Oggi il suo nome è quasi dimenticato, ma il francese Eric de Bisschop è stato uno dei più formidabili navigatori di tutto il Novecento. Classe 1891, rampollo di una nobile famiglia francese decaduta, era un uomo poco muscoloso e di modesta statura, quanto di più lontano si possa immaginare dallo stereotipo dell’eroe: in compenso il suo sguardo era di quelli che catturano subito l’attenzione, così come la sua formidabile parlantina. Suoi segni distintivi erano l’agile intelletto, l’ostinazione, il gusto per l’avventura, il divorante amore per le traversate impossibili e un coraggio da leoni. Oltre che un pizzico di simpatica follia e fascino in quantità. Durante la Grande Guerra, mentre era al comando di un dragamine nella Manica, venne silurato da un sommergibile tedesco; non sapeva nuotare, ma fu recuperato per miracolo da un’imbarcazione francese. Decise allora di entrare in aeronautica, ma durante una ricognizione sul Mediterraneo precipitò a causa di un guasto; poiché non aveva trovato il tempo per imparare l’arte del nuoto, stava di nuovo per affogare quando fu recuperato giusto in tempo da una nave alleata. Dopo la guerra acquistò un tre alberi, con il quale si diede al traffico di legname tra la Francia e l’Africa Occidentale.
Questa volta fu una tempesta a colarlo a picco e anche questa volta fu fortunosamente tratto in salvo. Intanto era naufragato anche il suo primo matrimonio, ma un’altra dote di Eric era l’imperturbabilità. Nel 1927 partì per la Cina, dove si fece costruire una giunca di 20 metri per trasportare merci nel Mar Giallo; un inopportuno tifone lo affondò nei pressi di Taiwan. Serafico, in appena tre mesi ne allestì una più piccola, deciso ora a commerciare in antichità cinesi. Tuttavia il suo animo aspirava «a qualcosa che potesse riempire completamente la sua vita e renderla degna di essere vissuta». Negli anni successivi gliene capitarono di tutti i colori: imprigionato nel 1935 dai giapponesi su un’isola del Pacifico come spia americana e rilasciato solo per il rotto della cuffia, poco tempo dopo trovò l’occasione per un ennesimo naufragio, questa volta sulle scogliere di Molokai, nel gruppo delle Hawaii. Per nulla scoraggiato, senza perder tempo mise in cantiere una sbalorditiva imbarcazione a doppio scafo lunga 11 metri e battezzata Kaimiloa e intanto convolò a nozze con una bella ragazza locale. Con quella che, storicamente, è da considerarsi la progenitrice di tutti i moderni catamarani, attraversò in tempi record 3500 miglia di Oceano Pacifico e l’intero Oceano Indiano, doppiò il Capo di Buona Speranza, sfiorò le Azzorre e giunse infine a Cannes dopo aver coperto 19000 miglia. Fiutata aria di tempesta, abbandonò la Francia nel giugno 1940, alla vigilia della capitolazione. Affondato nei pressi delle Canarie e tratto in salvo dalla moglie, Eric ebbe allora la stupefacente idea di farsi nominare console francese a Honolulu, in modo da aver tutto il tempo per proseguire gli studi sui popoli dei mari del Sud e sulle grandi correnti del Pacifico. Tuttavia, allorché il governo di Vichy cadde in disgrazia agli occhi degli americani e questi lo arrestarono con l’accusa di essere una spia… dei giapponesi. Liberato dopo qualche tempo, appena finita la guerra si diede a scombiccherati traffici su un’altra giunca cinese finché si trovò costretto a fuggire i creditori facendo vela verso Tahiti, raggiunta dopo aver coperto 2400 miglia in appena 18 giorni.
Qui, dopo infinite altre peripezie ed esser tra l’altro diventato agrimensore sulle Isole Australi, decise infine di coronare un suo antico sogno: dimostrare l’ipotesi etnologica secondo la quale furono gli antichi polinesiani a raggiungere il Sud America e a intrattenere scambi culturali con i nativi, al contrario di quanto asserito da Thor Heyerdahl nel 1947 con la spedizione della KonTiki. A 66 anni suonati, Eric de Bisschop si mise così a reperire i fondi per la costruzione di una zattera di bambù, realizzata sul modello dei natanti preistorici della Polinesia, soggetta però a qualche personalissimo intervento: il risultato fu una creatura ibrida, lunga 14 metri e larga 5, dotata di due alberi con strane vele simili a quelle cinesi, una spartana cabina centrale e una curiosa serie di derive retrattili di ispirazione peruviana. L’obiettivo era raggiungere le coste del Cile dopo una navigazione stimata di 4500 miglia, facendosi portare dai venti occidentali e rimanendo sulla latitudine dei 40 gradi sud. Finalmente, l’8 novembre 1956 la zattera, battezzata Tahiti Nui, lasciò il porto di Papeete sotto gli occhi di una folla festante. Su quello che senz’altro è stato uno dei più bizzarri natanti mai costruiti erano imbarcati, oltre a de Bisschop, il tahitiano Francis Cowan, il cileno Juanito Bugueño e i fratelli francesi Michel e Alain Brun, tutti molto più giovani del capitano. Può sembrare incredibile, ma Alain era l’unico marinaio di mestiere a bordo e, di conseguenza, nei lunghi mesi successivi, ebbe maggiori responsabilità e più lavoro da svolgere di tutto il resto dell’equipaggio, accomunato però da un invidiabile spirito d’avventura. Quest’ultima, in effetti, non mancò: alle bizze delle correnti oceaniche si aggiunsero sfiancanti momenti di bonaccia, forti venti contrari, terrificanti tempeste con onde alte 15 metri e la penuria d’acqua potabile. Furono proprio le burrasche a minare lentamente la struttura della zattera, che dopo oltre sei mesi di navigazione colò a picco – il 26 maggio 1957 – a poche miglia dalle coste del Cile. Tutti furono portati in salvo da un incrociatore cileno, che li sbarcò a Valparaiso, dove furono accolti da eroi.
Con calma olimpica e la consueta faccia tosta, qui Eric riuscì a trovare nuovi finanziatori per varare una nuova zattera, questa volta costruita in legno di cipresso. Obiettivo: tornare a Tahiti, per dimostrare che la rotta poteva essere seguita anche al contrario.
Sostituiti Michel e Francis con il tedesco Hans Fischer e l’oceanografo francese Jean Pélissier, la Tahiti Nui II salpò da Constitución il 15 febbraio 1958, fece scalo a Callao (1600 miglia più a nord!) e prese il mare aperto il 13 aprile. Le traversie – tra cui la ricetrasmittente guasta e la costante compagnia di un grosso squalo – furono anche peggiori del viaggio d’andata e il fisico di Eric, già indebolito, ne risentì fatalmente. Venti sfavorevoli impedirono l’approdo sulle isole Marchesi e sospinsero la zattera verso le isole Cook, dove fece naufragio il 30 agosto sulla scogliera di Rakahanga. Eric cadde in mare, ma fu subito recuperato dai suoi compagni d’avventura e portato a terra: tuttavia, il mattino dopo si dovette constatare che era morto, il volto sereno e un sorriso sulle labbra. Pochi giorni più tardi, la cannoniera francese che era stata inviata a raccogliere i superstiti entrò nel porto di Papeete con la bandiera a mezz’asta: tra due ali di folla attonita, una semplice bara venne portata a terra. Eric de Bisschop, uno degli ultimi, autentici eroi del mare, etnografo e navigatore visionario quanto ardito, fu sepolto sull’amata isola di Rurutu. Non aveva mai imparato a nuotare.
pubblicato il 31 Maggio 2024 da admin | in Personaggi | tag: Hean Pelissier, KonTiki, Polinesia, Rakahanga Rurutu, Tahiti Nui | commenti: 0