Far rivivere il passato, riportare a navigare sulle onde del mare una barca di più di quattro millenni fa. A lanciare la sfida, quasi impossibile, è stata la squadra di archeologi e studiosi che ha deciso di ricreare, sulla base di testimonianze scritte e di geroglifici, Magan, una nave dell’età del bronzo. La storia di questa fantastica operazione comincia nel 1984, quando l’archeologo Maurizio Tosi, dell’Ismeo, l’istituto studi medio orientali, si trova a esplorare il territorio vergine del sultanato di Oman, regione della Penisola arabica, tra l’Africa e l’India, che si affaccia sull’oceano Indiano. Qui, l’archeologo scopre qualcosa di davvero unico: un frammento di coccio grande poco più di una decina di centimetri che riportava segni della scrittura protoindiana di Harappa e di Mohenjo Daro. Ciò significava che già nel 2.500 avanti Cristo queste popolazioni erano capaci di solcare i mari e di compiere viaggi lunghissimi.
Ma com’erano queste imbarcazioni? E con una di queste barche oggi si potrebbe fare lo stesso viaggio? Queste le domande che risuonano nella mente dell’archeologo. E altri quesiti si aggiungono poco tempo dopo quando Tosi scopre, non lontano da quel primo fortunato scavo, resti che presentano segni delle impressioni di canne, di stuoie e di corde intrecciate, materiale che si usava e si usa tuttora per la costruzione di capanne. E insieme vengono anche trovati residui di particolari microrganismi che solitamente aggrediscono le chiglie delle imbarcazioni. Tosi non ha dubbi: è sulle tracce dell’antica imbarcazione. È da qui che prende le mosse il progetto “La nave di Magan (dall’antico nome del Sultanato di Oman). Tosi, insieme al Dipartimento di archeologia dell’università di Bologna e l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma e il ministero del Patrimonio e della Cultura dell’Oman comincia la sfida: riportare alla luce qualcosa che viene raffigurato su sigilli, piastre calcaree e dipinti murali.
Oltre a queste immagini, però, la squadra di archeologi può contare anche su un testo sumero del 2.000 avanti Cristo, conservato al Louvre, in cui sono elencati i materiali necessari per costruire una delle “navi nere di Magan”: bitume, legno di palma, diversi tipi di canne e corde. Gli ingredienti ci sono, ma manca il “cuoco”. Tosi lo incontra solo nel 1995: si tratta dello skipper, carpentiere e storico della navigazione americano Tom Vosmer. Ora sì che il progetto può passare dalla carta alla pratica. Dal principio viene realizzato un modello tridimensionale, a cui segue una replica in scala 1:20. Poi, viene costruito un altro modello in scala 1:3, di circa 5 metri di lunghezza in cui sono utilizzati e testati i materiali locali e sperimentate le tecniche costruttive. La fase successiva è la realizzazione della copia in scala originale. Attraverso l’utilizzo di un software e l’analisi dei dati a disposizione, tra cui le fonti sumeriche che attestavano chiaramente l’esistenza delle nere navi di Magan viene stabilito che la nave, per affrontare la navigazione oceanica che le permetteva di raggiungere le coste nord occidentali dell’India, dovesse avere una lunghezza complessiva di 13,15 metri; una larghezza di 3,5-4 metri e un’altezza di tre metri escluse le punte di prua e di poppa, e naturalmente una forma a mezzaluna. E’ il marzo 2005: come base dei lavori viene scelta un’area dei vecchi cantieri navali della città di Sur (Sultanato dell’Oman).
La squadra ha sei mesi di tempo per rimettere insieme l’antica imbarcazione. Per costruire Magan occorrono 10 tonnellate di canne palustri, 30 chilometri di corde di fibre di palma di dattero e di lana di capra, due tonnellate di bitume, due tronchi di pino, lana di capra e pelle di capra e di mucca. La prima fase del processo di costruzione prevede la pulitura delle canne e l’assemblaggio dello scafo. Una volta raccolte le 10 tonnellate di canne, infatti, sono state divise in fasci da 25-30 chilogrammi, pulite dalle foglie e lasciate essiccare al sole per evitare il processo di decomposizione. Terminata l’essiccazione, le canne sono state legate con corde di fibra di palma e dattero in fasci da 10 centimetri di diametro per una lunghezza di 16 metri. Lo scafo è composto da 50 fasci legati trasversalmente a 40 ordinate di canne per una lunghezza di 12 metri, una larghezza di quattro e un’altezza di tre. Lo scafo è costruito su una speciale struttura di legno composta di pannelli che ne rappresentano il profilo esatto generato al computer. Lungo i bordi dell’imbarcazione, inoltre, viene applicata pelle conciata di mucca, per fornire una superficie liscia su cui camminare, senza danneggiare le parti in canne e lo strato di bitume. Questa prima fase del processo costruttivo (pulitura canne e assemblaggio dello scafo) richiede due mesi di lavoro e 25 operai di nazionalità diverse (omaniti, indiani, bangladeshi). La fase successiva è quella di realizzare delle parti in legno, bagli trasversali, alcune ordinate a prua, altre a poppa, timone e albero. I bagli servono per rafforzare la struttura della nave e prevenire eventuali torsioni. Il timone è composto da due remi fissati a poppa che funzionano in parallelo. L’albero, alto circa otto metri, è bipede e ruota attorno al baglio centrale su appositi supporti in modo da poterlo abbassare e alzare secondo le esigenze della navigazione. La vela, fatta di lana, è di forma quadrata. Le ultime fasi del processo di costruzione sono, nell’ordine, la cucitura delle stuoie e l’applicazione dello strato di bitume. Per la stesura del bitume vengono fatti venire appositamente dall’Iraq, dove questa tecnica è ancora usata, due artigiani. La difficoltà di maneggiare il bitume è che passa dallo stato solido a quello liquido in modo rapidissimo. Il bitume aderisce molto bene alle canne e forma uno strato molto spesso conservando, comunque, una straordinaria flessibilità. Inoltre, il bitume non è soggetto a problemi dovuti a sbalzi di temperatura, ma si mantiene costantemente compatto e resistente, anche alle alte temperature. Tutto il lavoro si basa su studi iconografici, su valutazioni tecniche, come lo studio dell’idrodinamicità e della resistenza dei materiali alla pressione dell’acqua.
La clessidra si sta esaurendo: i sei mesi sono terminati e Tosi e la sua squadra multietnica non hanno più tempo. Così l’11 luglio 2005 nella laguna di Sur procedono al varo di Magan. È mattina, la luce del sole forte, il mare piatto, sembra che tutto vada bene, dalla terra Magan è stata restituita all’acqua. Ma dopo pochi minuti, nemmeno il tempo di ammirare quel miraggio della storia, la barca comincia a imbarcare acqua. In alcuni punti il bitume cede, si è crepato. La squadra di Tosi non si demoralizza: nel mese successivo provvede a tutte le riparazioni rendendo lo strato di bitume più spesso e solido di prima.
L’alba di una nuova prova è arrivata. La mattina del 7 settembre, dopo una tradizionale cerimonia amanita, l’equipaggio è pronto per imbarcarsi sulla nave nera e compiere un itinerario marino vecchio di quattromila anni, che lo porterà dalle coste arabe a quelle indiane. Il viaggio comincia, l’equipaggio assapora l’emozione, la magia del momento. Arriva il pomeriggio e tutto va bene, Magan solca le onde del mare puntando verso il porto di Mandvi. Tempo di navigazione previsto: 14 giorni. La fatica e il duro lavoro di 20 anni veniva ripagato. Il sole tramonta, la stanchezza comincia a farsi sentire, forse si sente stanca anche Magan che porta con sé una storia così antica.
In piena notte, infatti, Magan si inabissa. Ha percorso 10 miglia quando la nave militare amanita che la scorta riceve un segnale di Sos. A bordo della Fulk-as-Salamah, il padre della missione, Tosi, fa appena in tempo a scorgere la sua creatura che scompare in mare: Magan torna nel mistero da cui è stata tratta. Ora l’imbarcazione giace a 1.500 metri di profondità a largo di Ras al-Hadd. Giorni dopo Tosi si tormenta ancora chiedendosi cosa hanno sbagliato. La risposta è da cercarsi nel calafataggio, la fase più delicata dell’operazione.
Ma questa storia non finisce così, con l’immagine di una nave che si inabissa, con una sconfitta sulle spalle. Infatti, Magan ha una sorella, il primo prototipo dell’imbarcazione costruito a Ravenna. Ecco la vittoria di Tosi e della sua squadra: aver regalato una tessera in più a quel grande e misterioso mosaico che è la storia del nostro passato.
Testo di Sonia Minchillo pubblicato sul numero 41 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 13 Ottobre 2024 da admin | in I grandi relitti, Storie | tag: archeologo Maurizio Tosi, Ismeo, nave dell'età del bronzo, nave nera di Magan, Sonia Minchillo, Tom Vosmer | commenti: 3Just Peruzzi, "Il ristorante panoramico più bello d’Italia" - Corriere della SeraVi aspettiamo per accogliervi in quello che il Corriere della Sera ha definito come "Il ristorante panoramico più bello d’Italia"
Pubblicato da Just Peruzzi su Martedì 30 aprile 2024
E’ una storia che fa sognare e suscita ammirazione per il coraggio e la perseveranza!
Bell’articolo. Forse col bitume dovevano impastare anche del cotone tagliato, o meglio dare il bitume poi stendere una specie di rete di cotone o di altro filato e ancora una mano di bitume. Questo non deriva da una tecnica moderna ma da una possibile ingegnosità che l’essere umano ha sempre escogitato per ottenere qualcosa per risolvere i problemi.
Buongiorno, stiamo tentando di riprodurre un modellino di barca nera di Magan. Chiediamo se e come sia possibile conoscere le tecniche utilizzate per la raccolta, il trattamento e la lavorazione delle canne (phragmites?) necessarie alla costituzione del fasciame. Grazie