Johan Barthold Jongkind nacque il 3 giugno 1819 nel villaggio di Lattrop, provincia di Overijssel, Paesi Bassi, non lontano dal confine con la Germania. È sufficiente ricordare ciò che di lui disse Claude Oscar Monet per capire che non stiamo parlando di un pittore da poco: «Devo a lui l’educazione del mio occhio». Anche Emile Zola fu molto favorevolmente impressionato dalla capacità di Jonkind di ritrarre la Parigi dell’epoca. A colpire questi due illustri personaggi fu in special modo l’abilità mostrata da Jongkind di osservare direttamente la realtà e di renderla in forma magari abbozzata, ma assolutamente spontanea, con rara immediatezza e con una ricerca di tonalità che sono sempre le più giuste, con tinte delicate. Il padre dell’artista, Gerrit Adrianus, di professione esattore, morì quando Jongkind aveva 17 anni. Ciò costrinse il giovane, che però già si sentiva attirato dall’arte, a trovare un impiego nello studio di un notaio. Nonostante le limitate risorse, Jongkind riuscì nel ’37 ad iscriversi all’Accademia di Disegno dell’Aja e ad avvalersi delle lezioni private del decano dei pittori olandesi viventi: Andreas Schelfhout. Pittore famoso, oltre ad avviare gli allievi verso la pratica della copia dagli antichi maestri, Schelfhout li portava a effettuare schizzi dal vero che potessero, successivamente, essere rielaborati a studio.
Jongkind crebbe così come pittore da studio, in grado di rielaborare nella tranquillità assicurata da quattro pareti e anche a distanza di anni, uno schizzo preso all’aperto in condizioni completamente diverse. Il pittore avrebbe potuto facilmente divenire il successore di Schelfhout se, nel 1843, non fosse stato preso sotto l’ala protettrice del grande Eugène Isabey, che lo accettò tra i suoi allievi.
A differenza di altri artisti, che facevano scuola su altri soggetti, Isabey insegnava ai suoi allievi come ritrarre il paesaggio e le vedute. Per una serie di circostanze in cui il caso fu determinante, in quel periodo, Jongkind si trovò a essere inserito in quella cerchia di pittori che prese il nome di Scuola di Barbizon. Pur dovendo qualcosa ad Isabey, Jongkind non lo seguì sulla strada del Romanticismo. La sua scelta fu invece quella di studiare la natura in maniera diretta, e fu così che egli prese le distanze dal modo di fare arte proposto dal suo maestro. Nel 1848 Jongkind debuttò al Salon con Un porto di mare, ponendosi in maniera sempre più esplicita dalla parte di quelli che combattevano il cosiddetto pittoresco nell’arte. Non passò molto tempo prima che egli venisse considerato un pittore della vita moderna. Entrò quindi in contatto con il mercante d’arte Pierre-Firmin Martin, attorno al quale si raccoglieva un gruppo di pittori d’avanguardia, il Cercle Mogador, nel quale venne ammesso pur mantenendo una propria individualità e scegliendo una strada artisticamente autonoma. Fu questo un periodo stimolante, in cui ebbe modo di incontrare personaggi di primo piano del mondo dell’arte e della cultura, quale quel Gustave Courbet, realista estremo e ribelle che tanto avrebbe fatto parlare di sé. La frequentazione di questo mondo non rimase però senza conseguenze negative.
Jongkind iniziò a bere divenendo ben presto un alcolizzato, e quando venne meno il sussidio del principe d’Orange cadde in uno stato depressivo destinato ad aggravarsi con il trascorrere del tempo. Come spesso accade, mentre i successi e la fama ottenuti furono presto dimenticati, i problemi, i fallimenti o gli eventi percepiti come tali dalla sua mente provata scavarono in profondità nel suo animo. Eppure erano numerosi i motivi di soddisfazione che, negli anni felici, aveva accumulato: nel 1850 lo Stato francese aveva acquistato il suo Porto di Harfleur; nel 1852 era giunta una menzione di merito al Salon, seguita da una medaglia di terza classe per una veduta; nel 1853 era stato ancora lo Stato francese ad acquistare il suo Ponte dell’Estacade; il 1855 aveva visto tre sue vedute esposte all’Esposizione Universale. E questo mentre la critica inneggiava al suo modo di fare arte. Edmont About di lui scrisse: «Jongkind (…) è un colorista raffinatissimo, il suo cromatismo mai troppo acceso non appartiene che a lui; i suoi paesaggi abbozzati con vivacità hanno un grande carattere, i suoi quadri si riconoscono tra mille. Tale qualità è assai rara al giorno d’oggi. Jongkind si è aperto nel campo dell’arte un percorso molto gradevole, che non è una strada maestra, ma dove avanza solo e senza nessuno al fianco». Ma tutto ciò non fu sufficiente per una felicità duratura, e quello stesso anno il pittore decise di rientrare in Olanda.
Il suo mercante, Martin, non cessò mai di incoraggiarlo, di sostenerlo praticamente, provvedendo a vendere le sue tele e mandandogli un assegno mensile. Nonostante lo stato di pressoché continua frustrazione, l’artista lavorò intensamente definendo sempre meglio un suo modo specifico di fare arte, nel quale i colori conquistarono un posto non necessariamente vincolato alle linee del disegno. La metodologia scelta lo portò a operare sempre in maniera analoga al pittore all’acquarello: applicando le tinte al disegno sottostante, facendone eventualmente anche scomparire una parte. Nel 1860, la popolarità che egli godeva presso i pittori francesi trovò conferma nel fatto che ben 93 di loro accettarono di mettere a disposizione un proprio quadro per una vendita all’asta il cui ricavato avrebbe permesso di fare tornare Jongkind a Parigi. Rientrato in Francia, l’artista s’innamorò in maniera perduta di una donna sposata, Josephine Fesser, che da allora fu costantemente al suo fianco. Ma in agguato c’erano anche cocenti delusioni come il rifiuto, comune a tanti altri artisti del momento, dell’ammissione al Salon del 1861. Gli venne però consentito di partecipare al Salon des refusés, istituito da Napoleone III per ingraziarsi l’opinione pubblica, dato l’elevato numero di artisti esclusi dal vero e proprio Salon. In quegli anni, egli fece parte della Società degli acquafortisti, ove si fece notare, una volta di più, per l’indipendenza nel suo approccio a questa tecnica, per l’assoluto distacco da prassi e convenzioni. Dopo avere visto una serie di opere dell’artista, relative a vedute olandesi, Baudelaire scrisse: «Yonkind, l’affascinante e candido pittore olandese, ha depositato alcune tavole alle quali ha affidato il segreto dei suoi ricordi e delle sue fantasticherie, calme come le sponde dei grandi fiumi e gli orizzonti della sua nobile Patria, singolari compendi della pittura, schizzi che sapranno leggere tutti gli appassionati abituati a decifrare l’anima di un’artista nei suoi più veloci scarabocchi.
Quest’ultimo vocabolo è quello che utilizzava Diderot per definire le acqueforti di Rembrandt». Sempre in quegli anni, Jongkind ebbe modo di frequentare Honfleur nel periodo estivo. Qui si incontrò con i pittori della Scuola di Saint-Siméon. La sua influenza si fece sentire sull’opera di Monet e, in particolare, su quella di Boudin. Quest’ultimo ricordò successivamente il ruolo di apripista svolto da Jongkind. Eugène Boudin gli attribuì la capacità e la fantasia di sperimentare un nuovo approccio all’arte, che successivamente permise a lui di impegnarsi con le sue famose marine, per comporre le quali aveva attinto a piene mani a quanto fatto prima da Jongkind. Le parole di Boudin suonano come un tributo all’amico olandese: «Più si guardano i suoi acquarelli, più ci si chiede come siano fatti! Sono fatti con nulla, e tuttavia la fluidità e la densità del cielo e delle nuvole vi sono tradotte con una precisione incredibile». Pur tuttavia, tra i due, tra il loro modo di cogliere le scene della riva del mare, pur nelle somiglianze si possono notare subito delle differenze di fondo: in Boudin la materia è più leggera, egli ama insistere su aspetti ludici della vita di spiaggia, ove la gente passeggia e si incontra in un contesto di rilassatezza e di benessere appena venato da elementi non sempre completamente domi, oppure l’artista si sofferma su porti comunque sonnacchiosi, ove le nebbie ovattano i suoni e danno una patina di distaccata serenità. Jongkind, invece, anche se ritrae località ed ambienti che fisicamente possono non essere molto lontani da quelli scelti da Boudin per i suoi quadri, dà sfogo a una intimità molto più tormentata; ecco dunque banchine e canali secondari con imbarcazioni buttate qui e là con un certo disordine, alcune sicuramente in disarmo, con profili che richiamano personaggi da fantascienza.
A Honfleur, Jongkind si dedica con cura allo studio della luce, di cui cerca di esprimere l’essenza. Utilizza tecniche tutte sue, lontane da impressionismo e puntinismo, che si basano piuttosto sul modo in cui egli percepisce questa luce. Perfino negli acquarelli egli sviluppa approcci diversi nella resa della luce e anziché utilizzare, come fanno tutti, il bianco della carta per rendere i punti maggiormente luminosi, egli utilizza della tinta candida. I dipinti di Jongkind divennero finalmente alla moda; i suoi soggetti olandesi, in particolare i notturni, iniziarono ad essere venduti con successo ed egli intensificò i suoi viaggi nei Paesi Bassi e in Belgio alla ricerca di nuovi spunti in grado di soddisfare il gusto del pubblico. Nel 1868, due sue opere vennero ammesse al Salon e anche esponenti della cultura, come Zola e Huysmans, mostrarono apprezzamento per la sua produzione. Quando però, al Salon del 1873, una sua opera fu rifiutata, il pittore decise che non avrebbe più partecipato a tale genere di manifestazioni, restando da allora in poi coerente con tale scelta. Rifiutò anche di partecipare alla prima esposizione degli Impressionisti, destinata a fama imperitura e alla quale era stato invitato, e pur amando sentirsi elogiato, si rinchiuse sempre più nell’ambiente ristretto della famiglia della signora Fesser, iniziando a prediligere come luoghi di lavoro i dintorni di Nevers, Grenoble e la Côte-Saint-André. Nel 1880 si recò sulla Costa Azzurra ove realizzò parecchie opere. Il successo del suo lavoro continuò ad aumentare ed egli non ebbe più alcun problema economico, al punto di potersi concentrare fino all’ultimo nella tecnica prediletta dell’acquarello. Le sue condizioni di salute, però, iniziarono a deteriorandosi ed egli morì il 9 febbraio del 1891. Artista spontaneo, non costruito, Jongkind, come si è detto, preferiva l’acquarello anche se operò lungamente con l’olio.
I suoi acquarelli hanno però una freschezza irraggiungibile che deriva loro dall’essere, spesso, strumento per prendere appunti, semplici annotazioni, più che per costituire un’opera finita. A parte alcune rarissime eccezioni, Jongkind realizzò en plein-air solamente disegni e acquarelli. Con un’essenzialità non comune a molti, l’artista fu capace di rendere al meglio quegli elementi che caratterizzano il dipinto di marina e non solo: la luce, l’acqua, l’aria, nelle sue varianti imposte dalle condizioni meteorologiche. A lungo ignorato in patria, Jongkind fu dapprima scoperto e apprezzato da pubblico e critica solo in Francia. Solamente negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, oltre mezzo secolo dopo la scomparsa, la sua fama giunse anche nel suo Paese di nascita, che gli tributò i riconoscimenti da lungo tempo dovuti per un’arte unica, la cui spontaneità e apparente immediatezza che aveva colpito la fantasia delle avanguardie francesi, era in realtà derivata da un lavoro duro e un’applicazione indefessa da parte di un’artista mai pienamente soddisfatto del risultato perseguito, sempre, con impegno e abnegazione.
Testo di Paolo Bembo pubblicato sul numero 48 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. È fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 2 Febbraio 2017 da admin | in Quadri | tag: acquerelli, Cercle Mogador, Eugène Boudin, Eugene Isabey, Gustve Courbet, Impressionismo, Pierre-Firmin Martin | commenti: 0