Chi si ricorda di Frontide, cantato da Omero? Tutti in alto mare, vero? Eppure Frontide (o Fronte) rappresenta una delle figure di mare più antiche e onorate, quella del pilota. Frontide era infatti il pilota di Menelao e, dopo essere stato ucciso da Apollo, venne onorato dal re di Micene con un mausoleo innalzato vicino a capo Sunion, ultimo lembo meridionale dell’Attica, a una settantina di chilometri da Atene. Padre di tutti i piloti, allora, ma in buona e abbondante compagnia. I Romani, infatti, ritenevano che capo Peloro, all’estremità nord orientale della Sicilia, prendesse il nome dal pilota di Annibale, condannato a morte per avere perduto la propria nave sugli scogli dell’isola. Leggende, certo, ma anche testimonianza di quanto questo ruolo a bordo abbia radici salde e antichissime. Fin dall’antichità non c’è tratto di mare insidioso, ora per le scogliere affioranti, ora per le forti correnti o per i flussi di marea, ora per i fondali sabbiosi e mobili, che non veda i naviganti affidarsi a questi uomini sconosciuti e straordinari. Il loro non è un mondo di grandi viaggi nella solitudine degli oceani, di scoperte geografiche, di fantasmagorici diari di bordo. È al contrario un universo piccolo piccolo, compreso in poche miglia, costellato di incontri quotidiani con i volti di tanti comandanti, segnato dalla responsabilità di beni che non sono mai loro, ma da loro dipendono.
E di questo mondo sono gli assoluti protagonisti. Nel diritto di Rodi, recepito nel 533 nel Digesto promosso da Giustiniano I, era fissato l’obbligo per ciascun capitano di ricorrere ai servigi «dei pratici dei bassi fondali, nei luoghi dove è costume adoperarli», e ciò fa ritenere che l’istituto del pilotaggio fosse già accolto nell’ordinamento giuridico romano che, peraltro, distingueva il gubernator, ovvero il pilota timoniere, e il proreta, cioè il pilota prodiero. Nel periodo medioevale, i Roles d’Oleron, sintesi delle consuetudini che regolavano il commercio marittimo sulle rotte dell’Atlantico e del Baltico, stabilivano che i piloti rispondessero della nave loro affidata con la vita. E la pena capitale in caso di negligenza nello svolgimento del proprio lavoro (e cioè in presenza di un naufragio) divenne una sanzione consueta nel corso dei secoli. Oggi i piloti non rischiano più la testa, ma la loro attività, accuratamente regolamentata, rientra in ogni caso nei servizi per garantire la sicurezza della navigazione. E le loro prestazioni sono obbligatorie e imprescindibili in una vastissima serie di circostanze. Sono loro, infatti, che salgono a bordo delle navi in prossimità dei porti più importanti e le conducono in tutta sicurezza fino all’attracco. E che conducono le navi in partenza fuori dal traffico portuale e dalle insidie del mare in prossimità degli scali.
Per comprendere la quantità e la responsabilità del compito, prendiamo, per esempio, il più grande porto europeo, quello di Rotterdam. Dallo scalo olandese, ogni anno, transitano navi di ogni dimensione e con ogni genere di carico, per un totale di svariati milioni di tonnellate di stazza. Nell’arco dei dodici mesi, i piloti del porto di Rotterdam prendono in carico e conducono in sicurezza all’approdo (o riportano in mare) circa 65mila navi. Ci sono tempi da rispettare e interessi economici colossali in gioco. La pianificazione fa la sua parte, ma il cattivo tempo, il mare agitato, i venti impetuosi non sono pianificabili e il lavoro deve andare avanti in ogni caso, senza soste e in piena sicurezza. Paradossalmente, i momenti più delicati per i piloti sono quelli legati al cambio di imbarcazione: quando prendono in consegna la nave in arrivo e devono salire a bordo o, al contrario, quando hanno riportato la nave in rada e devono rientrare sulla pilotina di servizio. I tender che compiono questo lavoro di accompagnamento operano spesso in condizioni proibitive. Affiancare vertiginose murate di acciaio per consentire al pilota di agguantare la biscaglina di servizio non è impresa da poco quando il mare è cattivo. E siccome le navi non possono attendere in rada e i grandi porti del Belgio, dell’Inghilterra, della Germania non stanno ad aspettare, sono nati gli Swath. A Rotterdam ne hanno acquistati due.
Swath significa Small Waterplane Area Twin Hull, e non sono semplicemente dei catamarani. I loro galleggianti, infatti, svolgono una funzione di bilanciamento e di equilibrio della piattaforma sovrastante, tale da favorire l’innalzamento del lato attiguo a quello della nave da abbordare. In circa cinque minuti l’attivazione di questa funzione simile a quella dei ballast permette di guadagnare anche 80 centimetri in altezza sul bordo utile. Risultato: ora il tipo di mare che si può affrontare in sicurezza, senza correre il rischio che i piloti cadano nelle acque gelide, cosa non infrequente con i normali shuttle, ammette anche onde altre tre metri e mezzo. Avete letto bene: tre metri e mezzo di onda in rada. E li chiamano ancora piloti.
Testo di Andrea Bolchi pubblicato sul numero 53 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 4 Giugno 2016 da admin | in Catamarani a motore | tag: Frontide, Peloro, porto di Rotterdam, proreta, Swath | commenti: 0