il prestigioso Istituto Nautico S. Giorgio del capoluogo ligure. Imbarcato come allievo ufficiale di marina mercantile, Calamai è impiegato in navigazione di guerra per tutta la durata del primo conflitto mondiale, congedandosi con il grado militare di sottotenente di vascello di complemento. Nel primo dopoguerra diviene ufficiale di coperta sulle navi di linea del Lloyd Sabaudo, compagnia divenuta poi, nel 1932, Italia flotte riunite, dopo la fusione con la Navigazione generale italiana e Cosulich società triestina di navigazione.
Nello stesso anno, Piero Calamai si distingue per un coraggioso salvataggio in mare di un passeggero caduto dal ponte del Conte Grande in piena navigazione, meritando una medaglia d’argento al Valor civile. Dal 1936 presta servizio come primo ufficiale a bordo dei transatlantici Conte di Savoia e Augustus, ottenendo il suo primo comando sul piroscafo Toscana. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Piero Calamai è richiamato alle armi nella Marina militare con il grado di capitano di corvetta di complemento. Durante il conflitto, la notte dell’11 novembre 1940, si mette in luce per il salvataggio di alcuni marinai, compiuto a bordo della corazzata Caio Duilio, colpita nel corso dell’attacco aeronavale inglese della base navale di Taranto, meritando così una croce al valor militare. Nel secondo dopoguerra, Piero Calamai riprende la sua carriera nella Società Italia, prestando servizio al comando del Conte Grande e del Saturnia, fino a giungere al comando più prestigioso a coronamento di una brillante carriera in mare.
Alle 11 precise di quel 17 luglio 1956, nella tradizionale cornice allegorica di centinaia di stelle filanti multicolori, l’Andrea Doria lascia gli ormeggi. Dopo aver compiuto uno scalo a Cannes e a Napoli, il pomeriggio del 20 luglio la moderna turbonave italiana supera Gibilterra e affronta l’Atlantico in direzione ovest dirigendosi verso il “nuovo mondo” con a bordo 1706 persone, fra passeggeri ed equipaggio. La traversata è piacevole e il sole splende rendendo il viaggio ancora più gradevole. I passeggeri di giorno si godono appieno le numerose attività ricreative offerte sui ponti e, la sera, si immergono nelle sofisticate atmosfere di questa ammirata galleria d’arte e raffinata ospitalità italiana sul mare. Le firme più prestigiose del design navale come Giovanni Zoncada, Gustavo Pulitzer e Matteo Longoni, coordinate dal famoso architetto Gio Ponti, hanno creato a bordo della nuova ammiraglia della flotta di stato italiana un armonioso insieme d’interni. Particolarmente degno di nota è lo splendido murale su tela, lungo quasi 50 metri, che adorna il salone di prima classe, opera di Salvatore Fiume. L’opera evoca nel suo sviluppo i migliori capolavori di Piero della Francesca, Masaccio e Paolo Uccello, in una sorta di immaginario cammino attraverso il Rinascimento italiano, ora rinato e confluito nel moderno Made in Italy. A completare il quadro d’insieme, opere pittoriche di Felicita Frai e Piero Zuffi, ceramiche di Guido Gambone e una statua in bronzo raffigurante l’ammiraglio Doria, opera dello scultore Giovanni Paganin, posta nella sala di soggiorno di prima classe.
In questa preziosa atmosfera l’Andrea Doria, la sera del 25 luglio, ottavo giorno di navigazione, si avvicina alla piattaforma continentale americana. L’approdo alla sua destinazione finale, il porto di New York, è previsto all’alba del giorno seguente. Dal primo pomeriggio di quel 25 luglio, sulla rotta del transatlantico italiano è comparsa la nebbia, un fenomeno piuttosto frequente in queste zone, a causa dell’incontro tra la temperata corrente del golfo e le gelide acque atlantiche. Il comandante Calamai come sua consuetudine in questi casi, si è subito recato in plancia di comando e non si è più allontanato. Ha già anche predisposto le necessarie misure di sicurezza: porte stagne chiuse, riduzione della pressione alle caldaie con conseguente diminuzione di velocità, segnali acustici regolamentari e un servizio rinforzato di vedette, una delle quali anche all’estrema prora, in prossimità del telefono di manovra.
Alle 12 di quel 25 luglio, è salpato dal Pier 97 del porto di New York il transatlantico Stockholm, della Swedish Home Lines, al comando del capitano Harry Gunnar Nordenson, in rotta verso il nord Europa con 534 passeggeri e 220 uomini di equipaggio. Alle 20,30 Nordenson lascia la condotta della navigazione nelle mani del terzo ufficiale Johan Ernst Carstens, solo in plancia con il timoniere Johannson. Carstens è alla sua quarta traversata atlantica e riceve dal comandante solo alcune disposizioni: avvisare in prossimità della nave faro dell’Isola di Nantucket, divieto di incrociare altre navi a meno di un miglio e avvertire in caso di comparsa di nebbia.
Alle 22,04 Carstens, non ravvisa nebbia, fa il punto nave verificando che la rotta di navigazione è più a nord rispetto a quella prevista e imputa l’errore di posizione alle forti correnti marine di quella zona di mare. Alle 22,20, il comandante dell’Andrea Doria, giunto in prossimità della nave faro di Nantucket, nella foschia ne percepisce il “muggito” e ordina al secondo ufficiale in servizio, Curzio Franchini di governare per rotta 269 verso il battello fanale Ambrose, posto a dirigere le navi nel viale di traffico consigliato, alle foci del fiume Hudson, verso la baia di New York. Alle 22,40, a bordo dello Stockholm, il timoniere Peder Larsen prende il posto del collega Johnannson per il suo turno si servizio. Alle 22,45, il Doria procede a 21 nodi, e Franchini, coadiuvato dal terzo ufficiale di coperta Eugenio Giannini, vede il “bersaglio”, che risulterà essere lo Stockholm sullo schermo del radar Raytheon in posizione 17 miglia, 4° a dritta dalla prora su rotta parallela e contraria a 1,3 miglia. Nel frattempo sullo Stockholm, Carstens, che non è assistito da nessun altro ufficiale in plancia, si rende conto che nonostante la correzione di rotta, la nave si trova ancora troppo a nord, fattore da lui attribuito all’imperizia del timoniere Larsen.
Alle 23,05 il radar del Doria vede lo Stockholm a 15° a dritta ed a 4 miglia di distanza. Calamai dà ordine di accostare di 4° a sinistra in modo da assicurare la vista della luce verde di destra del Doria alla nave incrociante. Nello stesso momento, Carstens, probabilmente sotto pressione per gli aggiustamenti di rotta eseguiti da solo nell’attigua sala nautica, per la scarsa esperienza personale e per la sfiducia verso la navigazione imprecisa del timoniere Larsen, compie un errore dalle conseguenze fatali.
Carstens, certo di trovarsi a sinistra del Doria, in base ai rilevamenti del suo radar, ordina a Larsen una decisa accostata a dritta di ben 22°, con l’intento di distanziarsi in sicurezza nel prossimo incrocio con l’Andrea Doria. Nella manovra omette la segnalazione acustica del fischio, prescritta, in vista di altre navi, dall’articolo 29 del regolamento per la prevenzione degli abbordi in mare. Sono le 23,07. Intanto sul Doria Calamai e Giannini si sono portati dalla plancia sull’aletta di dritta e con il binocolo scrutano nella foschia chiedendosi il motivo per cui non si sentono i segnali acustici e non si intravedono le luci di navigazione dello Stockholm, che hanno una portata di 5 miglia. Giannini corre al radar per un controllo di posizione e quando torna in aletta finalmente riesce a scorgere le luci della nave.
A quel punto Giannini si avvede con raccapriccio che la bianca sagoma del transatlantico svedese accosta rapidamente in rotta di collisione e grida: “ci viene addosso!”. Calamai ordina tutta barra a sinistra a macchine invariate, mentre Franchini esegue i due fischi regolamentari. Carstens vede di colpo le luci del Doria e sente i fischi della manovra. In fretta ordina una virata tutto a dritta per sfuggire all’imminente impatto.
Da quel momento, servono 100 secondi per portare a termine una manovra di scampo, 100 secondi durante i quali due mondi di spensierata vita sul mare stanno ancora ballando, riposando o conversando amabilmente dinnanzi a un cocktail. Da un finestrino di plancia Giannini urla: “non passa!!”. Carstens esita, poi ordina macchine indietro tutta, basterebbero da quell’ordine poco più di 300 metri per arrestare la nave ma sono rimasti solo 10 secondi di tempo per non sconvolgere quei due piccoli mondi e quel tratto di mare immerso nella sua quieta tranquillità.
Ne basterebbero solo altri 10 di secondi, ma ora il cronometro del destino si è fermato. Sono le 23:11. Piero Calamai, reggendosi alla balaustra dell’aletta di dritta, osserva inorridito la bianca e affilata prua artica dello Stockholm infrangersi con devastante fragore nel ventre della sua nave, lacerandola per 12 metri, appena a poppa della plancia di comando, proprio all’altezza delle cabine di prima classe. Siamo a 19 miglia a ponente della nave faro di Nantucket, 40 miglia ad est di Boston.
Nello schianto o nel successivo allagamento dei compartimenti colpiti, muoiono 43 persone sull’Andrea Doria e quattro sullo Stockholm. La collisione con la prua rinforzata della nave svedese provoca nel Doria una falla quattro volte maggiore della falla standard della normativa Solas 48, cioè superiore ai due compartimenti stagni stabiliti come limite alla galleggiabilità di progetto, ritenendosi di tipo continuo per effetto delle ulteriori falle provocate dal successivo sfregamento dello scafo dello Stockholm lungo la fiancata di dritta, fino alla poppa dell’Andrea Doria. Calamai, in base alla sua esperienza di mare, capisce di avere solo due opzioni; può cercare di portare la nave verso i bassi fondali del Nantucket Sound, nella speranza di incagliare il transatlantico in una secca, con l’utilizzo di un motore ancora efficiente.
Tuttavia Calamai è perfettamente consapevole che una simile manovra, da compiersi con la nave già in evidente sbandamento a dritta ed in precarie condizioni di navigabilità, potrebbe causare ulteriori perdite nei passeggeri, a causa del prevedibile panico a bordo. La seconda opzione è quella di sacrificare il destino della sua nave e predisporre da subito ogni azione necessaria per porre in salvo i passeggeri e il suo equipaggio. Decide perciò in tal senso, spinto dal suo spirito di uomo coraggioso e comandante responsabile. Dalla plancia il comandante dirige con razionalità e competenza tutte le operazioni di soccorso, coadiuvato operativamente dal suo secondo in comando, il capitano Osvaldo Magagnini e dai suoi ufficiali.
Immediatamente gli Ufficiali Guido Badano e Curzio Franchini calcolano un preciso punto nave, indispensabile per le richieste di soccorso. Alle 23,21 Calamai ordina al radiotelegrafista Carlo Bussi la trasmissione del messaggio: Sos de iceh Sos here at 3:20 gmt Lat.40°30’N Long.69°53’W need immediate assistence – master Doria. Alle 23,43 L’ Ile de France risponde all’Sos del Doria e conferma l’arrivo in zona per le 01,45. Il transatlantico francese partito da New York il 25 mattina con 940 passeggeri è in rotta per l’Europa, destinazione Le Havre. Il secondo ufficiale dell’Andrea Doria, Guido Badano, diffonde con l’interfono, l’ordine ai passeggeri di recarsi, ordinatamente e con calma, ai punti di riunione con le cinture di salvataggio. Su ordine di Calamai, si cerca di predisporre la messa a mare delle scialuppe. La nave, però, è già sbandata a dritta di 19° e questo impedisce di eseguire la manovra di messa a mare delle scialuppe sul lato sinistro, rendendo inevitabile l’uso delle sole scialuppe di dritta. Alle 00,36 arriva in zona la nave frigo Cape Ann, al comando del capitano Joseph Boyd che mette a disposizione le sue due scialuppe. Allo stesso tempo, stabilizzati i danni di bordo, il comandante dello Stockholm mette a disposizione dell’Andrea Doria le sue 12 imbarcazioni di salvataggio. Sul lato destro del Doria, il primo ufficiale Carlo Kirn inizia a predisporre le prime scialuppe, privilegiando lo sbarco di donne e bambini. Intanto l’equipaggio di macchina dell’Andrea Doria mette in moto la dinamo di emergenza, mantenendo operative la rete di trasmissione degli ordini all’equipaggio, le pompe di esaurimento e la stazione radio telegrafica. Un generatore diesel d’emergenza sul ponte A garantisce l’energia elettrica e l’illuminazione in tutti i settori operativi della nave.
Alcuni elementi dell’equipaggio hanno un comportamento esemplare, a tratti veramente di grande eroismo. Fra i tanti vale la pena citare la condotta del secondo elettricista Giordano Ban, addetto alla centrale elettrica, rimasto chiuso al pannello di controllo, nel ventre della nave, fino all’ultimo, per mantenere efficienti gli impianti di illuminazione e i servizi essenziali. Ban sarà poi uno degli ultimi ad abbandonare il locale macchine. Altro esempio di dedizione e altruismo è rappresentato dall’instancabile opera del cameriere Giovanni Rovelli, il quale si prodiga fino alla fine nel tentativo di salvataggio delle passeggere rimaste imprigionate nei rottami delle cabine 56 e 58 a seguito dello schianto.
Finalmente, alle 01,18, l’Ile de France arriva sul luogo dell’incidente, in anticipo sul tempo stimato. Il suo capitano, barone Raoul De Beaudèan, accende tutte le luci e accosta in prossimità del Doria per tranquillizzarne i passeggeri. Alle 02,21 il Cape Ann accoglie i primi superstiti a bordo. Alle 02,50 tutto il personale di macchina riceve l’ordine di evacuazione: ogni possibile manovra per prolungare la vita dell’Andrea Doria è già stata compiuta. Durante le fasi del trasbordo dei passeggeri sull’Ile de France, Calamai incarica Badano di portare un messaggio a Genova: “…dica alla mia famiglia che ho fatto tutto quello che dovevo fare…”. Guido Badano, indicando la nave francese, tenta di sdrammatizzare: ” ma comandante, lo farà lei quando torneremo a Genova”. Su ordine di Calamai, si telegrafa alla società armatrice Italia a Genova: ore 03,25 gmt- investiti in foschia 20 miglia da Nantucket da piroscafo svedese Stockholm – passeggeri trasbordati su piroscafi soccorritori – nave in pericolo – Calamai. Alle 04.57 l’Ile de France, dopo aver raccolto 576 passeggeri e 177 uomini di equipaggio del Doria, chiede il permesso di far rotta verso New York. Dalla plancia, Eugenio Giannini segnala il grazie da parte di Calamai. De Beaudèan dirige la sua nave e le fa compiere un giro attorno all’Andrea Doria a moto lento, con la bandiera di stato a mezz’asta e suoni di sirena. Uno struggente addio alla splendida nave ferita. Il transatlantico francese arriverà a New York alle 18 del giorno stesso.
E’ un alba livida quella del 26 luglio 1956. Il mare è calmo, Piero Calamai e 11 uomini del suo equipaggio sono ancora a bordo, il comandante è intenzionato a mantenere il possesso della nave per timore che, una volta abbandonata, l’Andrea Doria diventi preda di altri in base alla legge del mare. Il capitano dispone che tutti gli ufficiali del suo stato maggiore, per ordine di grado, si portino sull’ultima scialuppa a poppavia del ponte lance. A tal proposito Giannini ricorda: “Calamai, sporgendosi dal ponte lance, appoggiato alla ringhiera, ci disse di rimanere in zona, mentre lui rimaneva a bordo in attesa dei rimorchiatori di soccorso stimati in arrivo”. A queste parole il comandante in seconda Osvaldo Magagnini e gli altri ufficiali reagiscono con fermezza, facendo atto di ritornare a bordo. La reazione dei suoi uomini convince finalmente Calamai a scendere sulla scialuppa, ma nel suo cuore qualcosa si ferma. È un uomo distrutto! Sono le 05,30, l’Andrea Doria viene abbandonata. Alle 07,33 l’USS W. Thomas, nave per il trasporto truppe statunitense al comando delle operazioni di soccorso, comunica: “Doria inclinato di 45° a dritta”. Alle 08,43 la vedetta USS Evergreen dell’Us Coast Guard prende il comando delle operazioni.
L’Andrea Doria resiste ben 11 ore prima di affondare, prova tangibile della qualità del progetto originale e dell’abnegazione dell’equipaggio. Addirittura la nave affonda con il circuito d’emergenza e la pompa Sos di sinistra ancora efficienti. Alle 10:08 l’USS Evergreen comunica: “Andrea Doria affondata in 225 piedi (75 metri) d’acqua. Posizione 40°29’4’’N 60°50’5’’W. Il secondo ufficiale di macchina Giovanni Cordera ricorda: “alcuni di noi fecero il saluto militare all’indirizzo della nave che scompariva dalla vista”. Guido Badano ricorda : “…è come vedere morire un amico… giovane, bello, pulito… è stato molto triste…”. Lo stesso Badano annota su di un brandello di busta intestata Italia: ore 10.15 a fondo, mentre sul retro della busta segna il punto nave e gli ultimi rilevamenti Loran. L’aletta sinistra di poppa è l’ultimo particolare dell’Andrea Doria a riflettere la luce di un pallido sole, prima di scivolare per sempre sul fondo del mare già toccato dalla prua.
Lo Stockholm nonostante abbia la prua completamente squarciata, riesce a raggiungere con i propri mezzi il porto di New York a mezzogiorno del 27 luglio, recando a bordo 311 passeggeri e 234 membri dell’equipaggio dell’Andrea Doria. Alle 11,00 Calamai, sofferente per una tromboflebite a una gamba, si imbarca accompagnato dai suoi ufficiali sul cacciatorpediniere USS Edward Allen, giungendo poi a New York alle 0:30 del 27 luglio. Appena giunti a New York, i naufraghi sono accolti dalla stampa di tutto il mondo e dalle troupe televisive, per i primi servizi televisivi di Ruggero Orlando e Walter Cronkite.
Immediatamente iniziano le schermaglie legali patrocinate da studi specializzati in diritto marittimo, nell’intento di definire cause e responsabilità a tutela degli interessi commerciali delle due compagnie armatoriali, di fatto assicurate entrambe presso i Lloyds di Londra. Il ministero della Marina mercantile italiana nomina, con un apposito decreto, una commissione speciale d’inchiesta formale presieduta dall’ammiraglio Candido Bigliardi. Intanto, dopo varie ispezioni dei periti di parte, il 19 settembre 1956, presso la Corte penale di New York, ha inizio il dibattimento dell’inchiesta preliminare, anticamera legale del processo vero e proprio.
Fin dalle prime fasi del dibattimento, la tesi italiana e quella svedese appaiono diametralmente opposte, sebbene giorno dopo giorno la versione italiana acquisti sempre più credito. Gli Ufficiali italiani sostengono che lo Stockholm stesse incrociando a dritta, mentre il terzo ufficiale dello Stockholm, Carstens, dichiara il falso quando, ancora oggi, afferma che l’Andrea Doria era alla sua sinistra. In realtà, di quella notte è ormai stato ipotizzato che la condotta imprecisa del timoniere Larsen abbia tratto in inganno l’ufficiale svedese. Inoltre il radar dello Stockholm non risultava regolato nella misura della reale distanza dall’Andrea Doria, ma tarato sulla banda delle 5 miglia invece delle reali 15 miglia. Quando Carstens, credendosi a sei miglia dal Doria, ordina al timoniere Larsen di accostare a dritta di 22°, si trova in prossimità dall’Andrea Doria… confondendo una sicura e decisa rotta di scampo con una fatale rotta di collisione!
Lo stesso comandante Nordenson, il 24 ottobre 1956, durante la sua prima deposizione in aula non riesce a rendere disponibile il brogliaccio degli ordini per l’ufficiale di guardia. Il brogliaccio è andato perduto anche sul Doria, ma, in questo caso, si tratta di una perdita comprensibile nella concitazione del naufragio. Stranamente, risulta misteriosamente cancellato anche il tracciato del plotting del radar dello Stockholm.
Come se questo non bastasse, Nordenson si dimostra reticente e confuso durante la ricostruzione dei fatti accaduti, giungendo ad accusare un malore in aula. Proprio mentre si fa strada tra gli ufficiali italiani e il comandante Calamai la fondata speranza che si giunga a un onesto riscontro dei fatti accaduti, nel gennaio 1957, in pieno dibattimento, l’inchiesta sulle responsabilità viene bruscamente archiviata per accordi sommersi stretti tra la società Italia, la Swedish Home Lines e i vertici industriali dell’Ansaldo, che, presso i cantieri navali di Sestri Ponente, ha da poco varato la nuova ammiraglia della flotta svedese, la Gripsholm.
Infatti, il giorno 21 dello stesso mese, a Londra, le parti si sono accordate ufficialmente con un testo destinato a rimanere segreto, rinunciando ai rispettivi reclami di risarcimento e impegnandosi al contempo a intraprendere un rapido iter di indennizzo delle parti civili. Tale accordo sancisce la formale rinuncia delle parti a giungere al processo. Il comandante Nordenson torna in patria accolto come un eroe.
Nel giro di breve tempo gli viene affidato il comando della nuova ammiraglia Gripsholm, ma Nordenson non potrà ritirare personalmente la nave al termine delle operazioni di allestimento a Genova, per il totale rifiuto delle maestranze italiane a prestare assistenza alla consegna, nei riguardi del capitano svedese! I vertici della società Italia confermano la loro “solidale fiducia” verso l’operato di Piero Calamai e gli promettono il comando della gemella del Doria, la Cristoforo Colombo. Questo comando non giungerà mai, a fronte di una affrettata quiescenza.
Piero Calamai muore il 7 aprile 1972. La sua ultima struggente frase nel delirio: ” i passeggeri sono tutti in salvo? “. Il Capitano Guido Badano ricorda ancora oggi il suo comandante, Piero Calamai, in questo modo: “Ufficiale brillante e ambizioso, fin timido nei rapporti personali, un gentiluomo moderno, semplice e umano con tutti, preciso, prudente, con un tratto signorile con i passeggeri e soprattutto con un grande senso del dovere!”. Attitudine umana e professionale che lo ha reso protagonista, con i suoi uomini, del più brillante salvataggio in mare della storia. Per ironia della sorte, John Carrothers, esperto navale americano, ufficiale di macchina e collaboratore dell’US Naval Istitute, dopo la pubblicazione di vari articoli a beneficio di una onesta ricostruzione dei fatti accaduti, basandosi sui dati oggettivi dei grafici di rotta Sperry, nel 1972 concluse la sua indagine a completo favore della tesi italiana e, in data 10 marzo 1972, scrisse una lettera indirizzata a Pietro Calamai, lettera che il comandante italiano non aprì mai, le figlie la trovarono ancora sigillata alla sua morte. La missiva concludeva così: “…Stia sicuro comandante Calamai, ci sono molti di noi che sarebbero onorati di servire al suo comando in ogni momento…”. Calamai non aprì mai quella lettera indirizzata a lui, nell’ultima delle rare interviste concesse, al giornalista Silvio Bertoldi disse: “ho sempre amato il mare… ora lo odio, questa tragedia è stata la rovina della mia vita”.
Ancora oggi all’Accademia navale statunitense di King’s Point, dove si formano i quadri della marina mercantile americana, il titolare della cattedra di scienze della navigazione Robert Meurn, compie periodiche esercitazioni con gli allievi ufficiali, all’interno di un sofisticato simulatore di navigazione computerizzato, ricreando a uso didattico la fedele ricostruzione del tragico scontro di quella notte del luglio 1956, con risultanze indiscutibilmente a favore della tesi italiana, suffragata ormai da un’ampia bibliografia in materia. In base alla simulazione Meurn, per prestar fede alla dichiarazione di Carstens, si è stabilito che per collidere nei tempi e nella posizione d’impatto, l’Andrea Doria avrebbe dovuto compiere una manovra a “S” a una velocità ben oltre le reali possibilità della nave.
La commissione d’inchiesta Bigliardi giunse alle stesse conclusioni già nel 1957 ma, per ragioni misteriose, il documento ufficiale è emerso solo recentemente dagli archivi ministeriali. In un Paese come l’Italia, da sempre indulgente e comprensivo nei confronti di chi si comporta con viltà e indifferenza, ma giudice implacabile e subito immemore delle figure di Valore, ricordare oggi Piero Calamai e chi si prodigò con coraggio quella notte è come progettare il riscatto morale delle generazioni future, non delle presenti, ormai annichilite da decenni di “coltivazione intensiva” dell’ignavia e del ripiegamento verso gli istinti personali più egoisti. In fondo a questa “sottile linea blu” di riscatto, si potrà vedere Piero Calamai, finalmente in pace e di nuovo in armonia con il mare, che non ha mai smesso di amarlo a dispetto della codardia degli uomini.
pubblicato il 31 Luglio 2024 da admin | in Storie | tag: Andrea Doria, barone Raoul De Beaudèan, capitano Harry Gunnar Nordenson, comandante Piero Calamai, Giovanni Zoncada, Gustavo Pulitzer, Ile de France, Johan Ernst Carstens, Matteo Longoni, Swedish Home Lines, transatlantico Stockholm | commenti: 11
Parole finali sacrosante, ma per ora inutili in in’Italia oramai da una gaudente e stracciona ciarlataneria.
È veramente terribile vedere come la verità viene sempre occultata. Sempre e solo interessi di soldi, e chi se ne frega se si getta discredito su una persona per bene, chi se ne frega se si stravolge totalmente la realta dei fatti. L’importante è che non si spenda denaro. Succede ancora oggi, più che mai. Una campagna mediatica distruttiva nei confronti dell’Italia. Si travisano le cose, si rigira la frittata e la verità è sempre tradita, i fatti raccontati sempre diversi da quelli reali. La crisi italiana creata ad arte, poi a chi si dà la colpa? Agli italiani che evadono. La corruzione dilagante nella nostra politica è alimentata da chi comanda il mondo e ormai si sa chi sono. Vedi Mps, banca storica italiana, portata al fallimento dalle lobby internazionali ovviamente per interesse. Poi inculcano nel cervello del popolino che tutto quello che accade è colpa nostra. Una parte di responsabilità ne abbiamo, ma minima. Commento apparentemente fuori tema, ma il senso vero è che basta manipolare i fatti per far credere alle masse quello che si vuole. Bisogna informarsi per bene su tutto e sempre, non tramite i media di regime. È anche un nostro dovere e bisogna farlo anche per la memoria di quelle persone che sono state fatte apparire dei mostri quando non lo sono stati, anzi. Ma la verità non interessa a nessuno. La gente è talmente robotizzata che non riesce manco più a farsi domande, né vede le tante cose che non tornano anche nella nostra contemporaneità.
La storia dell’ANDREA DORIA, magnifica nave, orgoglio della Marina Italiana, dovrebbe essere tradotta in un film, come il naufragio del Titanic, non fosse altro, per l’eroico comportamento del capitano e di quanti erano li al suo comando. A ricordarmi la storia di questa nave é un piccolo cimelio in mio possesso da 44 anni gelosamente custodito (un bicchiere) .
Solo oggi leggo questo bellissimo articolo sulla tragedia della nostra grande nave Andrea Doria e vi ringrazio per averlo scritto, veramente bene. Quanti uomini come il comandante Piero Calamai e i suoi ufficiali ci vorrebbero ai posti di comando di questa Italia, sempre più alla deriva? La storia ci insegna che questi grandi uomini non appartengono alla massa, ma si elevano al di sopra di essa, come santi, laici ma santi. Grazie per essere esistiti.
Non solo Schettino. Anzi Schettino è un caso unico, nella gloriosa storia della marineria italiana. La storia della marineria italiana e delle nostre ffaa specialmente durante la seconda guerra mondiale, è intrisa di gesti eroici e di personaggi leggendari. Noi eravamo premiati dagli inglesi quando nel mare nostrum eravamo protagonisti di imprese eroiche anche da parte della nostra aviazione militare. NON LO SI DIMENTICHI.
Dopo aver visto “Ulisse” sù RAI 1 (19/11/16) sono contento che ora certe verità si fanno luce e che si può accertare che la Stockholm fosse interamente sulle parte del torto. Vivendo in quel epoca in Algeria era evidente per i media che la nave svedese, almeno per errore di navigazione, aveva speronato l’Andrea Doria.
Racconto e avvenimento davvero intrigante. Sono d’ accordo, servirebbe un film anche come omaggio dovuto a Piero Calamai e alla sua famiglia. Grazie a Ulisse di Rai tre e a questo racconto. Grazie a Piero Calamai.
Questa storia ci fa capire quanto, non solo l’Italia, abbia bisogno di uomini come Calamai.
Come sempre la colpa se la presero gli italiani, accusati da Stati Uniti e Svezia (che invece avevano causato il disastro ). Tra l’altro gli svedesi sono famosi per le ubriacature anche quando sono in servizio . Avrebbero dovuto fare i relativi test e forse le accuse si sarebbero dimostrate false, come poi chiarito a distanza di anni.
Ho da poco visto una puntata di Atlantide, con Andrea Purgatori (bellissima trasmissione e bravissimo giornalista) dedicata a questa tragedia e mi ha affascinato. Il comandante Calamai deve essere stato uno di quei comandanti che nascono una volta ogni mille anni….. Bello anche il vostro articolo.
Bellissimo articolo, letto con passione ricordando il fatto,. Avevo allora 17 anni e ricordo di aver visto alla fermata dell’autobus in Castelletto .Pochi anni dopo il comandante Piero Calamai……mi sembro’ ancora molto provato .Grazie per l’interessante spiegazione dei fatti ..a voi !