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Azzorre, l’arcipelago in mezzo
all’Atlantico dove emerge la fede

È uno degli arcipelaghi più solitari al mondo, quello delle Azzorre. Sperduto nell’immensità dell’Atlantico, 850 miglia nautiche lo separano a est dalle sponde del Vecchio Continente, mentre a ovest dista quasi 1200 miglia dalla Nuova Scozia. Nate in tempi geologicamente recenti dalla cruenta fuoriuscita di lava dalla crosta oceanica, le Azzorre sono avvolte da un sontuoso manto di vegetazione. Sono, infatti, spesso descritte come nove smeraldi sparsi nel grande blu dell’oceano. La genesi effusiva è palesata dagli innumerevoli coni vulcanici, dai campi di magma solidificato, dalle coste alte e dirupate, avare di approdi sicuri. Approcciandole dal mare, salvo rare eccezioni,

le isole si presentano come formidabili bastioni di rocce multicolori, strapiombanti falesie di basalto o acuminate zanne di lava nera come l’inferno. Scoperte ufficialmente nel 1427 da uno dei capitani al servizio del re portoghese Enrico il Navigatore, le Azzorre vennero in seguito popolate da immigrati provenienti per lo più dalle province dell’Algarve e dell’Alentejo: anche per questa ragione, qui si producono ancora oggi vini eccelsi.

Gli abitanti delle Azzorre sono più contadini che pescatori

I nuovi arrivati erano in gran parte contadini, gente abituata a maneggiare una zappa piuttosto che un remo o la barra di un timone. Anche i coloni giunti in seguito dalle Fiandre e dalla Francia settentrionale erano fatti della medesima pasta, e infatti, ancora oggi, a Ponta Delgada – capitale amministrativa dell’arcipelago – è più facile gustare una buona bistecca, anziché un trancio di tonno. D’altra parte, è facile capire le ragioni di questo paradosso: agli occhi degli azoregni, l’oceano è sempre apparso sconfinato, ostile, dall’umore bizzoso e imprevedibile. La grande distesa d’acqua spesso s’infuria e, anche col cielo sereno, le mareggiate possono diventare molto violente. Fin dai primi tempi della colonizzazione gli abissi hanno spietatamente reclamato le loro vittime sacrificali; quasi in ogni porticciolo una lapide o un cippo sono istoriati coi nomi di innumerevoli uomini periti tra i flutti, talvolta durante un’estenuante battuta di caccia alla balena. Conclusasi nel 1987, questa pratica è ancora ricordata con timore reverenziale e rispetto dagli isolani; su Flores, qualche anno addietro, una donna, ricamatrice abilissima, raccontava ancora di come il marito si ruppe la schiena mentre la sua barca lottava con un capodoglio.
Tutt’oggi, quando prendono il largo sui loro “gusci di noce”, i pescatori ripongono le loro speranze, per un sicuro ritorno a casa, nella conoscenza delle correnti, nei fari sparsi lungo i litorali e nella fede; proprio per questo, molte sono le imbarcazioni intitolate alla Vergine, o al Cristo Salvatore, o a un particolare santo.

Gli Imperios colpiscono sempre

Questa fede popolare, insita nella natura stessa degli isolani, prende forme spontanee e suggestive, di modo che chiese, cappelle e cippi votivi costellano il paesaggio di ogni isola. La spiritualità locale si manifesta in maniera del tutto peculiare negli Impérios, singolari edifici sacri eretti per dimostrare profonda devozione allo Spirito Santo. Questo culto – influenzato dal millenarismo mistico di Gioacchino da Fiore e dal francescanesimo – fu introdotto sulle Azzorre sul finire del Quattrocento ed ebbe grande diffusione, mentre nel Vecchio Continente era stato avversato dalla Chiesa, che aborriva il presupposto secondo il quale le gerarchie religiose fossero del tutto inutili. Nello sperduto arcipelago, al contrario, la gente aderì con entusiasmo a un culto in grado di rendere meno dure le terribili calamità naturali rappresentate dai terremoti e dalle feroci e ricorrenti tempeste oceaniche. Su ciascuna delle nove isole le varie comunità locali sono ancora oggi organizzate in Irmandades, o confraternite, che si raccolgono periodicamente attorno all’Império, eretto grazie all’impegno comune e dove vengono custodite le immagini sacre, i reliquiari, gli addobbi e i gonfaloni utilizzati durante le processioni. Qui si svolgono anche i servizi religiosi associati alla festività della Pentecoste (la festa dello Spirito Santo, appunto) e vengono distribuite ai più bisognosi le offerte portate dalla comunità. Un tempo, questi atti di carità garantivano la sopravvivenza delle vedove e dei figli dei marinai periti in mare, nonché dei balenieri uccisi nell’epica lotta contro i capodogli.

Popolazioni accomunate dallo Spirito. Santo

Anche per questa ragione, sulle Azzorre, il culto dello Spirito Santo ha sempre agito da collante sociale e ha permeato l‘esistenza delle comunità locali di un egualitarismo e una solidarietà altrove impensabili. L’architettura degli Impérios do Divino Espírito Santo varia da isola a isola, dai semplici edifici imbiancati a calce sull’isola di Santa Maria, alle grandi cappelle dalle elaborate facciate sormontate da una vistosa corona, tipiche di Terceira. Su quest’isola, in particolar modo, assumono aspetti fantasiosi e sono dipinti con colori rutilanti, specchio dell’anima latina degli isolani, influenzata dalla dominazione spagnola della metà del Seicento. Decorati dalla stravagante immaginazione degli artisti popolari, addobbano l’isola e, con il loro aspetto, gioioso rallegrano anche le migliaia di visitatori, provenienti da un mondo in cui è rimasto ben poco spazio per la spiritualità.

Testo di Fabio Bourbon, pubblicato sul numero 80 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

pubblicato il 13 Ottobre 2014 da admin | in Storie, Viaggi & Rotte nel mondo | tag: caccia alle balene, culto dello Spirito Santo, Enrico il Navigatore, Imperios | commenti: 0

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