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Le piroghe dei pescatori lasciano la spiaggia sotto la spinta possente dei remi. I rematori lanciano le imbarcazioni il più velocemente possibile per superare la risacca creata dalle forti correnti atlantiche. Raggiunta la sommità dell’onda, le sottili imbarcazioni si impennano con la prua verso il cielo e i pescatori urlano spostandosi ritmicamente per evitare il capovolgimento. Vista dagli spalti del castello di Senya Beraku, una delle innumerevoli fortezze costruite dalle potenze europee sulle coste del Golfo di Guinea tra il XV e il XVIII secolo, la scena sembra senza tempo. Ci si sente immediatamente dentro le pagine di un romanzo di Joseph Conrad, parte di quella stessa trama che porta il personaggio autobiografico di Marlow verso il “cuore di tenebra” del misterioso Continente Nero: “Alle pagaie stavano dei negri. Di lontano si vedeva brillare il bianco dei loro occhi. Gridavano, cantavano; i corpi grondanti sudore; quella gente aveva facce come maschere grottesche; ma aveva ossa, muscoli, una vitalità selvaggia, un’intensa energia nel movimento, naturale e autentica come la risacca lungo la loro costa… Era un gran conforto stare a guardarli”. All’epoca di Conrad – Marlow erano già passati alcuni secoli da quando i bianchi avevano messo piede nell’Africa Occidentale. Era il 1471 quando alle corti europee arrivò la notizia di un vascello portoghese giunto in vista di un minuscolo villaggio di pescatori alla foce del fiume Ankobra, nell’attuale repubblica del Ghana.

I portoghesi restarono impressionati dalla quantità di oro e gioielli  indossati dagli indigeni…

Gli indigeni chiamavano Akanni, ovvero “re ricchi d’oro”, i sovrani dei regni all’interno della foresta e i portoghesi furono immediatamente colpiti dalla quantità di gioielli indossati da questi ultimi. Dieci anni dopo iniziarono la costruzione del loro primo forte in terra d’Africa. Si trattava della fortezza di San Giorgio de la Mina (oggi Elmina) che per secoli rimase il più importante insediamento europeo in Africa Occidentale.

… ma ben presto la merce più preziosa diventarono gli uomini da far lavorare nelle piantagioni americane

Ma se fu dapprima l’oro africano ad attrarre i primi conquistatori europei, la scoperta delle Americhe e il successivo bisogno di manodopera, praticamente gratuita, per le gigantesche piantagioni d’oltre oceano, ben presto spostò il tipo di commercio di materie prime: dai metalli preziosi agli uomini. Il XVI secolo vide l’arrivo in Africa di nuovi predatori con l’intenzione di contendere ai portoghesi il monopolio.

Da 10  a 15 milioni di esseri umani furono caricati come animali su vascelli negrieri

La lotta fu cruenta e in poco tempo olandesi, danesi, svedesi, brandeburghesi, francesi e inglesi costruirono oltre 40 fortezze sulle coste del Golfo di Guinea, la maggior parte delle quali si concentrò lungo una striscia di terra di poche centinaia di chilometri, con castelli che si fronteggiavano l’un l’altro. Nel corso di un paio di secoli trafficanti senza scrupoli che agivano per conto di sovrani e compagnie commerciali quali l’olandese Compagnia delle Indie Occidentali, trasportarono nel Nuovo Mondo, caricati come animali su vascelli negrieri, tra i 10 ed i 15 milioni di esseri umani.

Traffico di “legno d’ebano”: così gli europei chiamavano la tratta degli schiavi

Il traffico di “legno d’ebano”, come gli europei eufemisticamente chiamavano la tratta degli schiavi, divenne in breve tempo la principale fonte di guadagno per le “civili” nazioni europee che agivano in combutta con alcuni regni africani. Il Danxomé, per esempio, sul territorio dell’odierno Benin, perseguiva la guerra con le tribù vicine come principale elemento della propria politica economica, procurandosi così prigionieri da vendere come schiavi in cambio di armi da fuoco con cui rendere potente il proprio esercito. La città costiera di Ouidah è nota grazie alle gesta di Francisco Felix de Souza, romanzate da Bruce Chatwin ne Il Vicere di Ouidah. L’avventuriero ricevette dal re del Danxomé il monopolio del traffico degli schiavi in partenza dal suo regno che divenne perciò uno dei principali punti di imbarco, mentre la costa su cui si affacciava, si guadagnò il triste nome di Costa degli Schiavi. Ma se la tratta arricchì re e commercianti, la vita per molti bianchi d’Africa in quegli anni non era certo facile. Nessun esercito coloniale osò penetrare all’interno del Continente fino alla seconda metà dell’800. Per secoli, quindi, i forti lungo la costa furono l’unica presenza europea su un territorio ostile ed enigmatico. La vita al loro interno, quando non vi erano guerre in corso, era monotona e noiosa. I soldati e i civili erano sottoposti al potere assoluto del governatore di turno. Il rischio di malattie tropicali era altissimo e il periodo di ingaggio dei residenti europei raramente superava un anno, essendo molto breve il tempo di sopravvivenza media.

La tomba dell’uomo bianco: così venivano chiamati i territori dove gli europei non sopravvivevano a lungo

Le navi venivano trattenute alla fonda il minor tempo possibile, per non esporre l’equipaggio al pericolo di febbri e contagi in quei territori conosciuti in Europa come “la tomba dell’uomo bianco”. Anche il Marlow di Josef Conrad dà voce a questo senso di estraneità e di ostilità, ma anche di fascino e di mistero, che la costa emanava e ancora emana: “Guardavo la costa, l’orlo di una giungla colossale d’un verde così scuro da sembrare nero, bordato dalla risacca bianca. Il sole era feroce, la terra pareva luccicare e stillare vapore. Qua e là appariva un grappolo di chiazze biancastre, che forse issavano una bandiera al vento, insediamenti vecchi di secoli, eppure non più grossi di una capocchia di uno spillo sulla distesa intatta di quello sfondo. (…) Facemmo scalo in posti dal nome farsesco, dove l’allegra danza della morte e del commercio procede nell’atmosfera immobile e terrosa di una catacomba surriscaldata; lungo tutta la costa uniforme bordata dalla pericolosa risacca è come se la Natura stessa cercasse di respingere gli intrusi”. Forse per conservare ancora intatto il suo cuore…di tenebra.

Testo di Bruno Zanzottera pubblicato sul numero 62 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini di Bruno Zanzottera sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali. Per visitare il sito: www.francescorastrelli.it

pubblicato il 18 Aprile 2025 da admin | in Storie, Viaggi & Rotte nel mondo | tag: Bruce Chatwin, Bruno Zanzottera, castello di Senya Beraku, Compagnia delle Indie Occidentali, Costa degli Schiavi, Danxomé, fortezza di San Giorgio de la Mina, Francisco Felix de Souza, Golfo di Guinea, Il Vicere di Ouidah, la tomba dell’uomo bianco, Ouidah, traffico di legno d'ebano, tratta degli schiavi | commenti: 0

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Commenti recenti
  • Davide 29 Maggio 2025 at 12:17 su Crociere senza veli: in 3000 salpano
    a bordo della Carnival Freedom
    Perché l'equipaggio non sarà anch'esso in costume adamitico?
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