HOME PAGE
  • Home Page
  • Chi Siamo
  • I più letti
  • I commenti
  • NOI C'ERAVAMO
  • Aree Tematiche
    • Accessori & Partner
    • Approdi d'autore
    • Antiquariato & Aste
    • Associazioni
    • Cantieri & imbarcazioni
    • Case damare, Collezionismo & Modellismo
    • Compro&vendo
    • Crociere & Charter
    • Cucina di mare
    • Diario di Bordo
    • Fotografia
    • Mare by night
    • Mondo sommerso
    • Musei
    • News
    • Pesca
    • Porti & Marina
    • Regate ed eventi
    • Shopping
    • Storia & lettura
    • Traghetti
    • Viaggi & Idee per le vacanze

IL MARE COME NON LO AVETE MAI VISTO

Barche da provare

Anvera 55S, la barca
che diventa un'isola

Cantieri & refitting

Naval Tecno Sud, gli yacht
navigano sulla terra

Materiali & servizi

Treccificio Borri,
l'azienda legata al mare

Imprese di mare

L'azienda che tiene alta la
bandiera italiana sui mari

Mare di tecnologia

Stive porta barche
l'invenzione vincente

Meteo

Il sito per navigare
lontano dai pericoli

Sicurezza in mare

Primo soccorso, meglio
impararlo a bordo

Mare sostenibile

Ricarica elettrica nei porti,
c’è una montagna di soluzioni

Traghetti

Grimaldi raddoppia
le corse per la Sardegna

Magellano, il navigatore che ha
preso il largo attraverso uno stretto

Quel pomeriggio di settembre del 1509 il capitano portoghese Lopez de Sequeira stava giocando a scacchi nella cabina del suo galeone ancorato dinanzi alla città di Malacca. Era una giornata calda e afosa e Sequeira aveva volentieri concesso a tutto l’equipaggio della sua nave e delle altre tre che formavano la piccola flotta, di scendere a terra per scoprire i piaceri dell’Oriente in attesa di riempire le stive delle navi di pepe, noce moscata, chiodi di garofano e di ogni altra prelibata droga, come aveva promesso il sultano. Improvvisamente uno dei pochi uomini rimasti a bordo si avvicina all’orecchio del capitano per avvertirlo che alle sue spalle due malesi avevano già sguainato il loro kris pronti ad ucciderlo. È Ferdinando Magellano, un sobrasaliente, uno qualsiasi imbarcato in soprannumero. Con un balzo Sequeira sguaina la spada e con l’aiuto del suo salvatore, si sbarazza dei due intrusi. Ma la nave è ormai invasa da centinaia di locali, così come gli altri tre galeoni privi di ogni difesa con gli equipaggi a terra. È un tranello del furbo sultano. La straordinaria resistenza dei due e l’aiuto degli uomini di una quarta nave (che prudentemente non aveva concesso franchigia alcuna) mettono in fuga gli invasori. Ma a terra si consuma la tragedia degli uomini sbarcati: quasi tutti vengono trucidati e le scialuppe distrutte. Si salva solo Francisco Serrao, amico fraterno di Magellano, che non esita a lanciarsi in suo soccorso su una barca a remi, tendendogli una provvidenziale cima. L’amico lo ripagherà con gratitudine quando, trasferitosi a Ternate, nelle Molucche, lo terrà informato con un fitto scambio di lettere entusiastiche sulle delizie di quel paradiso terrestre, vera mecca dei chiodi di garofano, non trascurando di fornire precise indicazioni sulla sua collocazione geografica e sulle modalità per raggiungerla: “Ho trovato qui un mondo più ricco e più grande di quello di Vasco da Gama”, è l’allusivo messaggio che rivolge all’amico.

Un cambio di corte per raggiungere il regno dello spezie girando il mondo al contrario

Ferdinando si era imbarcato quattro anni prima al seguito di Francisco de Almeida che, al comando di una imponente flotta di ben 22 navi con 1500 soldati, 200 artiglieri e 400 marinai, si proponeva di consolidare definitivamente i domini portoghesi in India costituendo anche solidi presidi nei punti nodali attraverso i quali si ramificava la rete mondiale del commercio delle spezie. Malacca, con il suo stretto, era uno di questi. Magellano rimarrà in India otto anni e ritornerà a Lisbona senza un soldo ma con tre ricordi che, a vario titolo, condizioneranno la sua vita futura: una profonda ferita guadagnata in battaglia che lo renderà claudicante per sempre, uno schiavo di nome Enrique, comprato a Malacca, e un pensiero dominante, l’ossessione di abbandonare la strada tracciata da Vasco da Gama e di raggiungere il regno delle spezie, le isole Molucche, “per altra via”. Ferdinando era davvero convinto della sua idea e i dubbi che avevano turbato da Gama sulla brevità del viaggio di Colombo, per lui erano una certezza: doveva esserci per forza un passaggio attraverso il Nuovo Mondo che permettesse di raggiungere in modo più rapido e agevole l’India e il paradiso delle droghe. Forte di questa convinzione, Magellano cerca per ben quattro volte di farsi ricevere da re Manuel, per esporre il suo progetto chiedendo finanziamenti e la disponibilità di una flotta adeguata, ma riceve quattro dinieghi via, via sempre meno garbati fino a quando il re si rifiuta addirittura di lasciarsi baciare la mano come l’etichetta di corte imponeva: un’offesa mortale per il testardo Ferdinando. L’affronto subìto è troppo per il pur leale Magellano: è tempo di cambiare aria e Siviglia lo attende con grandi aspettative e con tutti gli onori. Le preziose informazioni contenute nell’epistolario dell’amico Serrao sui Paesi delle spezie e la sicurezza di Ferdinando convincono la Corte spagnola ad ammetterlo con inconsueta rapidità al confronto con il re di Spagna Carlo I, il quale vedeva con entusiasmo la possibilità di mettere le mani sul commercio delle spezie e di rimpinguare le ricchezze dello Stato da tempo sull’orlo della bancarotta. Il re traccia le linee essenziali del contratto che lega il navigatore portoghese all’impresa che, nel rispetto degli obbiettivi da raggiungere, prenderà il nome di Armata delle Molucche. Quanto agli otto milioni di maravedises necessari per sostenere l’impresa, ci avrebbero pensato i finanziatori che, volenti o nolenti, avrebbero aderito con generosa devozione all’invito del re. La spedizione sarebbe stata formata da 5 navi: la Trinidad nave ammiraglia, la San Antonio per il trasporto delle scorte, la Victoria, la Conceptiòn e la Santiago. La stazza oscillava dalle 120 tonnellate della San Antonio alle 75 della Santiago. Su un punto Carlo I si dimostra, almeno formalmente, intransigente: la rotta delle navi avrebbe dovuto sempre rispettare la famosa linea di demarcazione tracciata da spagnoli e portoghesi per dividersi il mondo ancora da scoprire e benedetta nel 1494 da papa Alessandro VI col nome di Trattato di Tordesillas. I preparativi della spedizione vanno avanti per un anno. Magellano si impegna non solo nella attenta e meticolosa fase di allestimento delle navi ma, soprattutto, nella faticosa definizione dell’equipaggio e dei ruoli di ciascuno fra cento intrighi e mille sospetti. A molti, infatti, sembrava scandaloso che la corona spagnola finanziasse un’impresa così importante dandone il comando supremo a un portoghese, mortificando per di più le ambizioni di pur validi capitani locali. L’attribuzione dei ruoli di comando viene effettuata sulla base di un dosaggio politico e di un’alchimia organizzativa, con la complessa creazione di compiti e responsabilità contrapposte che si riveleranno il punto più debole dell’intera spedizione e la causa principale di gravi sciagure.

Una traversata atlantica più meridionale per seminare le navi portoghesi

Alla fine, il 10 agosto 1519 la piccola flotta può alzare le vele e partire alla ricerca dell ‘Isola delle spezie; dopo estenuanti discussioni, l’equipaggio è composto da circa 260 uomini di varia nazionalità; all’ultimo minuto si è unito alla spedizione tale Antonio Pigafetta, chiamato anche Antonio Lombardo: è l’unico passeggero. Nelle stive, oltre a 32 carte nautiche, due planisferi, sei compassi, sette astrolabi e 18 clessidre, c’è cibo in abbondanza: vino, olio, farina, legumi, carne salata ed anche suini e bovini vivi. Si è pensato anche ai doni da offrire alle popolazioni di indigeni che l’Armata avrebbe potuto incontrare: 20mila campanellini per falcone, 500 libbre di perline colorate, mille specchietti e, in caso di ospiti di rango elevato, paludamenti di seta e pezze di lana. Fin dalla partenza Magellano capisce di essere fra due fuochi mortali: da un lato le tensioni del suo equipaggio agli ordini di invidiosi capitani spagnoli, sempre pronte a sfociare in ribellioni e ammutinamenti e, dall’altro, la flotta portoghese che re Manuel, furioso per il “tradimento” di un suo ammiraglio (al quale peraltro aveva sempre opposto dinieghi) ha messo alle sue calcagna con l’ordine di arrestarlo. Per questo Magellano non punta dritto verso il Brasile, ma, nella speranza di seminare le navi del Portogallo, segue una rotta a Sud, lungo la Guinea equatoriale. Questo percorso, inspiegabile per gli spagnoli di bordo, lo condurrà verso terribili tempeste, alimentando ancor di più nell’equipaggio il senso di sfiducia e di insofferenza nei confronti del Capitano Generale. Il passeggero Pigafetta è naturalmente esonerato da compiti marinareschi e Magellano lo nomina suo addetto particolare, incaricandolo di tenere un diario di tutto quello che succede a bordo e non solo.

L’Armata delle Molucche si rigenera al caldo del Brasile e scopre la saudade

Evidentemente la traversata atlantica non costituiva più un problema, dato che il racconto di Pigafetta non si intrattiene molto sull’argomento, fatta eccezione per un primo tentativo di ammutinamento ad opera dello spagnolo Cartagena, capitano della San Antonio: la ribellione fallisce, ma Cartagena, destituito, continuerà a covare sentimenti di vendetta. Il 13 dicembre 1519, l’Armata si inoltra nella baia del Fiume di gennaio (così come Vespucci aveva chiamato l’odierna Rio de Janeiro) e cala le ancore davanti al Pan di Zucchero di fronte a una piccola folla di giovani e bellissime donne locali, del tutto prive di indumenti e desiderose di socializzare con i nuovi arrivati. I marinai di Magellano, dopo oltre tre mesi di forzato digiuno, interpretano a modo loro lo spirito della “saudade” e cedono con entusiasmo alle tentazioni della carne prospettate dalle giovani e affascinanti fanciulle. L’orgia dura 15 giorni e 15 notti, il tempo necessario per rinnovare i rifornimenti e riparare le navi danneggiate dalle tempeste delle coste africane. Rinfrancati, non solo nello spirito, i nostri eroi sono ora pronti ad impegnarsi nella ricerca del famoso stretto che porterà rapidamente all’Isola delle spezie. Ogni piccolo promontorio, ogni baia, ogni rientranza viene esplorata nella speranza di scoprire il varco, disegnando un paziente orlo a giorno lungo le coste sudamericane tanto faticoso quanto deludente e fonte di malcontento per l’equipaggio che incomincia apertamente a reclamare il ritorno a casa o, quanto meno, al Fiume di Gennaio dove si era trovato tanto bene. Ma Magellano è ostinato e continua nella sua ricerca nonostante gli approvvigionamenti siano praticamente finiti e l’autunno australe si stia presentando con terribili burrasche e con un drammatico calo della temperatura: fa davvero freddo e i poveri marinai non sono attrezzati per ripararsi di giorno e soprattutto, di notte. Siamo ormai alla fine di marzo e Magellano capisce che non può proseguire. Decide allora di trovare una baia riparata per trascorrere i molti mesi che lo separano dalla primavera dell’emisfero sud: Puerto San Julian sembra avere le caratteristi- che adatte, non importa se esso si trova nell’emisfero di competenza portoghese. Qui l’Armata fa conoscenza con una popolazione di giganti, tanto grandi che i marinai arrivavano loro sì e no alla cintura. Uno dei giganti “aveva la faccia grande e dipinta intorno de rosso e intorno li occhi de giallo, con due cuori dipinti in mezzo” alle guance; i pochi capelli erano a loro volta tinti di bianco ed era coperto da pelli di “lupi marini”: nessuna meraviglia se, al vedersi riflesso in uno specchio messo a sua disposizione dal Capitano Generale, il povero patagone “grandemente se spaventò”.

Per passare dall’Atlantico al Pacifico bisogna attendere la Patagonia

La forzata, lunga sosta a Puerto San Julian avrebbe dovuto consentire di trascorrere un periodo di calma per riacquistare le forze e ritrovare serenità. Invece è l’occasione per un nuovo ammutinamento, il più drammatico. I rivoltosi si impossessano di ben 3 navi e per Magellano la situazione appare disperata. Ma l’uomo è molto abile e riesce a capovolgere le sorti della ribellione con stratagemmi e grande intelligenza tattica, facendo prima ubriacare gli uomini venuti ad arrestarlo, poi abbordando con una scialuppa di fidati altri due vascelli ed infine tagliando segretamente le cime a terra della principale nave ribelle: lui è lì, all’uscita della baia insieme alle altre navi ritornate fedeli, mentre l’ultimo ammutinato, il capitano Quesada, non si accorge che la sua nave, la Conceptiòn, sta scivolando trascinata dalla corrente proprio nelle braccia del Capitano Generale. La punizione è durissima, come d’altronde era previsto dalle regole e imposto dalla situazione: alcuni vengono squartati, altri muoiono sotto le torture, il capitano spagnolo Cartagena (responsabile del primo ammutinamento) e un prete vengono abbandonati sulla spiaggia. Ai 40 marinai rivoltosi – fra i quali tale Elcano che rincontreremo più tardi – vengono imposti i lavori forzati. Riacquistata autorità, Magellano si preoccupa ora di preparare le navi alla ricerca dello Stretto, cercando di completare i rifornimenti specie di acqua dolce, ma la Serrano inviata in avanscoperta, è vittima di una furiosa burrasca: sbattuta contro gli scogli, si spacca in due e affonda. È il primo relitto di un immenso cimitero di navi che da quel momento costituirà una drammatica testimonianza della spaventosa insidia di quelle acque. Finalmente, dopo quasi 5 mesi di sosta, il 21 agosto 1520 le quattro navi superstiti lasciano il porto naturale e si lanciano all’assalto finale alla ricerca del passaggio. Dovranno trascorrere altri due mesi prima che Pigafetta possa registrare con gioia liberatoria: “Poi andando a 52 gradi al medesimo Polo, trovassemo nel giorno delle Undecimila Vergine uno stretto, el capo del quale chiamammo capo delle Undece mila vergine”. È il primo novembre e Magellano decide di chiamare lo Stretto col nome di “Tutti i Santi”. Dopo un anno di pericolosa navigazione e nonostante la crescente sfiducia anche da parte degli uomini a lui più fedeli, Magellano aveva dimostrato trionfalmente di avere ragione. Occorrerà un mese per percorrere i quasi 600 chilometri dello Stretto (che solo in seguito avrebbe preso il nome del grande navigatore), ma la cosa sorprendente è che non vi è traccia né nel racconto di Pigafetta, né nel giornale di bordo di particolari difficoltà nautiche incontrate. Il passaggio più pericoloso dell’intero viaggio, a meno di 200 miglia dal terrificante Capo Horn, viene superato con relativa facilità, limitandosi a fronteggiare le violente correnti create dall’incontro dei due oceani, gli improvvisi e tumultuosi colpi di vento, gli iceberg, forse al loro primo incontro con gli uomini dell’Armata. Questo il commento estasiato di Pigafetta: ”Chiamassemo a questo stretto el stretto patagonico, in lo qual se trova, ogni mezza lega, securissimi porti, acque eccellentissime, legna se non di cedro, pesce, sardine, missiglioni e appio, erba dolce, ma ce n’è anche de amare; nasce intorno alle fontane, del quale mangiassimo assai giorni per non avere altro” e conclude “Credo non sia al mondo el più bello e miglior stretto, come è questo”. Magellano, ora che è vicino alla meta, è prudentissimo: nonostante il buio notturno duri solo due o tre ore, avanza molto lentamente e si fa spesso precedere da una o due navi per verificare il percorso e scongiurare ogni possibile pericolo. Ma un giorno la San Antonio, mandata in avanscoperta, non torna indietro. Interrogato, l’astrologo di bordo, dopo aver consultato le stelle e i pianeti, sentenzia che la San Antonio ha invertito la rotta ed è ormai in viaggio verso la Spagna, con a bordo tutti i viveri della spedizione. Il colpo è durissimo, ma finalmente un’altra nave in perlustrazione rientra dopo tre giorni “e dissero como avevano veduto el capo e el mare amplo”.

Dopo tante traversie, una traversata pacifica che si conclude sulle coste dell’Isola di Guam

Il mare era davvero ampio, molto più di quanto Magellano e tutti i suoi contemporanei avessero mai sospettato: “il deserto del mondo” lo definirà Francis Chichester. Per le tre navi superstiti saranno quasi quattro mesi di navigazione tranquilla, agevolata dai costanti venti a favore, senza mai vedere terra, ma sfiorando per poche miglia – senza rendersene conto – arcipelaghi e isole incantate che dovranno attendere ancora centinaia di anni prima di essere scoperte dagli europei. Intanto a bordo della San Antonio in fuga per la Spagna, tanto precipitosa da trascurare il recupero di Cartagena e del prete abbandonati dal Capitano Generale su una spiaggia deserta, si stava cercando di costruire la linea di difesa per gli ammutinati. Tutti erano ben consapevoli infatti che a Siviglia li avrebbe attesi un processo, probabilmente il carcere, forse l’impiccagione salvo riuscire a dimostrare che il loro ammutinamento era pienamente giustificato dalla follia di Magellano e dalla sua testarda convinzione di proseguire il viaggio contro ogni ragionevole evidenza: lui, portoghese e doppiogiochista. E, in fin dei conti, Magellano non sarebbe stato lì a difendersi. E così andò. D’altronde perché preoccuparsi tanto di una flotta ormai sicuramente perduta e di un’impresa completamente fallita? Ma a migliaia di miglia di distanza, un pugno di uomini continuava a combattere per la propria sopravvivenza e se il mare si mostrava una volta tanto benevolo, la spedizione rischiava di naufragare per il progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita a bordo. L’odore che emanavano le stive, a suo tempo riempite con le carcasse delle foche e dei leoni marini ormai in decomposizione, era insopportabile; la poca acqua rimasta, di colore marrone, era putrida; i biscotti e le gallette ormai ridotte in polvere dagli assalti dei topi. Sono ancora una volta le parole di Pigafetta a darci il quadro della situazione: “Stessemo tre mesi e venti giorni senza pigliare refrigerio di sorta alcuna. Mangiavamo biscotto, non più biscotto, ma polvere de quello con vermi a pugnate, perché essi avevano mangiato il buono; puzzava grandemente de orina de sorci e bevevamo acqua gialla già putrefatta. … Li sorci se vendevano mezzo ducato l’uno e se pur ne avessemo potuto avere”.
Ma non basta. Tutti i marinai cominciano ad ammalarsi ad uno ad uno di una strana e terribile malattia che rende le gengive spugnose e sanguinanti, apre ulcerazioni in tutto il corpo, sfinisce gli uomini fino alla morte: lo scorbuto. Stranamente la malattia, che decima l’equipaggio, non colpisce gli ufficiali: loro non possono immaginarlo, ma la loro salvezza si chiama cotognata di mele, una vera ghiottoneria riservata agli alti ranghi di bordo, forte antidoto dello scorbuto. Quando Lope Navarro, vedetta della Victoria, alle sei del mattino del 21 marzo 1521 urla “tierra!” l’Armata delle Molucche è ormai molto vicina al proprio completo dissolvimento. La terra incontrata dopo oltre 100 giorni di navigazione nel “mare amplo” è quella che si chiamerà l’isola di Guam, a Sud dell’arcipelago delle Filippine. Le navi sono subito circondate da centinaia di indigeni, curiosi e un po’ ladruncoli. Ma in fin dei conti la gente è cordiale, conosce molto bene la forza del commercio e l’arte della contrattazione, ha una visione chiara del concetto di arcipelago, sa tracciare le rotte. Pigafetta, estasiato, osserva che “le femmine vanno nude, se non che dinnanzi a la sua natura portano una scorza stretta, sottile come la carta … Sono belle, delicate e bianche più che gli uomini, con li capelli sparsi e longhi, negrissimi, fino a terra”. Con grande meraviglia di Magellano, il suo servo Enrique parla una lingua molto simile a quella dei locali e riesce a farsi capire e a comprendere le loro parole: quasi certa- mente Enrique era originario di quelle zone dalle quali era stato rapito, bambino, dagli arabi e rivenduto a Malacca, dove lo aveva acquistato il Capitano Generale. Questa serie di passaggi di mano aveva in realtà dato all’ignaro Enrique il primato mondiale della circumnavigazione del Globo. Grazie alla frutta fresca offerta dagli indigeni, i malati di scorbuto guariscono miracolosamente e, in base alle indicazioni dei locali, la flotta può riprendere il mare verso Ovest, verso l’isola delle spezie. Ma invece delle Molucche, Magellano approda alle Filippine. Le isole sono bellissime, le spiagge di sabbia candida, il clima ideale, l’ospitalità dei nativi grande e generosa, l’obbiettivo finale è lì a portata di mano. Nessuno pensa più ad ammutinarsi e Magellano è al culmine del suo prestigio e della sua autorevolezza. Ma non basta; egli è anche convinto che la sua missione sia voluta dal Signore e che nel Suo nome debba proseguire la sua opera di apostolato. Così spiega ai nativi le basi del Cristianesimo ed accoglie la loro entusiasta e immediata adesione spirituale.

Una freccia avvelenata stronca i sogni di gloria del Capitano Generale

Ma non tutti i re si convertono con tanta prontezza: c’è un monarca di un’isola vicina, tale Lapu Lapu, che non vuol proprio saperne, nemmeno dopo che Magellano ha fatto bruciare e radere al suolo i suoi villaggi. Il Capitano Generale decide allora un’azione dimostrativa e ordina a tre sue scialuppe di scendere a riva con un drappello di 50 uomini ben armati e protetti dalle armature. Ma Magellano compie una serie di errori fatali. Decide di attaccare a mattino inoltrato, senza approfittare del favore delle tenebre, e per di più durante la bassa marea che nel frattempo ha ampliato l’estensione del braccio di sabbia fra le scialuppe e il villaggio, sicché diventa estremamente difficile e pericoloso per i suoi uomini, impacciati dalle pesanti armature, procedere allo scoperto per quasi 500 metri. Gli avversari sono più di 1.500 e non sembrano per nulla intimiditi dai colpi d’arma da fuoco degli europei, a cui rispondono con nugoli di frecce e lance avvelenate che indirizzano con grande abilità alle gambe (l’unica parte scoperta) degli invasori. Quando Magellano capisce che le sorti della battaglia volgono al peggio, è troppo tardi: i superstiti corrono come possono verso le imbarcazioni e “se non era per questo povero capitano, niuno de noi si salvava ne li battelli, perché quando lui combatteva, gli altri si salvavano ne li battelli”. Con l’abbandono (sospetto) della maggior parte dei soldati, solo 6 o 7 uomini fedelissimi – fra cui Pigafetta, che rimarrà ferito – tentano di proteggere il Capitano Generale, ma una freccia lo colpisce ad una coscia; si gira ancora per controllare che tutti si siano salvati nelle scialuppe, poi cade indebolito dal veleno e subito gli sono addosso in cento, “fin chè lo specchio, il lume, el conforto e la vera guida nostra, ammazzarono”. Pigafetta così ne commenta, disperato, la perdita: “Spero la fama di uno sì generoso capitano non debba essere estinta ne li tempi nostri…. niuno altro avere avuto tanto ingegno, né ardire di saper dare una volta al mondo, come già quasi lui aveva dato”.

Nonostante i chiodi di garofano, le navi dell’Armata delle Molucche vanno a pezzi

I 115 uomini superstiti fuggono cercando riparo in una baia protetta, ma la Conceptiòn non è più in grado di proseguire: le teredini, i terribili e voracissimi vermi di mare, l’hanno quasi completamente distrutta. In assenza della tempra e della capacità di Magellano, il nuovo Capitano Generale non sa far niente di meglio che darle fuoco. La piccola flotta ormai ridotta a due navi procede zigzagando nel Pacifico fino a quando, finalmente, il 6 novembre 1521 vengono avvistate quattro isole: “lo piloto, che ne era restato, disse come quelle quattro isole erano Maluco”: dopo 27 mesi il sogno di Magellano aveva preso forma e l’Isola delle spezie era stata alla fine raggiunta “per il che rengraziassimo Iddio e per l’allegrezza descaricassemo tutta l’artiglieria: non era da meravigliarsi se èramo tanto allegri, perché avevamo passato ventisette mesi, manco due giorni in cercare Maluco”. Il sogno si è avverato e i chiodi di garofano – la più pregiata fra tutte le spezie – possono essere imbarcati senza limiti e a prezzi ragionevoli: “Per dieci braccia de panno rosso assai buono ne davano uno bahar de garofoli, che è quattro quintali e sei libbre”. Gli equipaggi delle due navi, in preda all’esaltazione, riempiono le stive della preziosa merce fino all’inverosimile, salutando con gioia ogni imbarco con una salva di artiglieria fino al punto che la nave ammiraglia, la Trinidad, cede di schianto e incomincia ad imbarcare acqua rischiando miseramente di colare a picco così com’è, carica di spezie e ferma all’àncora. Urgono decisioni drammatiche e definitive: il ritorno a casa è affidato alla sola Victoria, il cui comando è assunto da Elcano, il primo rivoltoso; si cercherà di rappezzare in qualche modo la Trinidad per inviarla dalla parte opposta verso la costa americana e trasbordare là i sacchi di chiodi di garofano. Solo 53 uomini decidono davventurarsi in quelle condizioni impossibili verso la strada di casa e, fra questi, dopo angoscianti dubbi sulla nave giusta (e per nostra e sua fortuna), anche Antonio Pigafetta: è il 21 dicembre 1521. Il calvario della Trinidad, l’ex nave ammiraglia, è lungo e penoso. Dopo 4 mesi di riparazioni, il nuovo comandante Espinosa si avvia verso l’America ripercorrendo in senso contrario il cammino di Magellano, ma sbaglia rotta dirigendosi anziché a Sud, verso Nord fino alle acque del Giappone, dove incontra terribili tempeste, venti sempre più violenti e un freddo glaciale. Intanto lo scorbuto riprende a mietere orrendamente vittime: 30 cadaveri vengono gettati in mare e Espinosa si ritrova a fronteggiare gli uragani con solo 20 uomini. Egli si vede perduto e decide di tornare indietro, ripercorrendo per terza volta la strada che lo separa dalle Molucche, ma finisce nelle braccia della flotta portoghese che, in caccia dell’Armata, era approdata proprio lì. La disperata richiesta di aiuto di Espinosa viene ignorata e i soldati portoghesi, quando salgono a bordo della Trinidad, non hanno pietà: tagliano sbrigativamente la testa ad alcuni e lasciano altri a morire lentamente nel clima malsano di quelle isole. La prima tempesta farà a pezzi la nave ammiraglia dell’Armata delle Molucche con tutto il suo prezioso ed ormai inutile carico di spezie.

La Victoria arriva per mano dei primi 18 circumnavigatori del globo

A 1.500 miglia di distanza Elcano, il capitano della nave superstite Victoria, sta combattendo da mesi contro la furia degli elementi del Capo di Buona Speranza: venti a 70 nodi, correnti vorticose, spaventosi muri d’acqua dove il fragile vascello scompare quasi totalmente per riemergere miracolosamente e affrontare il successivo. Tutto questo per giorni e notti intere, gli uomini sfiniti dal massacrante lavoro alle pompe, senza la possibilità di accendere un fuoco, di riposare le membra fradice e sfinite sul tavolato della nave, di spegnere i tormenti della fame. È uno spettacolo spettrale quello che si presenta agli occhi dei presenti sulla banchina di Sanlùcar il mattino del 6 settembre 1522. Il fantasma di un vascello procede lentamente semiaffondato e sbandato da un lato, tavole marce dello scafo lasciano intravvedere quello che resta dell’ossatura interna della nave, stracci di vela agitati dal vento penzolano miseramente dai pennoni, lungo le murate sporgono i corpi scheletriti di diciotto marinai ormai incapaci di muoversi e di parlare. È tutto quello che resta dei 260 uomini che orgogliosamente erano partiti tre anni prima inseguendo il miraggio dell’isola delle spezie. Anche il capitano è morto e così il nostromo, i piloti e tutti gli ufficiali. Ma questa manciata di miserevole umanità, che aveva osato oltrepassare i confini della Terra attraversando quattro volte l’Equatore e circumnavigando il Globo per la prima volta nella storia, aveva davvero cambiato il mondo.

*Questo articolo è parzialmente tratto da Mal del Mare, edizioni Frilli, dello stesso autore.

pubblicato il 10 Luglio 2024 da admin | in Personaggi, Storie | tag: Antonio Pigafetta, baia del Fiume di gennaio, capitano portoghese Lopez de Sequeira, Ferdinando Magellano, Francis Chichester, Francisco Serrao, nave Conceptiòn | commenti: 0

Scrivi un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti recenti
  • Carmen Iemma 28 Aprile 2025 at 05:03 su Vini da tenere in cambusa? Queste bottiglie
    fanno navigare in un vero mare di aromi
    Il Bellone non filtrato cresce su un terreno sabbioso ed è baciato dal ponentino, accompagnerà egregiamente i tuoi pranzi. Provare
VIDEOMARE QUANT’E’ BELLO
LA CAMBUSA
Vini
Cibi
IL GUARDAROBA
Abbigliamento
Accessori
LA VACANZA
In Barca
In Hotel / Resort
 
Ricette di mare I grandi chef vi "servono" le loro ricette Ristoranti al mare Le rotte per i ristoranti d'autore Voglia di crociera Splendida la nave, splendide la mete Navigate con la Fantasia negli Emirati Con Msc Seaside fino in America Le migliori vacanze in barca Segnalateci la vostra proposta Case al mare V'indichiamo la rotta giusta
in un mare d'investimenti
Rotte nell'entroterra Segnalateci la vostra proposta "Navigate" tra le sagre Nei borghi i pescatori cucinano per voi Accessori & partner Come e dove rendere la barca unica Approdi d'autore Le rotte nei più affascinanti hotel sul mare Antiquariato & collezionismo Dove navigare fra aste, negozi... Associazioni di mare Ecco chi tramanda storie e tradizioni Cantieri e maestri d'ascia Qui gli scafi tornano a splendere I vostri annunci Vendete barche, posti barca, oggetti… Corsi e patenti nautiche Le migliori scuole per imparare
Click sull'acqua Le più belle foto di mare. Mare by night I locali più trend dove approdare Diving center Immergersi fra fondali da sogno e relitti Navighiamo nei musei Qui si racconta la storia della navigazione Presi all'amo Bravi pescatori si nasce o si diventa? Porti turistici I migliori marina del Belpaese Lavori in mare Come e dove trovare un impiego Un mare di shopping Abiti, accessori, gioielli e orologi... Storie e personaggi Per chi naviga con la fantasia Traghetti ed imbarchi Cosa sapere su rotte ed offerte...
I VIDEO DI MAREONLINE
LOCALITA' DI MARE Giglio, l'isola è rifiorita CANTIERI E BARCHE Guardate i video delle più belle imbarcazioni ARREDI PER CASE E YACHT Navigate nel video di Interni, il negozio d'arredi dallo stile più profondo
 




PRONTO SOCCORSO IN MARE Sono diversi i possibili problemi di salute che possono subentrare in mare, durante la navigazione, spesso legati proprio alla vita di mare: da una banale caduta a un tuffo sbagliato, da una puntura di riccio a una bruciatura di medusa, a un'otite, un'insolazione…
Cliccate qui per rivolgervi direttamente al medico di mareoline…
IL MARE IN TAVOLA Mareonline vi invita a scoprire i migliori cibi e vini (ma anche liquori e sigari) da gustare in barca, indicandovi la rotta per raggiungere i migliori prodotti del mare: Cibi e Vini RICETTE DI MARE Mareonline vi propone alcune ricette per cucinare, a casa o in barca, piatti a base di pesce e crostacei.
Cliccate qui per scoprire ingredienti e preparazione...
SBARCO AL RISTORANTE Mareonline vi invita a scoprire i migliori ristoranti lungo le coste del Belpaese, raggiungibili direttamente in barca.
Cliccate qui per trovare il vostro ristorante
Cliccate qui per leggere i ristoranti segnalati da voi.
MODA E ACCESSORI Cliccate qui per scoprire che look deve esibire un vero lupo di mare anche in terraferma... LE FOTO PIU' CURIOSE
"PESCATE" SU FACEBOOK
Segnalateci le foto più curiose che avete "pescato" su facebook (inviando una e mail a mareonline@mareonline.it o lasciando un messaggio sulla sulla pagina facebook di mareonline)
PERSONAGGI Quando il genio
approda a Riva
STORIE La crociera
nell'apocalisse
RACCONTI Romanzi
sottocoperta
Diari di bordo Racconta
il tuo viaggio
IL ROMANZO cliccate qui per leggere il romanzo il vento e la farfalla di Franco Fabretti SIAMO TUTTI FOTOGRAFI Avete degli "scatti" particolari fatti al mare, in navigazione?
Inviateli a mareonline@mareonline.it con vostro nome cognome località fotografata.
Le migliori potrebbero apparire in Home page… Cliccate qui

MareOnLine © 2025 - Vietata la riproduzione anche parziale dei contenuti e delle pagine del sito