Dalle livide acque del Mare del Nord, al largo delle coste di Abroath, nella contea scozzese di Angus, si erge una delle cosiddette Sette meraviglie del mondo industriale: il faro di Bell Rock. Costruito tra il 1807 e il 1810, la sua storia ha i toni dell’epopea. In questo tratto di mare, a circa 18 chilometri dalla terraferma, uno scoglio a pelo dell’acqua ha minacciato per secoli le navi dirette verso l’insenatura di Edimburgo, il Firth of Forth. Un luogo sinistro, subdolo, sempre pronto a reclamare le vite di innumerevoli marinai; le rocce, affilate come denti di sega, affiorano in superficie solo per poche ore durante la bassa marea, per poi celarsi in famelica attesa. Quando il gelido mare è sconvolto dalle frequenti burrasche, o la sua superficie è avvolta da nebbie impenetrabili, per il veliero che si sta avvicinando all’agognata meta, il pericolo diviene un’incombente spada di Damocle, mentre a bordo l’angoscia si fa pesante come il piombo e la paura sbrana le anime. Già nel XIV secolo l’abate di una florida comunità benedettina aveva tentato di porre un qualche rimedio al costante pericolo, installando su quella che allora era nota come secca di Inchcape una campana di bronzo, i cui rintocchi causati dal vento potessero mettere in guardia i navigatori: la sua memoria si tramanda nel nome odierno, ma la leggenda narra che fu rubata da un pirata olandese appena un anno dopo la sua posa in opera. Nei primi dell’Ottocento, si era calcolato che lo scoglio di Bell Rock fosse responsabile del naufragio di almeno sei navi ogni inverno. Quelli erano tempi in cui la navigazione in certe acque richiedeva forse più fede che abilità: durante una sola tempesta, nel 1789, al largo delle coste orientali della Scozia erano affondate quasi 70 imbarcazioni. La memoria di quell’immane tragedia, una decina d’anni più tardi, spinse un ingegnere scozzese, Robert Stevenson, a proporre la costruzione di un faro dalle caratteristiche inaudite: i notabili dell’epoca però, spaventati dal cospicuo costo dell’impresa, dalle oggettive difficoltà tecniche e, buon ultimo, dalla giovane età del progettista, allora ventisettenne, ne impedirono risolutamente l’attuazione. Fu però la tragica perdita proprio a Bell Rock della nave da guerra HMS York, affondata con tutto il suo equipaggio nella notte del 26 dicembre 1803, a far pendere la bilancia a favore dell’avveniristico progetto. Il Parlamento inglese, sconvolto dall’entità del disastro, approvò la costruzione del faro, iniziata nell’agosto del 1807 dopo la raccolta dei fondi necessari e la minuziosa verifica dei disegni.
Per la sua creatura, Stevenson in realtà si era ispirato al faro di Eddystone, costruito in mare aperto al largo delle burrascose coste della Cornovaglia tra il 1756 e il 1759 su disegno di John Smeaton. Al pari del suo illustre predecessore, il faro di Bell Rock includeva autentiche innovazioni tecnologiche come l’impiego, allora pionieristico, del cemento idraulico e di un sistema di mortase e tenoni a coda di rondine per collegare i blocchi di granito della torre, ma Stevenson apportò un considerevole numero di migliorie e accorgimenti tecnici, tra cui l’impiego di luci di posizione lampeggianti bianche e rosse. Grazie al sostegno di un collega più anziano e blasonato di lui, John Rennie, il giovane ingegnere ottenne di avere a sua disposizione ben 60 uomini e un maniscalco, il quale aveva l’oneroso compito di rifare giornalmente il filo ai picconi utilizzati per intagliare nella viva roccia dello scoglio le fondamenta del faro. Un enorme foro profondo 60 centimetri e del diametro di 12 metri venne scavato interamente a mano, perché Stevenson temeva che l’uso di esplosivo avrebbe potuto compromettere la solidità del banco roccioso semisommerso. Giorno dopo giorno, i lavori procedettero tra immani difficoltà. Durante i primi tempi, gli operai erano costretti a vivere su un barcone ancorato a circa un miglio dalla secca, sempre alla mercé delle onde e degli eventi atmosferici: poi, accanto alle fondazioni del faro venne eretta una grande struttura in legno su palafitte, che fungeva al contempo da ricovero, cucina, officina e faro temporaneo.
Anche con questo accorgimento, la squadra e lo stesso Stevenson potevano trattenersi a Bell Rock per appena quattro o cinque mesi, durante la bella stagione; il resto del tempo veniva trascorso a terra, preparando accuratamente i numerosi blocchi di granito fatti giungere da una cava nei pressi di Aberdeen. Questi – pesanti una tonnellata ciascuno – erano poi numerati, caricati su delle speciali chiatte, portati al cantiere e assemblati come un gigantesco rompicapo con l’ausilio di gru che dovevano essere smontate e rimontate di continuo, a mano a mano che il fusto dell’enorme torre si innalzava verso l’alto. Ha dell’inverosimile, se già l’intera storia non lo sembrasse, il fatto che Stevenson, per agevolare lo scarico dei blocchi e la loro movimentazione, avesse approntato una ferrovia a scartamento ridotto lunga un centinaio di metri, che collegava due moli estemporanei al cantiere vero e proprio. La fatica dei manovali era resa ancora più ardua dal cattivo tempo, che in più di un’occasione danneggiò seriamente la casa sulla palafitta. Per evitare ogni intromissione da parte di John Rennie, che visitò in una sola occasione il cantiere, Stevenson lo subissava di lettere in cui proponeva quesiti tecnici fittizi ma tanto complessi da richiede al più anziano ingegnere giorni e giorni di studio; lo smaliziato giovanotto, poi, ignorava del tutto le risposte e proseguiva secondo i suoi piani. L’importante era aver campo libero, ma anche così i lavori si protrassero per ben tre anni.
L’ultima pietra della torre cilindrica fu messa in opera nel luglio del 1810, la lanterna venne completata a ottobre, ma il faro poté diventare operativo soltanto nel febbraio dell’anno seguente. Era un capolavoro dell’ingegneria civile: composto da 2835 blocchi di pietra, alto 35 metri, la sua luce era visibile da ben 50 chilometri di distanza. Da quel lontano giorno si dimostrò tanto efficace che soltanto due navi, fino a oggi, hanno avuto la sfortuna di naufragare ancora a Bell Rock. Duecentocinque anni dopo la sua costruzione continua a scagliare il suo rassicurante dardo di luce sulle onde del Mare del Nord ed è il più antico faro off-shore al mondo ancora in attività; la solidità della muratura e la progettazione priva di qualsiasi difetto hanno fatto sì che non si sia mai reso necessario alcun lavoro di restauro. Ormai completamente automatizzato, non ospita più un guardiano dal 1988, ma continua a ergersi impavido tra i flutti, martoriato dalle tempeste. Tre dei figli di Robert Stevenson seguirono le orme paterne e divennero progettisti di fari; tuttavia suo nipote, Robert Louis, tradì le aspettative di famiglia e ruppe la tradizione. Lo si può comunque perdonare, perché divenne uno dei più celebri romanzieri di tutti i tempi: l’immortale autore de L’isola del tesoro. Dal punto di vista ingegneristico e strutturale, l’eredità del faro di Bell Rock è stata di incommensurabile importanza: nei decenni successivi e lungo tutte le coste della Gran Bretagna, sul suo modello vennero infatti costruiti diversi altri fari in mare aperto. Dal quello di Skerryvore, al largo della Scozia occidentale, a quello di Bishop Rock, lungo le coste del Devon, questi splendidi, solitari giganti hanno salvato la vita a innumerevoli marinai e continuano a essere un sicuro punto di riferimento per la navigazione in acque tormentate.
Testo di Fabio Bourbon pubblicato sul numero 90 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale.Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 25 Aprile 2024 da admin | in Fari, Storie | tag: Bell Rock, Bishop Rock, faro di Eddystone, faro di Skerryvore, Firth of Forth, HMS York, John Rennie, Robert Stevenson | commenti: 3
La storia di questo faro… degli uomini che con tanta tenacia hanno portato a compimento un miracolo mi ha commossa. Spero di poterlo visitare una volta nella vita.
Proprio oggi 31 marzo 2018, su RAI SCUOLA, ho visto tutta la storia di Robert Stevenson e sulla sua costruzione del faro. Affascinante testimone della grandezza umana al servizio del bene comune !
Ottimo articolo. Museo Militare Forte Mondascia Ch.