Il Falco ha volato alto. Su tutto il Mediterraneo, al di là degli oceani. Non poteva essere altrimenti. Nonostante il tradizionale riserbo di Perini, che ama fare cose grandi con piccolo rumore, il varo del Maltese Falcon, l’evento nautico del 2006, ha stupito il mondo. Il cantiere viareggino è famoso per i suoi grandi velieri supertecnologici, ma il Maltese Falcon, il megayacht di cui stiamo parlando, ha superato ogni immaginazione. È apparso improvvisamente nel panorama quasi immobile della vela internazionale e l’ha sconvolto. Con le sue vele quadre, che nessuno vedeva più gonfiarsi sui mari dall’epoca eroica dei clipper; con le sue sovrastrutture ultramoderne, culminanti nei tre alberi in carbonio, impressionanti nella loro scheletrica nudità quando le vele si richiudono e vengono inghiottite nel loro fusto.
Passato, presente e futuro. Il deus ex machina dell’intero progetto è stato l’americano Tom Perkins, magnate della Hewlett Packard, imprenditore “zilionario” come si è argutamente autodefinito, inventandosi una parola in mancanza di definizioni corrispondenti alla sua ricchezza, sul tipo del “fantastilionario” attribuito a Paperon de’ Paperoni. Perkins è un grande appassionato di vela e uno dei clienti più affezionati di Perini, di cui evidentemente apprezza la filosofia innovativa. Venuto a conoscenza che nel cantiere di Yildiz, in Turchia, giaceva uno scafo di 88 metri inutilizzato, gli venne spontaneo chiedere:“Perché non ci facciamo qualcosa?”.
Lo scafo era stato costruito negli anni ’90 per un progetto poi abortito e in attesa di qualche idea. E le idee a Perkins di certo non mancavano. Dicendo “Perché non ci facciamo qualcosa?” intendeva qualcosa di importante. “Io”, confidò a Perini, “vorrei concludere la mia carriera di imprenditore e di velista con qualcosa di eccezionale, qualcosa di memorabile. Se vi interessa sono disponibile a collaborare e a contribuire a un progetto degno della vostra azienda e delle mie ambizioni”. Fabio Perini, che di fronte alle sfide tecnologiche non si tira mai indietro, non ci pensò un attimo: “Certo che ci interessa!”. E si mise subito alla ricerca di un progetto che potesse soddisfare le richieste del suo esigente cliente. Chiese così lumi allo studio di Gerard Dijkstra & Partners, progettisti olandesi particolarmente esperti di navi classiche a vela, che avevano già lavorato per lui. Si trattava per prima cosa di capire che tipo di armo velico si adattasse meglio allo scafo esistente e quale progetto proporre a Perkins.
Gli armi erano bene o male i soliti, ma tra i progetti Dijkstra infilò anche il DynaRig che aveva rintracciato nelle profonde pieghe della memoria. Non appena Perkins ne venne a conoscenza, come folgorato dall’idea esclamò: “Questo è il mio progetto! Non perdiamo tempo con il resto. Occupiamoci solo di questo”. Bisogna dire che Perini e Dijkstra rimasero abbastanza sorpresi. Si guardarono negli occhi e pensarono: “Bene, e adesso come andiamo avanti?”. Perché questo DynaRig, pur non essendo un progetto nuovo sulla carta, era però ancora tutto da verificare sul piano della realizzazione pratica. Era insomma da reinventare, una di quelle imprese che hanno sempre affascinato Perini.
Il progetto del DynaRig risaliva addirittura alla fine degli Anni ’60 ed era stato sviluppato in Germania dall’ingegnere idraulico Wilhelm Prolls, che intendeva cercare un sistema propulsivo alternativo per le navi commerciali in previsione di una crisi energetica che poi in effetti arrivò e che colpì anche l’Italia. Prolls fece delle prove in vasca, nella galleria del vento con vari modellini e gettò le basi della geometria di questo sistema. Il DynaRig consiste in un albero rotante che porta i pennoni sui quali si aprono orizzontalmente con un motore elettrico le vele quadre, ma all’epoca non c’erano né i materiali, né la tecnologia per realizzare il progetto. Il sistema, nella pratica, può funzionare solo come proposto oggi da Perini sul Maltese Falcon, non certo con i quattro o cinque alberi di una nave da carico, come aveva ipotizzato Prolls.
Il progetto, come abbiamo detto, entusiasmò Perkins, il quale ancor più di una barca, desiderava proprio avere un progetto al quale lavorare, sul quale impegnare la testa, al quale dare il suo cospicuo contributo di conoscenze tecniche e scientifiche. Perkins è sempre stato un tecnico autorevole e alla Perini ricordano che in più di un’occasione il suo contributo è stato determinante. Il dado, insomma, era tratto. Ora si trattava di verificare come il progetto avrebbe potuto funzionare su quello scafo già esistente, come manovrare le vele, come navigare, eccetera, eccetera. I lavori iniziarono nell’estate 2002, anche se la fase preparatoria era già in atto da quasi un anno, e terminarono con la consegna all’armatore della nave il 30 giugno 2006. Ci sono voluti dunque, per portare a termine l’impresa, circa cinque anni. Sono stati cinque anni di lavori intensi e di intensa partecipazione da parte di tutto lo staff tecnico e dello stesso armatore. “Se andiamo a rivedere le e-mail che ci scambiavamo in quel periodo”, ricorda l’ingegner Franco Torre, direttore tecnico della Perini Navi, “molte iniziavano con: «Questa notte ho pensato …».”. I problemi in effetti non sono mancati, anche perché molte situazioni erano completamente nuove, non c’erano riferimenti con il passato, non si sapeva come doveva essere realizzato il sistema di rotazione, come doveva essere imbarcato, di che cosa abbisognava la barca per permettere a questi sistemi di essere operativi. Tutte cose che si sono dovute inventare, un passo dopo l’altro.
Il punto cruciale di tutto il progetto ruotava – è il caso di dirlo – intorno agli alberi e al loro sistema di rotazione. Quando si arrivò a verificarne il perfetto funzionamento ci fu un incontenibile entusiasmo; la soluzione fu presa con vero sollievo, perché c’era la coscienza che era stato compiuto un passo determinante verso il successo di tutto il progetto. L’idea vincente è stata la costruzione di un prototipo sul quale fare esperimenti; fu così realizzato il modello di una sezione d’albero in scala 1/1 con due pennoni per le vele, anche queste a grandezza naturale, per simulare il più grande pannello dell’albero di maestra. Ci sono voluti quasi due anni di prove con le vele, apri e chiudi, apri e chiudi, cercando anche di fare operazioni sbagliate per verificare la possibilità di danni. “Abbiamo dovuto inventare tanti piccoli meccanismi”, ha raccontato Tom Perkins, “per far funzionare quella sezione di albero e quando alla fine siamo riusciti a fargli fare quello che volevamo, allora abbiamo capito che avrebbe funzionato l’intero sistema”. L’importanza del prototipo è stata anche quella di cercare una riduzione ai minimi termini della complessità del sistema. Perini lo dice sempre: “Le cose devono essere semplici, più semplici sono meno problemi creano”. E poi: “Tutto ciò che non c’è non si rompe”.
C’è stata così la ricerca dell’essenziale, della semplicità. In definitiva la rotazione viene effettuata da un meccanismo idraulico con vari riduttori. “La parte complessa”, ha spiegato l’ingegner Torre, “è semmai la gestione della rotazione. Per quanto riguarda la vela ci sono motori elettrici per l’avvolgitore per i tesabase, che sono ovviamente quattro per vela, essendo la vela quadra, e i motori lavorano insieme regolati e controllati da un software”. Tutti i comandi e le varie funzioni sono poi concentrate nel grande pannello di controllo in plancia di comando. È il grande giocattolo di Tom Perkins, ma lo sarebbe di ognuno di noi. Sullo schermo interattivo, ampio, chiaro e semplice, i comandi sono a tocco e basta appoggiare un dito sul riquadro voluto per vedere spiegare o riavvolgersi la vela corrispondente. Stupefacente e divertente allo stesso tempo.
In soli sei minuti è possibile riavvolgere tutte e quindici le vele (cinque per albero). Il comandante Bottoni, ex comandante dell’Amerigo Vespucci, quando ha assistito a questa operazione, ospite a bordo del Maltese Falcon, è rimasto sbalordito: ai suoi ragazzi, sul Vespucci ci volevano più di trenta minuti e duecentottanta braccia per spiegare, serrare le vele e bracciare i pennoni, non un solo dito. “Easy sailing” – ammicca Tom Perkins.
Ma quanto ingegno, quanti investimenti, quanta tecnologia dietro quella semplicità. Se il sistema di rotazione degli alberi era il problema capitale del progetto, altri problemi più oscuri, ma non per questo più facili da risolvere, hanno reso dura la vita allo staff tecnico. Uno di questi era la gestione dei cavi elettrici in uscita dall’albero. Quando l’albero ruota ci sono in funzione motori elettrici, macchinari, sensori; il problema era come portarli fuori in maniera corretta. “Qui”, ha spiegato Franco Torre, “ci siamo inventati una catena portacavi, come quella a bordo delle macchine utensili robotizzate che si muovono e che si devono portare dietro tutto il loro fascio di cavi. Il principio è lo stesso del robot a cinque assi o del carroponte. A cose fatte la soluzione appare semplice, quasi banale, ma il difficile è stato arrivare a pensarci”. Di cose nuove da inventarsi su questo yacht ce ne sono state un’infinità; è stato, nell’insieme, un fantastico puzzle tecnologico.
Una domanda viene spontanea a noi comuni utenti di comuni computer, così spesso soggetti a guasti, a impallamenti, a blackout: è ipotizzabile un guasto del sistema di automazione del Maltese? “Certo che è ipotizzabile”, ha risposto l’ingegner Torre, “Anzi, il signor Perkins che, come è noto, è un “Silicon valley man”, voleva che tutto fosse manuale, tutto senza computer. Lui i computer li ha inventati, sa bene come funzionano e sa anche che dei computer non ci si può fidare. Ma l’ha detto tra il serio e il faceto e possiamo prendere questa dichiarazione come una battuta. Sta di fatto che la possibilità di un guasto esiste ed è per questo che abbiamo previsto vari livelli di riduzione del controllo automatico, fino ai minimi termini. Mi spiego: per aprire e chiudere una vela ci sono cinque motori con cinque driver elettronici e un computer che gestisce il funzionamento del sistema integrato. Se si dovesse rompere il computer è possibile intervenire sui cinque motori in maniera indipendente, come motori elettrici normali.
Ovviamente si perde, per esempio, il controllo sulle scotte e bisogna andare a controllare ogni singolo caso per intervenire manualmente. Il motore da intelligente in questo caso diventa “scemo”. Se invece si dovesse perdere la tensione sull’albero, l’avvolgitore ha un dispositivo manuale e si può intervenire con una macchina ad aria compressa per avvolgere la vela; in questo caso bisogna che un uomo dell’equipaggio vada sull’albero a svolgere l’operazione. Ma non è un dramma: nell’equipaggio ci sono pur sempre dei marinai. Infine i tesabase. Beh, come ultima ratio, per chiudere la vela si taglieranno le scotte”. Tutto previsto, tutto perfetto, tutto in stile periniano. Forse non si potrà dire che l’unico in grado di far funzionare il DynaRig era Perini, ma si può sicuramente affermare che nessuno era in grado di far funzionare il DynaRig meglio di Perini. E Perkins lo sapeva bene. La presenza dell’armatore americano in Turchia è stata quasi assidua.
Perkins ha partecipato anche emotivamente all’evolversi del progetto, con i suoi alti e i suoi bassi, con i momenti di crisi e con quelli di gioia. Negli ultimi sei mesi, ha portato in Turchia il suo yacht Atlantide e non si è allontanato dal cantiere. Ha partecipato, ha discusso, ha fatto meeting, si è comportato da project manager. E in parte lo è stato, perché è stato lui il primo a credere in questo progetto, immaginandosi anche quello che ancora non esisteva. Arriviamo così al fatidico giorno del varo, il giorno di Pasqua del 2006. È un giorno di festa e di emozione. La barca esce dal cantiere e già il vederla nella sua interezza deve dare un tuffo al cuore. Viene trascinata con i paranchi, nel modo cioè più tradizionale, nel bacino galleggiante poi trainato in una zona della baia di Tuzla più adatta per le operazioni di varo. Nel frattempo gli alberi erano stati portati fuori e allestiti sul piazzale con le loro vele. Con una centrale elettrica portatile era stato controllato per l’ennesima volta che si aprissero e si chiudessero regolarmente. La prova generale degli alberi con l’armatore a bordo che ha dato il primo impulso si è svolta alla perfezione. Perkins ha toccato con l’indice della mano sinistra sul pannello di controllo il riquadro della vela più alta dell’albero di trinchetto e la vela si è aperta e così via, una dopo l’altra. Perkins ha fatto cenno di sì con il capo. “Tutto ok!”. E il Falco ha iniziato a volare verso il suo rifugio maltese. A volare e a stupire il mondo.
Testo di Riccardo Magrini pubblicato sul numero 40 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini di G. Sargentini, E. Bianchi, C. Borlenghi sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. È fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali
pubblicato il 31 Luglio 2021 da admin | in Cantieri barche a vela oltre i 15 metri, Cantieri imbarcazioni oltre 30 metri, Storie | tag: cantieri Perini, comandante Bottoni, DynaRig, evento nautico del 2006, Fabio Perini, Gerard Dijkstra & Partners, ingegner Franco Torre, Maltese Falcon, Tom Perkins | commenti: 0