La prima nave ospedale italiana fu impiegata dalla Regia Marina nella infelice battaglia di Lissa del 1866. Ne fu un accanito propugnatore Luigi Verde, che divenne il primo capo del Servizio Sanitario della neo costituita Marina Militare Italiana su proposta dell’allora ministro della Marina Camillo Benso Conte di Cavour. Verde, medico e chirurgo, era stato imbarcato sulla pirofregata Governolo che aveva partecipato, con una divisione navale della Marina Sarda, alla guerra di Crimea a fianco degli alleati della Turchia contro la Russia, nel 1855. Non tanto per le ferite della guerra, quanto per le conseguenze di un’epidemia di colera che colpì anche i nostri militari, il Governolo si trovò a imbarcare migliaia di soldati per trasferirli da Balaklava agli ospedali del Bosforo, in condizioni tanto rovinose da far rimpiangere il campo di battaglia. La situazione di assoluta precarietà igienica portò al decesso di un gran numero di infermi che in altre condizioni avrebbero potuto essere salvati. Il dottor Verde si rese conto dell’assoluta necessità di allestire unità navali predisposte a funzioni ospedaliere e ne fece richiesta agli allora responsabili della Marina Sarda. Il progetto fu recepito, ma realizzato soltanto dalla Marina Italiana alla vigilia della Terza guerra d’indipendenza, quando parve inevitabile uno scontro navale con l’Austria nel Mare Adriatico. La prima unità scelta per la trasformazione in nave ospedale fu la Washington, un piroscafo di 1400 tonnellate costruito in Francia con il nome Helvetie, acquistato dalla Marina Borbonica nel 1860 e passato, con l’unità d’Italia, alla Regia Marina. Fu la nave, tra l’altro, che il 2 novembre 1860 imbarcò a Napoli Garibaldi per riportarlo a Caprera. Sulla Washington fu allestita, dunque, una infermeria che aveva la capacità di ricoverare fino a cento persone.
Il 17 maggio 1866, al comando del luogotenente di vascello Zicavo, con Giovannitti come direttore sanitario, il piroscafo partì per Lissa con la squadra dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano, comandante in capo della flotta italiana in Adriatico. La battaglia fu tragica: la Regia Marina subì il pesante bilancio di 620 morti, 161 feriti e l’affondamento di due unità corazzate, tra le quali la nave ammiraglia Re d’Italia sulla quale, ironia della sorte, perse la vita Luigi Verde. La presenza della Washington fu provvidenziale per evitare più gravi perdite. Il nuovo corpo sanitario dimostrò un’invidiabile organizzazione e grande professionalità, non sottraendosi ad atti di eroismo. Iniziava una nuova era. Dopo Lissa altre navi ospedale furono presenti in Eritrea alla fine dell’Ottocento e in Libia per l’impegnativa evacuazione dei feriti del conflitto italo-turco. Il primo intervento di navi ospedale in un contesto diverso da quello di un conflitto bellico avvenne a Messina, per il catastrofico terremoto del 1908. Durante il primo conflitto mondiale le operazioni si concentrarono sul fronte orientale e il trasporto dei feriti fu svolto anche da un servizio di chiatte sui canali navigabili della laguna veneta, alle spalle del Carso, che arrivavano alla stazione ferroviaria di Mestre o nel porto di Venezia dove stazionavano navi ospedale come la Albaro, la Memphi, la Po e la Principessa Giovanna.
Ma il grande, immane sforzo organizzativo fu richiesto dall’ultimo conflitto mondiale. Il Mediterraneo si trasformò in un inferno di fuoco e la Marina Italiana, in collaborazione con la Sanità Militare Marittima e la Croce Rossa, dovette in fretta e furia allestire un’autentica Flotta bianca. Furono coinvolti i cantieri navali e le officine di allestimento a Genova, Trieste e Napoli. Alcune navi furono acquistate anche all’estero e altre requisite e inviate alla trasformazione. Tra queste, famosi transatlantici che avevano fatto la storia del trasporto passeggeri come la Vulcania, la Saturnia, la Caio Duilio e la Giulio Cesare. Si riuscì a mettere insieme una flotta di ventidue navi ospedale affiancate da altre sette piccole unità impiegate per il soccorso degli equipaggi degli aerei e lungo le coste. «Ogni unità”, testimonia il comandante Dobrillo Dupuis, “era attrezzata di sale operatorie, ampi reparti destinati a feriti ed ammalati, gabinetti radiologici e batteriologici, sale d’isolamento, e celle per dementi: un vero ospedale viaggiante dotato di un buon numero di medici specialisti, chirurghi, crocerossine e infermieri». Purtroppo la guerra, come quasi sempre avviene, ebbe aspetti di odioso cinismo. Le navi bianche, viste sempre con sospetto, non furono per niente risparmiate dalla furia bellica. Furono bombardate, silurate, affondate senza alcun riguardo ai tanto sbandierati doveri umanitari. Due soli navi della Flotta bianca uscirono indenni dal conflitto: Si tratta delle due motonavi gemelle Saturnia e Vulcania, che erano state il vanto della Compagnia di Navigazione Cosulich di Trieste. La prima nave ospedale ad essere colpita fu l’Arno, incendiata nel porto di Napoli durante un bombardamento aereo. Poi, il 22 gennaio 1941, toccò alla Orlando, ripetutamente attaccata da aerei nemici con bombe e spezzoni sulla costa libica mentre era alla fonda a Ras Bilal, benché fosse interamente illuminata e pur avendo trasmesso i segnali regolamentari di riconoscimento. Ma i tanti atti di abnegazione ed eroismo rimangono scritti nella pagine della storia sporca della guerra.
Testo di Riccardo Magrini pubblicato sul numero 46 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 14 Agosto 2018 da admin | in Storie | tag: Flotta bianca, Luigi Verde, nave Washington, navi bianche, Saturnia e Vulcania | commenti: 0