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L’isola che non c’è è esistita davvero
ma è vissuta solamente cinque mesi

Il 22 giugno 1831 i siciliani avvertirono uno strano tremore della terra, poi ripetutosi anche nei giorni successivi: da Trapani a Palermo fu un susseguirsi di piccoli terremoti che a Sciacca aprirono crepe nei muri delle case e causarono la caduta di tegole e calcinacci. Il 28 di quel mese, il capitano della nave inglese Rapid segnalò di aver visto un misterioso “fuoco lontano, in mezzo al mare”; cinque giorni più tardi, alla Secca del Corallo – oggi nota come Banco Graham – il mare prese a ribollire, mentre alcuni pescatori che stavano raccogliendo una gran quantità di pesci venuti a galla, svennero per le esalazioni. Il 5 luglio si avvertirono forti scosse sismiche a Marsala e appena due giorni dopo il comandante della nave Gustavo, Francesco Trifiletti, fu il primo a vedere la nuova isola sorta dal mare, mentre “sputava in cielo cenere e lapilli”. La completa emersione avvenne tra il 16 e il 18 luglio. Situata circa 16 miglia a sud-ovest di Sciacca, alta una sessantina di metri e con un diametro di circa un chilometro, quell’infernale creazione presentava un cratere con due bocche eruttive, mentre lungo le pendici del conoide irregolare spiccavano altrettanti laghetti colmi di acque sulfuree in ebollizione. La notizia di quell’evento prodigioso si diffuse rapidamente e destò la curiosità della comunità scientifica europea; al contempo, la nascita dell’isolotto suscitò un’accesa disputa diplomatica tra i diversi Stati che ne rivendicavano il possesso, data la sua posizione strategica.

Dopo la sua emersione, l’Isola Ferdinandea divenne subito oggetto di dispute per la sovranità territoriale

Già il 4 agosto il vice ammiraglio inglese sir Hotham aveva dichiarato l’isola possedimento di Guglielmo IV d’Inghilterra; il 24 dello stesso mese il capitano Jenhouse sbarcò su quel lembo di terra piantandovi la bandiera britannica e dandogli il nome di Graham in onore del primo lord dell’Ammiragliato. La Francia, per contrastare l’azione inglese, a settembre inviò un brigantino dal quale, il 27, sbarcò il geologo Constant Prévost, che a sua volta issò il tricolore sull’isola e la battezzò Juliain, in quanto emersa a luglio. A quel punto, il re Ferdinando II delle Due Sicilie, che con regio decreto l’aveva già annessa a Napoli il 17 agosto, mandò sul posto la corvetta Etna ai comandi del capitano Corrao, il quale approdò sull’isola e, piantandovi il vessillo borbonico, la chiamò Ferdinandea in onore del suo sovrano. La bramosia degli uomini era però destinata a rimanere inappagata. Infatti, all’improvviso i fenomeni eruttivi cessarono del tutto e subito l’isola Ferdinandea cominciò a ridursi, erosa dalle onde. L’8 dicembre, così com’era nata, sparì sotto i flutti tra alte colonne di vapori. Nel 1846 e infine nel 1863 il bizzarro isolotto riapparve ancora, per poi svanire definitivamente. Cartografata anche come Banco Graham, attualmente l’isola Ferdinandea è una vasta piattaforma rocciosa situata a soli 7 metri di profondità tra Sciacca e Pantelleria. Recenti ricerche oceanografiche hanno evidenziato come “l’isola che non c’è” costituisca, con i vicini banchi Terribile e Nerita, uno dei coni accessori del gigantesco vulcano sottomarino Empedocle, che si innalza a circa 500 metri dal fondo del Mediterraneo.

Nel 1957 il fenomeno si ripetè al largo di Faial, nelle Azzorre, mentre nel 1963, in Islanda, emerse Surtsey

Mentre nell’Ottocento questa vicenda fu accolta con enorme curiosità, oggi è noto che fenomeni analoghi possono manifestarsi in tutto il globo lungo una faglia sottomarina, ossia una frattura lungo la quale s’incontrano due grandi placche della crosta terrestre. La mattina del 23 settembre 1957, ai guardiani del faro di Costa da Nau, sull’isola di Faial, si presentò uno spettacolo terrificante; le acque dell’Oceano Atlantico, torbide come fango, ribollivano orrendamente a poche centinaia di metri dalla scogliera. Nell’arcipelago delle Azzorre gli eventi sismici sono frequenti, ma quello che avvenne allora superò ogni immaginazione: la mostruosa eruzione, protrattasi fino al 24 ottobre dell’anno successivo, diede origine a un vulcano monogenico esteso su un’area di oltre due chilometri e mezzo e alto circa 180 metri. Le ceneri soffocarono ettari di coltivazioni e foreste, distrussero più di 300 abitazioni e obbligarono all’emigrazione circa 2000 abitanti dell’isola. Di quella catastrofe oggi rimangono a testimonianza le rovine del faro, che spunta incongruo da una distesa di ceneri, e un paesaggio lunare di corrusca bellezza. Pochi anni più tardi, lungo la medesima faglia ma centinaia di chilometri più a nord, il fenomeno si ripeté al largo delle coste meridionali islandesi. Fortunatamente la nascita di Surtsey non causò vittime o danni, non di meno fu spettacolare. Iniziata il 14 novembre 1963, l’eruzione durò fino al 5 maggio 1967, dando origine a un’isola di oltre due chilometri e mezzo di superficie. Sorta da una frattura della Dorsale Medio Atlantica, Surtsey viene attentamente studiata dai vulcanologi che hanno dato il suo nome a una particolare categoria di violente eruzioni esplosive.

In questo periodo sta emergendo una nuova isola a pochi metri dall’isolotto di Nishinoshima, in Giappone

Una terra appena nata costituisce un prezioso laboratorio biologico per gli scienziati, che qui possono osservare come le forme di vita la stiano gradualmente colonizzando: per questa ragione è proibito sbarcare su Surtsey, tranne che alle équipe scientifiche. Dal 2008, inoltre, l’isola è stata proclamata dall’Unesco patrimonio dell’umanità. L’ultimo in ordine di tempo di questo tipo di spettacolari eventi vulcanici si sta manifestando proprio in questo momento, nell’Oceano Pacifico, circa 1000 chilometri a sud di Tokyo. L’eruzione subacquea è iniziata nel novembre 2013 a poche centinaia di metri dall’isolotto disabitato di Nishinoshima, nel remoto arcipelago delle Osagawara (o Isole Bonin). Nel dicembre del medesimo anno la neonata isola si è saldata alla sua vicina; attualmente la “nuova“ Nishinoshima è alta 110 metri e si estende su circa due chilometri e mezzo di superficie, ma è in lenta crescita. Evidentemente, nelle profondità misteriose degli abissi, l’officina di Vulcano è sempre in attività.

Testo di Fabio Bourbon pubblicato sul numero 87 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

pubblicato il 20 Marzo 2023 da admin | in Storie | commenti: 0

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Commenti recenti
  • Roberto Ventrella 28 Febbraio 2023 at 21:16 su Al Polo Sud a vela? Il primo italiano
    a riuscirci è stato Giovanni Ajmone Cat
    Fiero d'essere italiano, napoletano e amante del mare. Grazie!
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