Chi si appresta a partire dal piccolo porto di Penzance, in Cornovaglia, per le Scilly Islands, non può non essere preoccupato. Le condizioni del mare sono fra le più difficili dell’intero pianeta al punto che, sotto il cartello dell’orario delle partenze era possibile leggere la scritta weather permitting. Il viaggio dura quasi tre ore, ma i rischi di affrontare onde simili alle montagne russe sono altissimi al punto che l’ingresso nel porto diventa un vero e proprio evento. Le Scilly sono 140 isole e rappresentano il punto più estremo a ovest dell’Inghilterra. Di queste isole, solo cinque sono abitate. È da queste che sono partiti, nei secoli precedenti, i soccorsi per le navi e i velieri che hanno avuto la sventura di passare da quelle parti con il mare particolarmente arrabbiato. Come la HMS Association, la HMS Eagle, HMS Romney e la HMS Firebrand, il cui naufragio contemporaneo costò la perdita di quasi 2000 marinai costringendo il Royal Board of Longitude a trovare un metodo sicuro per stabilire la posizione in mare. Numerosi gli aneddoti e le leggende legate a questo incredibile naufragio. Sembra, infatti, che un marinaio nativo delle isole si fosse accorto, durante la tempesta e nonostante la scarsa visibilità, del fuori rotta della nave e avesse avvisato del pericolo l’ammiraglio Sir Clowdesey Shovell. Ma fu impiccato per ammutinamento. L’ammiraglio, invece, riuscì a salvarsi ma, arrivato sulla spiaggia di Porthellick Cove, fu ucciso da una donna del posto. Di leggende, sui naufragi alle Scilly Islands, ce ne sono tante, ma dal 1869 al 1997, questi avvenimenti non si sono più tramandati solo oralmente. Ogni volta che si verificava un naufragio, infatti, un fotografo della famiglia Gibson arrivava immediatamente sul luogo della tragedia. E fotografava.
Questa tradizione è durata quattro generazioni per circa 200 disastri nautici. John Gibson, trasferitosi a St Mary nel 1860, scattò la prima fotografia nove anni dopo il suo arrivo e fu seguito dai suoi due figli Alexander e Herbert. Poi fu la volta di James e, infine, di Frank. In tutto si contano 1360 scatti, comprati recentemente in blocco dal National Maritime Museum di Greenwich. Guardando queste fotografie non si può non pensare alla difficoltà di muoversi con pesanti attrezzature, in condizioni climatiche avverse e con maree pericolose. E non si può non rimanere sorpresi. Ci sono immagini di ogni tipo, capaci di raccontare sia i momenti drammatici, sia le storie a lieto fine. Fra i primi si può annoverare l’affondamento della Schiller, una nave tedesca a vapore di 3500 tonnellate, naufragata il primo maggio 1875 trascinando con sé 335 persone. Gli abitanti delle isole si prodigarono così tanto nel recupero delle salme e nell’assistenza ai sopravvissuti che furono risparmiati dall’esercito tedesco durante le due Guerre mondiali. Fu invece un successo l’assistenza all’equipaggio della chiatta inglese Glenbervie, finita sugli scogli a Coverack: tutti gli uomini, infatti, furono tratti in salvo, insieme a 600 casse di whisky e 400 di brandy. Probabilmente usate per brindare allo scampato pericolo.
Adattamento del testo di Tealdo Tealdi, pubblicato sul numero 86 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini di Simone Bandini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 4 Ottobre 2020 da admin | in Personaggi, Storie | tag: chiatta Glenbervie, Cornovaglia, Coverack, famiglia Gibson, nave Shiller, Sir Clowdesey Shovell, St Mary | commenti: 0