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La nave “uccisa” da un’esplosione
rivive grazie a un modellino

Era il settembre del 1928 quando l’amministratore della Genovese SO.RI.MA (Società Recuperi Marittimi) Giuseppe Quaglia, ricevette la commessa dei Lloyd’s di Londra di recuperare dagli abissi un tesoro di cinque tonnellate di lingotti d’oro e quarantatré tonnellate di argento stivati sulla nave inglese Egypt. Per questa missione Quaglia incaricò il capitano Giacomo Bertolotto della nave Artiglio, che si recò sul posto e, dopo numerosi rilevamenti, riuscì a individuare il relitto. I preparativi per il recupero iniziarono immediatamente, ma dopo diversi giorni vennero sospesi per l’arrivo del maltempo. Si rimandò quindi l’operazione alla primavera successiva. La società genovese inviò allora la nave Artiglio nel mare di Saint-Nazaire, nel nord della Francia, per la demolizione del relitto della nave Florence affondata nel 1917 con 150 tonnellate di esplosivo nella stiva. Il relitto poggiato sul fondo a una profondità di circa 16 metri ostacolava l’ingresso nella baia.

Un errore di calcolo costò la vita a tutto l’equipaggio

Calcolando che l’esplosivo, ormai sott’acqua da 13 anni, non fosse più reattivo, i palombari dell’Artiglio iniziarono l’opera di demolizione utilizzando a loro volta cariche di esplosivo via via più potenti. Dopo diversi falliti tentativi però l’ultima carica esplodendo attivò anche quanto restava della dinamite contenuta nella stiva di Florence. Artiglio rimasta, forse per un errore di calcolo, a una distanza insufficiente dal teatro delle operazioni, fu investita dall’immane inaspettata esplosione e distrutta. In questo tragico incidente morirono quasi tutti i membri dell’equipaggio, compresi i palombari. Il modellista Daniele Galli iniziò le sue ricerche su questa nave contattando la Fondazione Artiglio Europa con sede a Viareggio, la città di origine di tanti membri dell’equipaggio, e riuscì ad avere tutta una documentazione fotografica della nave. Tramite il Gruppo Modellistico dell’Autorità portuale di Genova, del quale Galli fa parte, ebbe una copia di una rivista francese che pubblicava una serie di tavole con disegnate le ordinate, la chiglia e diversi particolari del ponte.

Quaranta modellini in vent’anni di lavoro

Grazie a questo materiale raccolto Galli iniziò la costruzione del modello in scala 1/34. “Dal mio laboratorio ricavato in una stanza della casa in campagna in provincia di Novara”, racconta, “di modelli ne sono usciti una ventina in 40 anni. Tutti in grande scala. La passione per le barche nacque in Daniele Galli da bambino. “Allora rubavo a mio nonno, che faceva il ciabattino, gli zoccoli in legno che lui intagliava. Attratto dalle loro forme singolari, mi divertivo a immaginare che fossero piccole imbarcazioni e provavo a farle galleggiare nelle rogge della campagna della bassa Novarese”. I primi modelli risalgono a quando ancora Daniele andava alle scuole elementari. “Erano dei rudimentali motoscafi a elastico”, racconta. Con gli anni, la passione è rimasta la stessa, ma l’esperienza si è arricchita, Galli si è infatti cimentato con diversissime tipologie di imbarcazioni, costruendo modelli di pescherecci, velieri, come il Bounty e il famoso Victory di Nelson, e navi mercantili moderne come la grande petroliera Agip, lunga circa tre metri e realizzata su disegno originale da cantiere. Modelli con i quali Galli ha partecipato a concorsi e manifestazioni importanti. Da segnalare la vittoria ottenuta a un campionato italiano con un modello di dragamine funzionante e radiocomandato, costruito nei minimi particolari nell’arco di quattro anni. Ma ritorniamo all’Artiglio.

Ci sono voluti 24 mesi di lavoro per ultimare l’Artiglio

Su quel modello Galli ha lavorato oltre due anni, senza contare il tempo impiegato per le ricerche. Ci spiega Daniele: “Lo scafo è stato costruito a ordinate e fasciame, resinato sia all’interno, sia all’esterno, per evitare le solite screpolature. Per la copertura del ponte della nave ho tagliato dei listelli ricavandoli da una tavola di rovere. Si tratta di un legno particolarmente indicato per il tavolato del ponte, essendo molto ricco di venature. Per le sovrastrutture ho usato del compensato di betulla trattato con vernici per farlo durare nel tempo e non avere sorprese a modello finito. La cosa più difficile è stata costruire gli alberi. Le gru di carico dei palombari sono state tornite in alluminio mentre ho usato l’ottone per costruire le carrucole, gli argani, le maniche a vento, la chiesuola per la bussola e altri particolari visibili sul ponte. Anche l’elica è stata costruita in ottone e poi saldata con lega in argento. Per costruire la torretta butoscopica, inventata dal palombaro Alberto Gianni nel 1929, ho dovuto prima fare un disegno ricavando i particolari da vecchie foto, e poi usare il tornio. La difficoltà è stato il dover saldare sul pezzo finito gli oblò che erano usati per la visione sottomarina. Anche il fumaiolo è stato costruito in alluminio. Poi ho saldato la fascia con tutti i ganci per i tiranti in acciaio e l’ho verniciata di nero con sopra le tre fasce della bandiera italiana”.

Testo di Edgardo Facchi pubblicato sul numero 63 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini della Collezione privata George Matthews sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

pubblicato il 25 Aprile 2018 da admin | in Navi a vela & a motore | tag: Egypt, Florence, Giacomo Bertolotto, Sorima | commenti: 0

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