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Isole Lofoten, impossibile trovare
altrove uno stoccafisso così

Svolvær è il capoluogo delle isole Lofoten, arcipelago norvegese a nord del Circolo Polare Artico, che, a dispetto della posizione, gode di un clima temperato (per così dire) grazie al passaggio della Corrente del Golfo. Il luogo è affascinante di per sé: una quantità di isolotti collegati fra loro da una serie di ponti offrono, in estate, un paesaggio quasi bucolico, tutto pascoli, monti e insenature punteggiate da casette colorate, mentre in inverno, coperti di neve, sono uno dei panorami più struggenti che possa capitare di vedere. Così le avrà viste anche Pietro Quercini che nel 1431 vi fece naufragio. Fu salvato dai vichinghi che vivevano sull’isola di Røst, insieme a Værøy la più meridionale e isolata fra tutte. L’italiano rimase a lungo sulle isole riuscendo a carpire i segreti di quella gente, compresa la tecnica di seccare i merluzzi rendendoli duri come pezzi di legno e inattaccabili dalla muffa, gli stockfisk (stoccafisso). Tornato in patria convinse Venezia a intraprendere un commercio di stoccafissi in cambio di sale, introvabile a quei tempi da quelle parti. Con quel pesce gli italiani ci inventarono 100 piatti, e con quel sale i norvegesi inventarono il baccalà. Uno scambio tanto proficuo da continuare fino a oggi, visto che le Lofoten producono il miglior stoccafisso e baccalà del mondo che viene comprato quasi tutto dall’Italia.

Il segreto? I merluzzi che migrano per deporre le uova, la temperatura dell’aria…

Il merito di tanta bontà sta nella varietà del merluzzo pescato alle Lofoten, lo skrei in lingua locale (significa migrare, perché la specie migra alle Lofoten per deporre le uova), e nella particolare temperatura dell’aria, né troppo fredda né troppo calda, creata dai venti di sud ovest e dalla Corrente del Golfo che costeggia quelle isole: temperatura che permette di seccare il pesce senza farlo congelare o marcire. Tutto lo sviluppo sociale e culturale delle Lofoten è legato allo skrei.

Nel villaggio con il nome più corto del mondo, Å,  c’è un museo dedicato al merluzzo

Nel villaggio di Å, il paese con il nome più corto del mondo, capolinea della Lunga E10, la strada che nasce in Svezia e attraversa gli arcipelaghi Vesteralen e Lofoten con ponti e tunnel fra un’isola e l’altra, c’è il museo del merluzzo. Qui a raccontarne la storia c’è Steinar Johan Larsen, che in un colorito italiano parla dei pesci come fossero figli suoi. Spiega come arrivano alle Lofoten migrando dal mare di Barents e come i merluzzi diventino parte integrante del paesaggio quando durante il lungo inverno vengono appesi a essiccare all’aria aperta, disposti in coppie su alti tralicci di legno alle spalle delle rorbuer, le colorate casette di legno dei pescatori.

Dietro le casette colorate dei pescatori migliaia di pesci vengono messi a essicare sui tralicci di legno

Sono il frutto del lavoro stagionale di una attività di pesca, che richiama alle Lofoten pescatori da tutta la Norvegia, gente di mare che sa a proprie spese di avere scelto una vita dura e un mestiere non privo di pericoli. I porticcioli di Svolvær, Henningsvær, Nusfjord, Å, e tutti gli altri sparsi per le isole si affollano di piccoli pescherecci che ogni giorno si dirigono verso il mare aperto per tornarne con un pescato che anno dopo anno diventa sempre meno abbondante. “Colpa dei russi”, tuona Steinar. “Non aspettano che i pesci raggiungano l’età adulta, lassù pescano anche gli avannotti. Stanno facendo un disastro”. “Lassù” è il Mare di Barents, troppo freddo anche per i merluzzi che preferiscono riprodursi nelle più calde acque norvegesi. È così da sempre, tanto che la pesca è storicamente stata la fonte di massimo reddito degli abitanti delle Lofoten. Sulla barca di Geir Johansen, un anziano pescatore dallo sguardo mite e il sorriso sornione, più adatto a un nonno che a un temerario pescatore, la partenza è alle 5 del mattino, senza ritardi, “chi c’è c’è, chi non c’è non c’è!” Il molo è su un isolotto di fronte a Svolvær, proprio davanti a una fabbrica di baccalà. La barca galleggia pigramente, la città è illuminata, il cielo è nero come la pece. Fa freddo. Un freddo che entra nelle ossa nonostante il piumino, il berretto e i guanti. Il comandante è in abbondante ritardo, ma per lui la regola non vale. Talvolta affitta la barca a turisti che vogliono fare pesca sportiva al merluzzo (esiste anche un campionato mondiale che si tiene ogni anno alla fine di marzo), ma questa volta si va davvero a pesca. Sottocoperta un confortante calore viene emanato da una stufetta sulla quale si trova un bricco per il caffè. I pescatori usano tute termiche per proteggersi dal freddo molto più efficaci della mia attrezzatura da neve. Il cielo comincia appena a schiarirsi quando lasciamo la riparata insenatura del porto e ci dirigiamo verso sud, all’uscita del grande Vestfjorden, dove verranno gettate le reti e ritirate quelle del giorno prima. Man mano che avanziamo le onde si fanno più grandi.

L’eco scandaglio indica se sott’acqua sta passando un branco di merluzzi

Dopo qualche ora raggiungiamo il luogo di pesca, dove si concentrano i banchi di merluzzo che il comandante cerca con gli occhi fissi sull’ecoscandaglio. Tutto intorno ci sono altri piccoli pescherecci. Superiamo un’imbarcazione leggermente più grande delle altre sulla quale gli uomini lottano per issare a bordo una rete stracolma di pesci guizzanti. Corrono impazziti da poppa a prua, guardano e gridano, tirano e mollano mentre lo scafo si inclina paurosamente su un fianco finche l’acqua non lambisce il parapetto. “Con questo mare non si scherza”, racconta Geir il comandante, “ma oggi nessuno rischia la vita per portare a casa un carico di pesci, e se qualcuno vuole farlo, ci pensa la capitaneria di porto a fermarlo. Quando si prevede mare grosso scatta il divieto di uscita per le barche. Certo, la disgrazia può sempre succedere, ma anni fa l’incidente o il naufragio era considerato quasi un sacrificio umano da pagare al mare. Una delle cose da mettere in conto quando si faceva questo mestiere”.

Gli incidenti in mare? Una volta erano frequenti, oggi annegano solo i marinai che si ubriacano

Lo confermano alla capitaneria: “Gli incidenti tra i pescatori sono rari. Oggi il mare uccide gli stupidi, quelli che si ubriacano e cadono in acqua nei porti, vicino alle loro barche, scivolando sul ghiaccio. Difficile sentire le grida e il freddo fa il resto. A volte vengono ritrovati il giorno dopo, fra una chiglia e l’altra, altre volte il mare li restituisce a Capo Nord, a centinaia di chilometri di distanza, trasportati dalla Corrente del Golfo”. Raggiungiamo lentamente la zona nella quale si calano le reti. Il mare si è fatto agitato, ma i rudi uomini del Mare del Nord non si sgomentano e fanno colazione con biscottini al latte inzuppati nel caffè. Le tazze sono poggiate su un tavolino basculante. Dal moto ormai incontenibile delle tazze sul tavolo diventa evidente che fuori il mare si è gonfiato. Il vento sputa acqua e nevischio, e il panorama alterna con il rollio e il beccheggio un paesaggio di cupe nubi a quello di onde scure. Con un mezzo marinaio viene recuperata la cima di una rete, inserita tra le pulegge del verricello che inizia a salpare. Dopo alcuni minuti cominciano ad apparire i primi merluzzi, alcuni, i più grossi, ancora vivi. I pesci impigliati nella rete oltrepassano il verricello e finiscono nelle possenti mani di un pescatore vichingo, che con un sorriso di soddisfazione li strappa dalle reti e li uccide con un colpo di coltello sotto le branchie. Ormai l’acqua attraversa il ponte entrando da una fiancata e uscendo dall’altra. Il rientro è lento come l’uscita, e prima dell’ormeggio definitivo si scarica il pesce in uno stabilimento dove gli stessi pescatori provvedono a sventrarlo, pulirlo, e separare il fegato e le uova dal resto delle interiora.

Appena scaricato il pesce viene subito lavorato separando il corpo,il fegato e le uova

Ogni singola parte verrà utilizzata in maniera diversa per mercati diversi; del corpo se ne faranno stoccafissi e baccalà, il fegato e le uova saranno venduti a parte e le teste, completamente scarnificate e private di guance e lingua, saranno esportate, secche, verso la Nigeria, dove sono apprezzati integratori di sapore per i cibi locali. “Del merluzzo non si butta via nulla”, spiega congedandosi un soddisfatto Geir. Proprio come il maiale, del quale evidentemente, oltre alla puzza condivide il destino.

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pubblicato il 19 Maggio 2022 da admin | in Storie, Viaggi & Rotte nel mondo | tag: baccalà, Circolo Polare Artico, isola di Røst, isole Lofoten, skrei, Steinar Johan Larsen, stoccafisso, Svolvær, Vestfjorden, villaggio di Å | commenti: 2
  • Silvana Bulgari ha detto:
    1 Ottobre 2018 alle 07:53

    Salve, sto cercando dello stoccafisso per la mia clientela, grosse quantità, mi farebbe piacere essere contattata. Grazie Il mio tel 3386830299 Silvana

    » Rispondi
  • Catanesi Carlo ha detto:
    7 Ottobre 2018 alle 17:08

    Veramente molto interessante e molto esplicito, bravi, ho imparato un’altra cosa da raccontare, magari davanti ad un piatto, ovviamente stocco!

    » Rispondi
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    • Frances Brown 26 Marzo 2023 at 01:56 su Doccia in barca, farla con Stemwash
      è un piacere impossibile da eguagliare
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