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Mas, le motobarche armate di siluri
capaci di compiere imprese incredibili

All’inizio del 1917 la Regia Marina aveva impresso un più incisivo impulso alla condotta operativa della guerra marittima in Alto Adriatico. Si trattava di una nuova linea strategica decisa dal vice ammiraglio Paolo Thaon di Revel, comandante in capo delle Forze navali mobilitate e capo di stato maggiore della Forza armata, proposta nel periodo della ritirata di Caporetto. L’obiettivo era la difesa di Venezia da portare a compimento con un più determinato appoggio al fronte a mare della III Armata e con l’alleggerimento della pressione avversaria mediante azioni di contrasto all’attività delle navi maggiori austriache operanti a sostegno dell’offensiva della XIV Armata del generale prussiano von Bulow. Il fulcro della strategia erano le operazioni di ricerca e distruzione del naviglio nemico con rapide e improvvise scorrerie nei porti e negli ancoraggi più interni delle coste istriana e dalmata. La Marina nel 1915, quando ormai erano chiari gli schieramenti delle grandi potenze, con l’Italia a fianco dell’Intesa, avviò la ricerca di un mezzo navale leggero, veloce, armato di siluri, “utile nelle ristrette acque del Golfo di Trieste
per azioni di sorpresa e di attacco”, come recitato nel requisito operativo della nuova unità. Il progetto, elaborato anche con la partecipazione della Marina, presentato nel marzo del 1915 dall’ingegnere navale Attilio Bisio, direttore della Svan (Società Veneta Automobili Navali) di Venezia, fu rapidamente approvato con l’assegnazione alla ditta veneta, già nell’ottobre dello stesso anno, di un contratto per una prima commessa di 20 unità. Successive commesse vennero suddivise fra vari cantieri nazionali tra i quali, nel gennaio del 1917, i cantieri Orlando di Livorno per 27 unità su due serie (Mas 91-102 e 218-232). Il nuovo mezzo già in sede di progetto era stato indicato con la sigla Mas, trascritta anche nelle grafie M.A.S. o Mas, col significato di Motobarca Armata SVAN, quindi Motobarca Anti-Sommergibili e anche Motobarca Armata Silurante. Erano unità di legno, pontate, di buone qualità nautiche, di dimensioni contenute, assimilabili nell’aspetto a quello di un motoscafo da turismo, di limitato pescaggio proprio per operare nelle acque basse delle lagune e nelle acque interne dell’alto Adriatico, ma idonee anche alla navigazione in mare aperto limitatamente a condizioni di mare maneggevole (massimo forza 3). L’apparato di propulsione era composto da due motori a scoppio per la navigazione in velocità e da due motori elettrici necessari per la navigazione silenziata in acque ristrette. La velocità massima, data la modesta tecnologia del tempo, non era elevata come sperava la Marina, che desiderava mezzi in grado di viaggiare a 30 nodi. Pur con tutti gli accorgimenti messi in atto nel corso delle varie commesse (alleggerimento del mezzo, nuove eliche e modifiche all’assetto portante dello scafo) la velocità massima non superò mai i 27 nodi raggiunti dagli scafi costruiti dal cantiere Orlando di Livorno. Durante l’utilizzo dei motori elettrici, la velocità era di 4 nodi. L’armamento era su due configurazioni principali, facilmente e rapidamente convertibile: silurante o cannoniero con fattore comune una torpedine da rimorchio e quattro bombe torpedini da getto (b.t.g.) in funzione antisommergibile e antinave o sei mine. Il Mas silurante aveva come arma principale due siluri montati lateralmente su telai a tenaglia e due mitragliere di piccolo calibro in funzione antiaerea, mentre il Mas cannoniero aveva un cannone di piccolo calibro montato, nel caso del tipo Orlando, su una tuga metallica (timoneria chiusa) e due armi leggere contraerei. Il Mas si rivelò da subito un mezzo molto versatile nell’impiego, un vero tuttofare: fu posamine, scorta sul mare degli idrovolanti, impiegato per infiltrazione e esfiltrazione di sabotatori a tergo della linea del fronte avversario, adibito alla vigilanza costiera, al recupero di mine alla deriva, insomma esecutore di un molteplice numero di compiti grazie, oltre alla rapida e facile convertibilità dell’armamento, alla estrema maneggevolezza e alla buona affidabilità di esercizio. Gli equipaggi erano formati da personale volontario all’imbarco, comandati da giovani ufficiali o da sottufficiali della categoria timonieri, tutti professionisti, entusiasti e coraggiosi. Man mano che i Mas entravano in servizio, venivano prioritariamente dislocati nelle basi dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Valona e Brindisi), sostituiti nel tempo da mezzi più veloci (Mas tipo Orlando). Per quanto attiene la linea di comando, i Mas dell’Alto Adriatico erano riuniti nella Flottiglia Mas Alto Adriatico, con sede a Venezia, sotto il comando del capitano di fregata Costanzo Ciano. Da Ciano dipendevano le squadriglie/sezioni dislocate a Venezia, Porto Levante, Ancona e piccoli sorgitori. Il comando Flottiglia, a sua volta, dipendeva operativamente dal comandante in capo della piazza militare marittima di Venezia, vice ammiraglio Luigi Cito. A Venezia era anche dislocata la Divisione navale Alto Adriatico comandata dal contrammiraglio Mario Casanuova, che alzava l’insegna sulla corazzata Emanuele Filiberto, e le cui unità leggere (cacciatorpediniere e torpediniere) erano anche chiamate a fornire la scorta e l’avvicinamento dei Mas nelle loro missioni sull’opposta sponda adriatica.
Nel disegno strategico dell’ammiraglio Thaon di Revel, i Mas erano “armi da adoperarsi senza risparmio e senza tema di sacrificarli, quando ricorre il momento bellico opportuno; normalmente devono invece essere tenuti pronti (quasi come il fucile alla rastrelliera) nella massima efficienza, e bisogna risparmiarli quanto più è possibile nei servizi normali”. Con questo criterio di impiego, i nuovi mezzi, pur entrati in linea a guerra già avanzata, si imposero subito come sistema d’arma vincente, adatti al bacino operativo di impiego, più rispondenti per valore di costo/efficacia al conseguimento della missione stabilita in sede di progetto. L’azione del novembre del 1917 al largo di Cortellazzo della quale il comandante Ciano fu il protagonista, il forzamento dell’ancoraggio del Vallone di Muggia conclusa con l’affondamento di una corazzata da parte del tenente di vascello Luigi Rizzo e le audaci ricognizioni portate a termine fino al febbraio del 1918 all’interno delle basi navali avversarie avevano fornito sufficiente garanzie sull’efficacia del Mas e sulla maturità raggiunta dalla strategia di impiego. L’impresa di Buccari, pianificata nei primi giorni di gennaio 1918, rientrava a pieno titolo nel novero di quelle attuabili con i Mas e ben si addiceva al concetto di raid, azione da condursi con rapidità e sorpresa, espressione del concetto del “colpisci e fuggi” proprio dei reparti speciali. Scopo della missione era un’azione offensiva contro il naviglio militare e mercantile presente all’interno della baia di Buccari ed eventualmente a Porto Re, una vicina insenatura. La baia, un profondo budello di circa 20 miglia ben addentro la costa dalmata era raggiungibile con una navigazione di almeno 50 miglia in acque ristrette tra le maglie della difesa costiera austriaca. La direzione dell’operazione fu affidata al contrammiraglio Casanuova, che esercitava la funzione di comando a bordo dell’Emanuele Filiberto, mentre le funzioni di comando e controllo tattico erano assegnate al comandante Ciano, che a bordo del Mas 96 doveva condurre l’attacco con i sezionari Mas 94 e 95. L’operazione era articolata su una serie di azioni tra loro correlate, finalizzate al sicuro e occulto trasferimento dei Mas nell’area dell’obiettivo e alla loro protezione. I mezzi dovevano essere trasferiti a rimorchio dei cacciatorpediniere del Gruppo Animoso (Animoso, Audace e Abba) sino a sud dell’isolotto della Galiola (Punto O) e successivamente delle torpediniere del Gruppo 18 OS (18 OS, 13 OS e 12 PN) sino alle acque interne tra l’Istria e l’isola di Cherso (Punto A). La protezione era affidata alle unità del Gruppo Aquila (esploratore Aquila, cacciatorpediniere Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardito e Ardente) dislocate con anticipo alla fonda a Porto Levante e a due sommergibili (F 5 e F 3) in agguato rispettivamente davanti a Pola e a Sud del Punto O per prevenire e contrastare la possibile uscita di forze austriache e rinforzare la difesa nel momento più delicato del trasferimento del rimorchio.Inoltre il Gruppo Animoso, una volta rilasciati i rimorchi, doveva rimanere in zona in attesa dei Mas in fase di rientro. La missione doveva svolgersi in assoluto silenzio radio, da derogarsi solo in caso di avvistamento di forze nemiche. La riuscita dell’operazione dipendeva sostanzialmente dal conseguimento della sorpresa, vincolata alla situazione meteo e condizionata dalla fase lunare. Date le non buone condizioni del tempo per tutto il mese di gennaio, l’operazione non poté avere esecuzione se non nel mese successivo e con le varianti imposte dalle circostanze. L’inizio dell’operazione fu stabilito per il 10 febbraio. Pochi giorni prima, una ricognizione aerea su Buccari aveva riportato l’assenza di ostruzioni all’ingresso della baia, la presenza di quattro unità alla fonda, probabilmente una da guerra, e l’assenza di bersagli a Porto Re. La ricognizione era stata completata con un passaggio sulla base di Pola, dove erano riscontrate presenti tutte le unità maggiori. Gli equipaggi dei MAS, dieci uomini per unità, erano formati per la maggior parte da veterani. Il capitano di fregata Costanzo Ciano aveva preso imbarco sul Mas 96 comandato dal capitano di corvetta Luigi Rizzo, con il maggiore di cavalleria Gabriele d’Annunzio marinaio motonauta volontario; il Mas 94 era comandato dal sottotenente del Corpo Reale Equipaggi Andrea Ferrarini, mentre il Mas 95 era al comando del tenente di vascello Profeta De Santis. Alle 11 di martedì 10 dicembre i MAS in linea di fila lasciavano l’ormeggio della Giudecca portandosi fuori del canale del Lido dove furono presi a rimorchio dalle unità del Gruppo Animoso per procedere sulle rotte e alle velocità prescritte fino a Sud della Galiola (Punto O). Durante la navigazione sottocosta la nebbia divenne molto fitta diminuendo in mare aperto; la brezza leggera che da libeccio aveva girato col sole a ponente e quindi a nord ovest, alzava leggermente il mare dopo il tramonto. Sul Punto O il rimorchio venne trasferito alle torpediniere del Gruppo 18 OS, che avvicinarono i Mas fino a 15 miglia dall’ingresso della baia di Buccari, nel punto più stretto del canale fra l’isola di Cherso e l’Istria (Punto A). Poi lasciarono rapidamente il Golfo del Quarnaro per il rientro a Porto Corsini e quindi a Venezia. Sul Punto O i Mas, completata alle 22.15 l’operazione di rilascio dei rimorchi, utilizzarono i motori termici a bassa velocità in linea di fila serrata (a portata di voce) fino a 300 metri dall’ingresso della baia, procedendo quindi con i motori elettrici. Erano le 00.35 di mercoledì 11 febbraio. Il tempo era bello, la visibilità buona e la foschia alta in diradamento quando le unità all’ingresso della baia a lento moto penetrarono all’interno tenendosi a ponente per nascondersi nell’ombra dell’alta costa raggiungendo inosservati l’estremo nord della baia. L’ombra della costa alta rendeva il riconoscimento dei bersagli non agevole ma furono comunque identificati quattro mercantili su due file: verso nord, in linea per sud est, tre piroscafi da carico, Chlumetzky, Burma e Visegrad, e più a sud, sottocosta di ponente, il piroscafo da passeggeri Bellona. Il comandante Ciano assegnò al Mas 96 il bersaglio più a nord, al Mas 94 i due piroscafi immediatamente a sud e al Mas 95 quello a ponente. Alle 01.20 i Mas, portatisi in posizione di lancio, lanciarono a breve intervalli i sei siluri di dotazione. Delle sei armi lanciate fu udita solo un’esplosione: nessuna di esse colpì i bersagli. L’allarme generale destato dall’esplosione del siluro, reso manifesto dal movimento lungo la costa di luci e dall’accensione di proiettori, consigliò a Ciano di non indugiare e a prendere la via del rientro. Fu in questa fase che il marinaio volontario motonauta Gabriele d’Annunzio abbandonò nelle acque più interne della rada tre bottiglie sigillate, galleggianti, ornate con nastri dei colori nazionali e contenenti al loro interno un messaggio inneggiante alla “beffa di Buccari”. Un quarto d’ora dopo i Mas, navigando alla massima velocità con i motori termici, uscirono dalla rada dirigendo per il ricongiungimento con i cacciatorpediniere del Gruppo Animoso, ma un’avaria ai motori del Mas 94, pur riparata in breve tempo, fece saltare l’appuntamento. Le piccole unità diressero con i loro mezzi su Ancona nel cui porto si ormeggiarono alle 07.45. Le autorità marittime austriache rinvennero nell’area dell’azione incagliati in costa, affondati sul fondo melmoso o spiaggiati quattro siluri inesplosi con la testa schiacciata; accurate investigazioni imputarono la mancata esplosione a difetto di accensione degli acciarini e non, come in un in primo momento ipotizzato dagli italiani, alla presenza di reti parasiluri a protezione dei bersagli. L’incursione dal punto di vista bellico non fu un’operazione molto significativa, perché venne fallito lo scopo di affondare le quattro navi all’ancora, ma fu importante dal punto di vista operativo perché mise in luce le facili smagliature e la mancanza di coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco. Ebbe però una grande risonanza in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele d’Annunzio che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici con il messaggio della beffa e i carmi della Canzone del Carnaro che inneggiavano all’audacia del marinaio italiano. Da porre in rilievo lo spirito aggressivo con cui operavano gli uomini dei mezzi minori della Marina, chiamati in quel frangente poco felice attraversato dalla nazione e nel ristretto bacino dell’Alto Adriatico a tenere duro, a farsi carico della lotta, a rintuzzare i tentativi offensivi avversari, a preparare e a porsi alla testa della riscossa. Il poeta d’Annunzio con la celebrazione delle imprese dei Mas, cantore del valore dei marinai in grigioverde sull’Isonzo e simbolo del coraggio degli aviatori italiani con le sue numerose imprese di volo, fu l’interprete dello spirito innovativo e dell’ardimento degli elementi più giovani della Marina, che alla fine del conflitto riterranno di essere i principali artefici della vittoria e depositari dei valori di italianità dell’Adriatico. Con questo significato e in quell’occasione il Poeta coniò per i Mas il loro motto collettivo Memento Audere Semper. Ma quale fu la fine dei tre Mas di Buccari? Il Mas 94 fu radiato dai quadri del naviglio dello Stato il 1° marzo 1937, il Mas 95 venne radiato il 22 gennaio del 1929 e il Mas 96 è conservato come cimelio al Vittoriale, a Gardone Riviera, sul lago di Garda.

Testo di Franco Prosperini pubblicato sul numero 46 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

pubblicato il 14 Settembre 2020 da admin | in Imbarcazioni a motore fino a 15 metri, Storie | tag: beffa di Buccari, Costanzo Ciano, Gabriele d'Annunzio, Luigi Cito, Mario Casanuova, Mas, Memento Audere Semper | commenti: 0

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Commenti recenti
  • Carmen Iemma 28 Aprile 2025 at 05:03 su Vini da tenere in cambusa? Queste bottiglie
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