Il capitano William Dampier, navigatore, esploratore e corsaro per la Corona Britannica, nel 1697 descriveva così le imbarcazioni utilizzate sulla costa sud orientale dell’India: “On the coast of Coromandel, they call them Catamarans.” Kattu maram, tradotto letteralmente, significa legni legati assieme. Se l’etimologia proviene dall’Oceano Indiano, va sottolineato come le popolazioni del Pacifico usino fin dalla notte dei tempi un analogo tipo di imbarcazione, la proa. Nei dialetti melanesiani questo nome definisce semplicemente la barca, che nella sua struttura base è formata da una canoa (a remi, con una vela ausiliaria a “chela di granchio”) e un bilanciere dotato di galleggiante per garantire stabilità di forma. Le prime proa furono avvistate nel 1521 nell’Arcipelago delle Marianne, dalla spedizione di Magellano. Il primo a scriverne nella sua Relazione del primo viaggio intorno al mondo fu il vicentino Antonio Pigafetta che, come noto, era imbarcato in quella spedizione.
Il primo catamarano sportivo fu ideato e costruito nel 1876 da Nathael Herreshoff, il “mago di Bristol”, i cui yacht hanno vinto sei edizioni di America’s Cup. Il 26 giugno 1876 alla Centennial Regatta, organizzata dal New York Yacht Club nelle acque prospicienti Staten Island, Capt. Nat si presentò al timone del 33 piedi Amaryllis.
Era il primo catamarano moderno. C’erano una ventina di concorrenti, tra cui i più veloci sandbagger (gli sloop sovrainvelati nati per la pesca alle ostriche): le cronache raccontano che non appena la brezza si levò, Amaryllis raggiunse e doppiò facilmente l’intera flotta, distaccando il secondo di 20 minuti, ma venne poi esclusa a seguito delle proteste di molti concorrenti. Tuttavia le sue performance avevano creato molto interesse attorno ai catamarani e, nei successivi dieci anni, furono una ventina i cat che navigarono sul fiume Hudson e nell’area di Long Island, tra i quali il più famoso fu la sistership Tarantella, con la quale Capt. Nat dimostrò come fosse possibile utilizzare un piccolo cat anche per diver- tenti crociere costiere, arrivando a coprire 140 miglia in 14 ore, con picchi di 18 nodi.
Per tutta la prima metà del 1900 non si hanno notizie di catamarani e multiscafi in genere, se non la ricostruzione fedele di Amaryllis, commissionata dall’allora presidente della Chrysler, che oggi fa mostra di sé presso l’Herreshoff Marine Museum. I catamarani rinacquero, nel vero senso della parola, dopo la seconda Guerra Mondiale, non solo in ragione di una ritrovata voglia di vivere e progredire, ma anche per la disponibilità di nuovi materiali e tecnologie che l’industria bellica aveva messo a punto.
La costruzione del primo catamarano della nuova era si deve a Woody Brown, il padre del surf da onda. Newyorkese di nascita ma hawaiano di adozione, nel 1946 costruì con l’aiuto del costruttore locale Alfred Kumalae, Manu Kai (Uccello di mare).
Nel 1954 lo stesso Kumalae, che con il giovane designer Rudy Choy aveva fondato il primo studio di progettazione per catamarani da crociera, realizzò un 40’, Alii Kai, con la speranza di vincere la Transpac, da San Francisco a Honolulu. L’anno dopo lo yacht attraversò il Pacifico dalle Hawaii alla California. Tra le persone che provarono l’adrenalina di tirar bordi sul cat assieme a Woody Brown, c’era un noto surfista e produttore di tavole: “Hobie” Alter.
Fu lui che nel 1967 realizzò un catamarano da spiaggia di 14 piedi: l’Hobie Cat che, nella versione da 16’, è diventato a oggi il catamarano più diffuso sulle spiagge di tutto il mondo. Intanto il concetto di multiscafo aveva cominciato ad attrarre i designer di barche a motore. Il catamarano infatti risultava la soluzione vincente ovunque fosse vantaggiosa la minor superficie bagnata a parità di larghezza disponibile o una maggior stabilità. Oggi molti collegamenti marittimi e fluviali veloci sono effettuati con imbarcazioni di questo tipo. Tornando allo sviluppo dei multiscafi a vela, gli anni ’50 e ’60 videro un certo fiorire di autocostruttori che si lanciavano in spesso dilettanteschi esperimenti soprattutto con i trimarani, meno impegnativi dal punto di vista strutturale. In Italia, a metà anni ’70, videro la luce i catamarani Mattia, progettati con professionalità e passione da Enrico Contreas, che nel tempo si sono affermati sia tra i cabinati da crociera sia tra piccoli cat sportivi (la classe F18 conta oggi 3000 barche). Nel 1962, la Federvela internazionale (Isaf) definì quattro classi di catamarani: A,B,C e D, di cui la A e C tuttora esistenti, mentre la B è diventata il cat olimpico Tornado.
Qualche anno prima, nel 1959 il Tigercat, disegnato l’americano Bob Harris, venne definito da una rivista come il più veloce mezzo a vela di piccole dimensioni. La sfida era stata involontariamente lanciata verso l’altra sponda dell’Atlantico: era nata la “Piccola Coppa America” (Little America’s Cup o Lac). Gli americani del Sea Cliff Yacht Club (Scyc) di New York scrissero il Protocollo, inspirandosi abbondantemente alla competizione maggiore. La sfida era tra yacht club ma corinthian, ovvero piccoli sodalizi di amatori, in contrapposizione a quelli blasonati, frequentati dai magnati che, dal 1851, si contendevano la Vecchia Brocca. Il trofeo fu chiamato The International Catamaran Challenge Trophy (Icct). Il Sea Cliff Yacht Club divenne primo Defender, mentre il britannico Royal Highland Yacht Club fu lo sfidante ufficiale. Come barca “base” fu scelta la C Class, con un equipaggio al trapezio di due persone, nessuna limitazione al peso minimo, una lunghezza di 25’, un baglio massimo di 14’ e 28 m2 di superficie al vento. Allora non erano mai stati costruiti cat oltre i 18’-20’ e quei 5-7 piedi in più portavano i progettisti in un campo ancora completamente sconosciuto. La prima sfida, nel 1961, vide la vittoria dell’inglese Hellcat II, già allora costruito in vetroresina, sull’americano Tigercat.
La Piccola Coppa ha visto cimentarsi molte nazioni, sempre con l’elemento fondamentale di una forte innovazione: l’Italia arrivò a sfidare il Defender tre volte, con Miss Lancia nel ’78 e Signor G nell’80 e ’82. Già nel 1964 si vide la prima vela alare, che andò evolvendosi nel 1965 su Lady Helmsman, che conquistò e difese la Lac e oggi fa bella mostra di sé al Maritime Museum della Cornovaglia. Le evoluzioni della wingsails proseguirono fino a metà anni ’80 su una serie di 6 cat americani, tutti chiamati Patient Lady, in riferimento alla pazienza della moglie dello skipper-armatore-costruttore, che dedicava certamente più tempo alla barca che alla consorte.
Le esperienze su queste vele alari contribuirono a fornire il know how per il catamarano Stars and Stripes, con il quale nel 1988 Dennis Conner umiliò KZ1 dei Kiwi nella “grande” Coppa America. Seguendo le vicende delle vele rigide, arriviamo ai giorni nostri, all’ICCT del 2010 a Newport, dove tutti i concorrenti si sono presentati con wingsail. A vincere è stato lo specialista Fred Eaton, grazie alle superiori performance del suo Canaan, ma dietro di lui si è piazzato “un certo” James Spithill, nell’insolito ruolo di prodiere.
Gli anni Ottanta e Novanta segnano l’inizio dei grandi record oceanici a opera dei multiscafi, sfida tuttora in atto, con il maxi trimarano Groupama che nel 2010 ha migliorato il record sul giro del mondo a vela, conquistando il Trofeo Jules Verne in 48 giorni, 7 ore 44’ 02”. Uno scafo entrato nella leggenda così come il Banque Populaire, detentore del record di percorrenza sulle 24 ore con 908 miglia all’incredibile media di 37,84 nodi! Non è un caso che questi due enormi yacht siano entrambi francesi, così come i loro skipper.
Nell’ormai lontano 1980 un mito della vela d’oltralpe, Eric Tabarly, a bordo del trifoiler Paul Ricard migliorò di circa 2 giorni il record di traversata atlantica che era rimasto imbattuto da 75 anni (lo aveva stabilito nel lontano 1905, lo schooner Atlantic, con 12 giorni e 4 ore). All’inizio del nuovo millennio i fratelli Peyron lanciarono, The Race: partenza da Barcellona e ritorno a Marsiglia, dopo aver compiuto il periplo del globo senza scalo. Non era una regata riservata a soli multiscafi, ma al via si presentarono 6 giganteschi cat di circa 30 metri: la G Class, dove G sta per giant, gigante. Alla partenza si levarono molte voci critiche, si diceva che nessuno avrebbe terminato la regata e che il rischio era altissimo. Ma i cat ressero meglio di qualunque aspettativa anche se persino Club Med, il vincitore, subì seri danni.
Potrà sembrare una follia, ma c’è chi ha scelto proprio un piccolo cat non abitabile per sfidare gli oceani: l’italiano Alessandro Di Benedetto, recentemente diventato il primo circumnavigatore solitario a compiere l’impresa sulla barca più piccola, un vecchio MiniTransat di soli 6,5 m. A lui fecero seguito altri, come Vittorio Malingri, detentore del record atlantico in solitaria, o come Matteo Miceli e Andrea Gancia, che si lanciarono sulla tratta Dakar-Guadalupa stabilendo il record di percorrenza, su un piccolo cat di 20’ appo- sitamente costruito.
In questi anni le regate su multiscafi hanno acquistato sempre più popolarità mediatica anche per le loro doti di spettacolarità come prova l’Extreme Sailing Series, circuito professionistico con catamarani monotipo di 40’ nato nel 2007. Tutti ormai sanno che la 33a America’s Cup è stata combattuta dal Defender Alinghi su un catamarano di 90’ contro il trimarano di pari lunghezza di Larry Ellison. Dopo la vittoria secca del trimarano con vela alare, il nuovo Defender ha scelto di continuare sulla strada dei multiscafi: la 34a America’s Cup si svolgerà infatti su catamarani di 72’ con vela alare, mentre già dall’anno prossimo inizieranno regate di preparazione all’evento su altrettanto innovativi cat One Design di 45’, sempre con wingsail. Parallelamente alle AC World Series molti team prenderanno parte alle Extreme Sailing Series 2011: Artemis, Team New Zealand, Luna Rossa, Alinghi… non tutti parteciperanno alla nuova America’s Cup, ma tutti faranno vela su due scafi.
pubblicato il 1 Aprile 2024 da admin | in Catamarani a vela, Personaggi, Storie | tag: 33 piedi Amaryllis, Alfred Kumalae, Capt. Nat, Centennial Regatta, Enrico Contreas, Herreshoff Marine Museum, Hobie Cat, Kattu maram, Little America’s Cup, Manu Kai, Nathael Herreshoff, Rudy Choy, sistership Tarantella, Stars and Stripes, Tigercat, trifoiler Paul Ricard, Woody Brown | commenti: 0