Cos’altro avrebbe potuto fare un figlio il cui padre è stato il primo Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare italiana in età repubblicana, mentre la madre, la contessa Carlangela Durini di Monza, partecipò nel 1930-’31 a quella che venne denominata Spedizione del Sud-Africa? Come minimo diventare un epico personaggio nella storia delle esplorazioni polari italiane. E così fu. Giovanni Ajmone Cat, nato a Roma nel 1934, divenne infatti il primo navigatore italiano a portare a termine due spedizioni antartiche a bordo di un motoveliero armato a vela latina, il San Giuseppe Due, di concezione e costruzione interamente italiana. Giovanni apprese i rudimenti della vela sul lago di Como, dove imparò a navigare su una piccola imbarcazione del 1923. Trasferitosi ad Anzio, nel Dopoguerra uscì spesso in mare come mozzo sulla tartana di un capobarca locale, impratichendosi nell’utilizzo dell’armo a vela latina. Conseguita la laurea in Agraria a Perugia, cominciò a gestire l’azienda di famiglia nell’Agro Pontino, ma il richiamo del mare fu per lui tanto forte da cominciare a sognare di armare un robusto scafo con il quale raggiungere il Sud del mondo per piantarvi la bandiera italiana. Nel luglio del 1967 iniziò dunque la collaborazione tra Giovanni Ajmone Cat e il cantiere dei fratelli Palomba di Torre del Greco, in provincia di Napoli.
La piccola nave in progettazione, lunga 15,90 metri e larga 4,70 metri, avrebbe avuto l’armo velico a feluca, con due alberi a vela latina e un motore ausiliario da 120 cavalli. Aveva una lunghezza al galleggiamento di circa 13 metri, una prua sottile e slanciata, un basso bordo libero per offrire poca presa al vento, una zavorra in piombo di circa 8 tonnellate interna allo scafo e larghi corridoi in coperta di circa 80 centimetri di larghezza. Per la costruzione, avviata nei primi mesi del 1968, venne impiegato legno di quercia dello spessore di 5 centimetri e iroko a fasciame semplice calafatato, con un ponte in teak da 4 centimetri e una corazzatura in acciaio inossidabile al molibdeno di 4 millimetri di spessore, applicata dalla prua fino a circa metà scafo, per proteggere la barca dalla collisione con i ghiacci. L’armo velico comprendeva un albero di maestra e uno di trinchetto, alti rispettivamente 7 e 6 metri, con un bompresso lungo 2,80 metri, controfiocco, fiocco e scopamare. Le vele, costituite da ferzi di 33 centimetri, erano in cotonina da bastimento a 6 e 8 fili, lavorati all’antica e relingati tutti a mano. L’attrezzatura doveva essere la più semplice e tradizionale, per consentire facili riparazioni in caso di avaria in una zona dove l’assistenza tecnica sarebbe stata inesistente. Il primo agosto 1968 il San Giuseppe Due (il Due lo distingueva da un altro San Giuseppe II iscritto allo stesso ufficio della Capitaneria di Porto di Roma) fu varato a Torre del Greco. Poi si trasferì in Sardegna per effettuare le prove in mare con maltempo tra le Bocche di Bonifacio.
Terminato l’allestimento, il 27 giugno 1969 il San Giuseppe Due, condotto da Giovanni Ajmone Cat e con 4 persone di equipaggio, partì da Anzio verso l’Antartide. Ma quel primo viaggio, durato oltre due anni, non fu privo di difficoltà. Numerose furono le avarie alle apparecchiature meccaniche e elettriche, le infiltrazioni d’acqua dalla coperta, le frequenti soste per rifornimenti e riparazioni, le pratiche burocratiche da svolgere negli uffici delle autorità delle varie nazioni dove il San Giuseppe Due faceva sosta per non parlare dell’invio dei pezzi di ricambio coordinati dalla madre di Ajmone Cat. A questo, una volta raggiunta la base antartica argentina di Almirante Brown, si aggiunse, il 2 gennaio 1971, l’abbandono di tre membri dell’equipaggio, poi sostituiti da due volontari nocchieri della Marina Militare, Salvatore Di Mauro e Franco Zarattini, e da Dario Trentin, pilota dell’Alitalia amico di Giovanni. Ripartito il 23 febbraio 1971, il San Giuseppe Due arrivò ad Anzio il 21 novembre dello stesso anno dopo avere portato per la prima volta la bandiera italiana in Antartide.
L’anno successivo, quale riconoscimento della sua impresa, il Presidente della Repubblica Giovanni Leone concesse ad Ajmone Cat la Medaglia d’Oro di Benemerenza Marinara.Facendo tesoro dell’esperienza acquisita l’esploratore italiano si preparò per il successivo viaggio, denominato Spedizione Antartica Italiana, improntato a una maggiore connotazione scientifica e patrocinato dalla Lega Navale Italiana. La nave subì una lunga serie di migliorie, sempre nel cantiere Palomba, mentre per l’equipaggio ci si rivolse nuovamente alla Marina Militare, che inviò quattro giovani sottufficiali di carriera: il motorista Mario Camilli, il nocchiere di porto Tito Mancini, il nocchiere Giovanni Federici e il radiotelegrafista Giancarlo Fede. Il nuovo viaggio, durato dal primo luglio 1973 al 27 giugno 1974 e lungo con 20.000 miglia, valse all’equipaggio il conferimento del Distintivo Antartico da parte del Comando dell’Armada Argentina e la consegna, nel 2012, della Medaglia d’Argento al Merito di Marina da parte dell’ammiraglio di squadra Luigi Binelli Mantelli. Giovanni Ajmone Cat è morto a Como il 18 dicembre 2007.
Testo di Paolo Maccione pubblicato sul numero 90 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 20 Maggio 2024 da admin | in Personaggi, Storie | tag: Almirante Brown, armo a vela latina, cantiere Palomba, Carlangela Durini di Monza, San Giuseppe Due | commenti: 1
Fiero d’essere italiano, napoletano e amante del mare. Grazie!