Sono nato a pochi passi dalla scogliera di Calafuria, a Livorno e quando aprivo la finestra di camera vedevo il mare, con l’isola della Gorgona appoggiata sull’orizzonte. Qualcuno diceva che nella sua silhouette ondulata e morbida si vedeva il profilo di una fanciulla quasi del tutto sommersa. In realtà non ho mai sentito nemmeno una leggenda su quella misteriosa donna a pelo d’acqua. Per me la Gorgona non era affatto una donna, ma un’isola sottile come un paravento dietro al quale si nascondevano mondi sconosciuti, pirati saraceni, mostri marini, fanciulle bellissime e altri misteri, di cui non avevo prove certe, ma indizi inequivocabili. Sapevo bene quando e dove cercarli. Il posto giusto era la spiaggia sassosa che frequentavo d’estate. I momenti adatti erano però le giornate d’inverno, quando il Libeccio soffiava forte, il cielo era nuvoloso e al mare non c’era proprio nessuno. Era in quei giorni che, tra i sassi, il mare abbandonava misteriosi messaggi provenienti da chissà dove. Passarono gli anni, parecchi, e cambiai città. Ma un giorno il mio lavoro di giornalista mi portò in altri mari e d’improvviso mi resi conto come dietro la Gorgona ci fossero davvero oceani di meraviglie.
Mi accorsi che le isole sono piccoli mondi a sé stanti, terre diverse da tutte le altre poiché da sempre il mare le assedia e vi rovescia sopra relitti d’ogni tipo: velieri naufragati, uomini in fuga dal mondo, storie cresciute chissà dove o nate proprio lì. Sulle isole ho incontrato idoli che camminano, baronesse visionarie con tre amanti, ragazze travestite per amore, profeti che non arriveranno mai, marinai che non vollero tornare a casa, monete fatte di pietra, imperatori con due sudditi, residui di preistoria, pirati alla deriva, tesori introvabili, bizzarrie della storia e della natura, e anche storie inventate di sana pianta.
In tanti anni di viaggi sono passato dall’Isola di Pasqua, dalle Marchesi, dalle Galapagos, dalla Terra del Fuoco, dalla Tasmania, dalla Nuova Zelanda e da altre isole ancora, dove ho raccolto frammenti di storie dimenticate che ho conservato con cura nella speranza che il tempo mi avrebbe aiutato a rintracciare le parti mancanti e farli diventare storie dall’inizio alla fine. Altre tracce le ho incontrate nelle note a a piè di pagina di vecchi libri, frugando nel diario di un viaggiatore d’altri tempi; altre ancora navigando nel mare magnum di Internet. Ho conservato tutto con la cura di un collezionista di storie, aggiungendo via via nuovi pezzetti, particolari rimasti nell’ombra, finali che sembravano svaniti nel nulla. Lentamente la mia raccolta di isole che raccontano storie è cresciuta fino a trasformarsi in un arcipelago. Ora sono diventate un libro: Altri Naufragi, (De Agostini, 293 pagine, 20 euro), in cui tra parole e immagini (rintracciate con tanta fatica), si muovono amori d’altri tempi, personaggi fuori rotta, sognatori dimenticati e altri naufragi: trentaquattro storie recuperate in tutti i mari per il gusto di sapere com’erano andate a finire. Eccone qualcuna.
Capitò nel 1914 a tredici soldati messicani con relative famiglie (ventisei in tutto) inviati a Clipperton, Oceano Pacifico: un sottile anello di sabbia di dodici chilometri che racchiude una laguna con acqua dolce in superficie e salata in profondità. Dovevano presidiare l’isola che gli uccelli migratori coprono di guano, ottimo fertilizzante. Una ricchezza che il Messico non voleva perdere. Partita l’ultima nave, i militari aspettarono ordini che non arrivarono mai perché in patria era scoppiata la rivoluzione di Zapata e Pancio Villa e tutti s’erano dimenticati di loro. Tre anni dopo furono ritrovati 4 donne e 7 bambini. Che chiesero di essere dimenticati per sempre.
Seicento barattoli di terracotta ridotti in frantumi. Quando li ritrovarono sotto terra sulle isole di San Salvador e San Cristòbal alle Galapagos, gli archeologi rimasero sconcertati: chi li aveva sepolti e cosa avevano contenuto? Poi qualcuno si ricordò del diario di William Dampier, un corsaro inglese di buona penna, che raccontava come nel 1680, nel corso di una sfortunata scorribanda nel Pacifico insieme a certi suoi “colleghi”, anziché galeoni carichi di dobloni avevano catturato una nave che trasportava seicento barattoli di marmellata di mele cotogne. Meglio che niente, pensarono, poi andarono a nascondere il dolce bottino alle Galapagos; dove però non tornarono più a recuperarlo.
Infilzò un nobile per una questione di donne, scappò dall’Italia, fece il pirata, naufragò in Madagascar dove incontrò una regina cattivissima che lo nominò primo ministro e poi lo sposò, incoronandolo re. Si chiamava Francesco Carlo Bonetti (o Bonnet) e fu assassinato a Calcutta nel 1828. Diverse regioni italiane e Stati esteri sostengono di avergli dato i natali e molti presunti eredi rivendicano un tesoro da 75 milioni di sterline che sarebbe custodito dalla Banca d’Inghilterra. Che smentisce. I borbonici cercarono di rintracciarlo, la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia scrisse che non esisteva affatto, ma tanti ci pensano ancora. Tutto è possibile, anche che il naufrago Bonetti non sia mai esistito.
Per almeno quattro millenni gli uomini hanno usato le conchiglie cipree (o cauri), come moneta corrente. Il reef in cui crescono le più belle è quello delle Maldive (Oceano Indiano) e da qui partivano per Asia, Europa e Africa dove tutti le apprezzavano, anche per quell’aspetto impudico, promessa di fecondità e piaceri. Ma gli imperatori cinesi del II millennio a.C. decisero di svincolarsi da quella fonte di approvvigionamento che fluttuava più delle onde del mare e decisero di imitarle in pietra, osso e bronzo. Così inventarono la più antica moneta metallica che si conosca. Ma niente fermò il corso di quelle naturali, vero motore del commercio internazionale e, fino al 1921, valuta ufficiale delle Maldive.
Tra cespugli fioriti, nel cimitero di Autona, a Hiva Oa (Isola Marchesi) accanto alla tomba di Paul Gauguin c’è quella di Jacques Brel, indimenticato chansonnier franco-belga, che quando il male lo assalì fuggì quaggiù con la sua amata Madly, disperato e felice. A Parigi lasciò moglie e figlie. Quando Jacques morì, Madly mise sulla pietra una placca di bronzo con loro due guancia a guancia. Questo non piacque a una delle figlie di lui che venne in Polinesia per prenderla a martellate e gettarla via. Al suo posto ne mise una con i nomi dei familiari. Madly lo seppe, tornò a Hiva Oa, la staccò e la spedì al mittente. Finirono in tribunale. Ora c’è la placca di Madly.
Quando gli esploratori europei del Settecento arrivarono in Nuova Zelanda, si accorsero che i Maori conservavano le teste degli antenati più illustri, con i volti completamente tatuati, ma non capirono che il disegno aveva un significato. Questo, infatti, identifica il guerriero e la sua tribù. I navigatori, incuriositi, ne comprarono una da mettere in museo, poi un’altra, poi tutte quelle disponibili, sempre in cambio di moschetti e altre merci di valore. Rimasti senza nobili teste da smerciare, i Maori si ingegnarono: catturarono schiavi nei villaggi vicini, li tatuarono a casaccio, li decapitarono e vendettero le teste-bufala. Infatti s’è scoperto che molte di quelle conservate nei musei hanno sì tatuaggi, ma senza significato.
Nessuno sa dire quanti siano, forse cinquanta, forse duecentocinquanta. Si chiamano Sentinelesi e vivono su North Sentinel Island, Oceano Indiano. Un’isoletta delle Andamane dove nessuno può mettere piede. Lo vieta una legge indiana fatta apposta per difendere un pezzetto di preistoria sopravvissuta ai millenni. Nel 1975 un fotografo provò a sbarcare, ma fu respinto da un indigeno che entrò in acqua con l’arco teso. Fece in tempo a fare alcune foto, che fecero il giro del mondo. Nel 2004 un elicottero militare indiano cercò di atterrare sull’isola per vedere che cosa aveva fatto lo tsunami: fu accolto da un indigeno pronto a scoccare la sua freccia. Contro gli alieni del terzo millennio.
Sbarcò sull’ Isola di Tanna, Oceano Pacifico, negli Anni Trenta e aveva una divisa militare con una croce rossa sul braccio. Regalò cioccolato, sigarette, carne in scatola, liquori. Gli isolani chiesero chi era: “John, from America”, rispose lui. Loro capirono più o meno Jon Frum e pensarono fosse venuto dal cielo. Tempo dopo arrivarono navi e aerei carichi di meraviglie, ma gli indigeni ebbero solo briciole. Allora i tannesi pregarono il profeta Jon Frum di dirottare i doni nelle radure della foresta dove loro costruirono aerei-civetta fatti di frasche. Niente. Si infilarono in testa cuffie di noci di cocco e parlarono agli antenati, che non risposero. Da allora tutti aspettano Jon Frum e gli antropologi parlano di Culto del Cargo.
Si chiamava Pasqualino Rispoli ed era di Torre del Greco. In Patagonia se ne parla come l’ultimo pirata del Canale di Beagle. Arrivò nel 1897, aveva quattordici anni e subito si mise a far traffici di contrabbando tra Argentina e Cile navigando con la sua barca nel Canale. Con gli anni fece affari e mise su famiglia, poi gli capitò l’occasione di fare l’eroe (per 1000 dollari) aiutando un anarchico russo a scappare dalla tremenda prigione di Ushuaia. Lo traghettò fra canali e isole fino allo Stretto di Magellano dove il povero anarchico fu ripreso e tornò in galera per altri dodici anni. Pasqualino se la cavò con pochi giorni di guardina. Morì nel 1957, come un tranquillo borghese.
Il veliero Italia, a causa di un incendio a bordo, naufragò sulla scogliera di Tristan da Cunha (Oceano Atlantico) nel 1892. Salvi i marinai italiani. Pochi mesi dopo una nave inglese li riportò a casa. Tutti meno due di Camogli: Gaetano Lavarello e Andrea Repetto che decisero di rimanere. Oggi i loro cognomi sono diffusi tra i 285 abitanti dell’isola. Un altro marinaio, Agostino Lavarello, anche lui camoglino, fu a lungo incerto, poi decise di partire. Quarant’anni dopo scrisse le sue memorie rivelando di non aver mai dimenticato una ragazza conosciuta a Tristan, la bionda Mary, che pochi minuti prima dell’imbarco gli regalò piangendo un paio di calze di lana confezionate apposta per dirgli il suo amore. Oggi sono al museo di Camogli.
Le monete più ingombranti le hanno inventate sull’ Isola di Yap, in Micronesia, Oceano Pacifico. Sono dischi di pietra con un buco in mezzo e un diametro che può superare i tre metri. Gli isolani le utilizzano per acquisti importanti, per le piccole spese usano dollari Usa. La pietra adatta andavano a prenderla con le canoe su un’isola a 400 chilometri di distanza. Staccavano la roccia, la scolpivano e tornavano indietro. Impresa impegnativa e qualcuno ci lasciava la pelle. Perciò il valore di queste monete è dato dalla dimensione, ma anche dai sacrifici che richiesero. Sono blasoni di famiglia esposti davanti alle abitazioni e vengono cedute solo in casi di assoluto bisogno. Chi ne diventa proprietario evita di portarle a casa sua. Per rispetto dell’altro.
Testo di Viviano Domenici, pubblicato sul numero 62 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 11 Marzo 2018 da admin | in | tag: Altri Naufragi, Arte Navale, isola della Gorgona, scogliera di Calafuria, velieri naufragati, Viviano Domenici | commenti: 3
Just Peruzzi, "Il ristorante panoramico più bello d’Italia" - Corriere della SeraVi aspettiamo per accogliervi in quello che il Corriere della Sera ha definito come "Il ristorante panoramico più bello d’Italia"
Pubblicato da Just Peruzzi su Martedì 30 aprile 2024
Grazie mareonline per avermi fatto scoprire il libro di Viviano Domenici. Bellissimo.
Ho il fantastico ricordo di un libro che leggevo da ragazzino e che raccontava storie di pirati e di corsari scritte se non sbaglio, da un signore che si chiamava Gianni Ardizzo. Non ricordo l’editore, il periodo era più o meno a metà degli anni 70. C’era il racconto, fantastico, di sir Francis Drake e quello ancora più incredibile della presa di Maracaibo da parte del pirata Henry Morgan… Lo stesso autore aveva realizzato anche un’altrettanto bella raccolta di racconti sui fantasmi…. Qualcuno mi saprebbe aiutare a ritrovare una copia di quei libri che sono stati indimenticabili compagni della mia infanzia? Grazie.
15 Storie di Pirati le può trovare qui http://www.ebay.it/sch/sis.html?_nkw=15%20GRANDI%20DESTINI%20MINERVA%20ITALICA%201971&_itemId=330611799514
buona rilettura…..