Per il suo decimo romanzo, Libeccio, Folco Quilici ha preso lo spunto da una storia che gli narrò un parente che viveva nella Lucchesia. Alla fine dell’Ottocento, un anarchico e due coetanei diciottenni, “carichi… di rabbia e di sogni”, scappano negli Stati Uniti: sono insofferenti a un destino segnato dalle costrizioni sociali e dall’arruolamento per le prime guerre coloniali. I tre assumono i nomi simbolici dei venti: Libeccio (Beccio), Maestrale (Strale) e Grecale (Greco). Nell’epoca del Gold Rush, progettano di estrarre oro e fare fortuna nelle terre del Grande Nord, ma il vecchio piroscafo, sul quale i giovani si imbarcano, non arriverà a destinazione e si fermerà in un porto dell’America del Sud. Da qui si snoda il percorso di iniziazione alla vita che farà crescere i protagonisti. Non soltanto sogni, ma duro lavoro per poterli conseguire. Non soltanto storia di avventure, ma soprattutto di libertà. Attraverso sacrifici, fatiche e rinunce non facili, la partenza per mare è ancora una svolta.
Il mare che significa regole, altre e diverse, a cui adeguarsi per sopravvivere. Memorabili le pagine sulle tartarughe catturate nelle isole Galápagos e caricate a bordo di un vapore cileno sul quale si imbarcano di nuovo i giovani diretti in Alaska. E poi la scomparsa del favoleggiato “tesoro” di Beccio, tornato in Toscana dopo cinquant’anni e accolto dalla sorella. Il segreto alla fine viene svelato e il ritratto di una famiglia italiana, vivacemente e piacevolmente descritta, è compiuto. La scelta della storia, dipanata e “messa in scena” da un grande viaggiatore e regista come Quilici, ha una precisa chiave di lettura: nel “paesaggio senza barriere”, raggiunto dai suoi personaggi, “nessun padrone… li obbligava o li puniva. Solo loro tre decidevano della propria vita”. Folco Quilici, Libeccio, Mondadori, pagine 183, euro 18.
pubblicato il 29 Agosto 2012 da admin | in Storie | tag: Folco Quilici, Gold Rush, Libeccio | commenti: 0