I greci le chiamavano Cariti, mentre per i romani erano le Grazie, divinità legate alla gioia, al fascino, alla bellezza. Chi sa di mitologia non può non ripensare alle figlie di Zeus e della ninfa Eurinome quando, navigando nelle acque del Golfo dei Poeti, arriva di fronte al piccolo e affascinante paesino dove ha sede il Cantiere Valdettaro. E non può non ripensare a come, secondo alcune leggende, una delle tre Grazie, Aglaia, fosse in grado di donare agli artisti e ai poeti la capacità di realizzare splendide opere d’arte. Perché di opere d’arte si parla quando si raccontano i tantissimi restauri realizzati dal cantiere spezzino in quasi cento anni di vita. Nato come sito di costruzioni commerciali, nel Dopoguerra il Cantiere Valdettaro ha intrapreso la rotta del diporto varando alcuni yacht in legno di altissima qualità come Athena e Armelea, ma la sua vocazione era un’altra.
In pochissimi anni, infatti, il Cantiere Valdettaro è diventato il punto di riferimento mondiale per il restauro dei megayacht: nei suoi capannoni hanno infatti trovato posto barche come il Williamsburg di Ike Eisenhower, l’Istranka del maresciallo Tito, l’Orion del Re di Spagna, il Pacha III di Stefano Casiraghi e Carolina di Monaco e lo Shabab Oman, nave scuola dell’Oman. Se armatori di quel calibro vi affidano la propria compagna di navigazione, dimostrano una fiducia totale nella competenza e nella professionalità offerte.
Da quel momento, infatti, la prua della qualità del Cantiere Valdettaro è stata sempre davanti a tutte quelle degli altri, ha doppiato in testa la boa del Terzo millennio e continua a rimanere il punto di riferimento per chi si occupa di refitting. Lo sanno bene gli armatori per continuare ad affidare alle sapienti mani dei maestri d’ascia del cantiere spezzino le loro barche. Come l’armatore di Namib, una barca a vela uscita dal Cantiere Sangermani nel 1966.
Nel 2014 è entrata nei capannoni di Valdettaro e ne è uscita più bella di prima dopo l’ottimizzazione dell’armo velico e dell’assetto longitudinale, il controllo del bulbo, la manutenzione straordinaria sulle tavole del fasciame dell’opera viva, la sostituzione del motore e la risistemazione di tutta l’impiantistica compresa la realizzazione di un nuovo tambucio di prora. Del Cantiere Sangermani è anche Marida, un 14 metri del 1959. I maestri d’ascia di Valdettaro hanno ricostruito il ponte in teak, ripristinato le ossature di sostegno, effettuato una riverniciatura dell’opera morta e una manutenzione straordinaria delle tavole del fasciame dell’opera viva, un rifacimento totale di tutta l’impiantistica, una manutenzione straordinaria degli alberi e il ripristino delle parti a flatting con 10 mani di vernice monocomponente. E ancora un Sangermani è Umiak Secondo, uno splendido 18 metri del 1956 dalle linee tanto femminili quanto seducenti che sta subendo un importante restauro totale iniziato nel 2011. Gli artigiani di Valdettaro hanno ricostruito il ponte in teak, ricromato tutti gli accessori di pregio, realizzato gli arredi interni e un nuovo specchio di poppa con doghe in lamellare di mogano. Ma il meglio di sé il Cantiere Valdettaro lo dà quando deve accudire imbarcazioni che hanno solcato il mare per decenni e decenni. Come Latifa, un Vintage Yacht di 22 metri prodotto dal Cantiere W. Fife & Sons nel 1936; nel 2014 è stato sottoposto al rifacimento di una porzione della falchetta in teak-massello, alla rifinitura della coperta in teak e alla riparazione del boma. Per concludere con Deva, una goletta di 48 metri realizzata dai Cantieri Krupp nel 1930. I maestri d’ascia del Cantiere Valdettaro hanno provveduto al disalbero, al rialbero e al ripristino totale dell’armo velico rimettendola a nuovo. Cinque esempi di grande competenza e professionalità, di lavorazioni a 360 gradi su armo, alberi, coperta, interni, impiantistica. Si tratti di opera viva o opera morta, il risultato è sempre un’opera d’arte.
pubblicato il 2 Ottobre 2014 da admin | in Cantieri barche a vela d'epoca | tag: Cantiere Valdettaro, refitting | commenti: 0
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