Oceano Indiano, Isole Cocos, sperduto protettorato britannico a metà strada tra l’Australia e l’isola di Ceylon. 9 novembre 1914, ore 6 e 20 del mattino. I marconisti a bordo di diverse unità da guerra e mercantili dell’Intesa, che incrociano in quelle acque, intercettano segnali in un codice sconosciuto. Pochi istanti dopo giunge una richiesta dalla stazione radio britannica situata nel solitario arcipelago: “Cos’è questo codice?”. Ancora non lo sanno, ma gli operatori radio hanno captato una comunicazione criptata inviata dall’incrociatore leggero SMS Emden, della marina imperiale tedesca, alla nave carboniera di appoggio Buresk; l’ordine è di raggiungere la nave da battaglia nel piccolo porto di Point Refuge, dove dovrà avvenire il rifornimento di carburante.
Poco più tardi, le Cocos segnalano: “Una nave da guerra nemica si sta avvicinando”. L’incrociatore tedesco è ormai diventato una spina nel fianco per l’Ammiragliato britannico e per gli alleati; il conflitto è divampato nei primi giorni da agosto, ma in pochi mesi il comandante Karl von Müller e il suo equipaggio hanno già seminato il terrore tra le marine dell’Intesa.
Al momento della crisi di luglio del 1914, lo Emden era infatti l’unico degli incrociatori della Ostasiengeschwader (Squadra dell’Asia orientale) a essere regolarmente di base a Tsingtao, colonia della Germania lungo la costa settentrionale della Cina e principale porto tedesco sul Pacifico. Salpato alle prime avvisaglie dell’imminente guerra, lo scaltro von Müller aveva intercettato un piroscafo russo al largo della Corea già il 4 agosto, appena due giorni dopo l’inizio delle ostilità. Il giorno seguente, il comandante in capo dell’Ostasiengeschwader, l’ammiraglio Maximilian von Spee, aveva dato ordine alle unità della sua squadra di ricongiungersi all’isola di Pagan, nelle Marianne; poiché il Giappone, alleato dell’impero britannico, era in procinto di dichiarare guerra alla Germania, sapendosi braccato von Spee aveva deciso di concentrare tutte le sue unità e di fare rotta per il Sud America, da dove sperava di riguadagnare la via per la Germania e nel frattempo disturbare le flotte avversarie. In quei drammatici frangenti, von Müller propone all’ammiraglio di operare invece in maniera indipendente, andando ad attaccare i mercantili nemici in direzione opposta a quella che avrebbe preso von Spee, facendo rotta verso l’oceano Indiano. L’ammiraglio acconsente e von Müller inizia la sua personale guerra di corsa; camuffata la nave in modo da farla assomigliare a un incrociatore leggero britannico, il comandante tedesco ai primi di settembre conduce lo Emden nel golfo del Bengala e in breve intercetta quattro unità britanniche.
Perfetta incarnazione dell’ufficiale prussiano ligio ai dettami dell’onore, Müller si attiene scrupolosamente alle norme internazionali in materia di guerra navale: i navigli avversari sono presi d’assalto, evacuati dall’equipaggio e affondati tramite una carica esplosiva posizionata nello scafo. Uno di essi viene invece adibito a nave prigione per i marinai catturati. Questa sarà la prassi nella guerra personale del capitano di fregata Karl von Müller, classe 1873, a tal punto che gli stessi prigionieri, prima di essere rimandati a terra liberi, non mancheranno mai di congratularsi con i tedeschi per il loro nobile comportamento. In pochi giorni lo Emden intercetta, cattura e affonda altri due piroscafi britannici; un mercantile norvegese, quindi neutrale, viene abbordato e al comandante si chiede di prendere a bordo gli equipaggi delle due navi appena affondate. Sempre più determinato, nella notte del 22 settembre von Müller entra nel porto indiano di Madras e cannoneggia i depositi di carburante britannici, causando uno shock immenso tra gli avversari, che non sanno quali contromisure attuare. Spavaldo, intelligente, freddo, determinato, von Müller fa rotta verso Ceylon, continuando ad affondare un mercantile via l’altro; addirittura, giunge a catturare la carboniera Buresk e, sostituitane l’equipaggio con parte dei suoi marinai, la adibisce a propria unità di appoggio. Dopo una sosta tecnica all’isola di Diego Garcia, lo Emden – fatte altre sei vittime – fa rotta verso il porto di Penang, lungo la costa nord-occidentale della Malesia britannica. All’alba del 28 ottobre, camuffato con un quarto fumaiolo posticcio per sembrare un incrociatore leggero britannico e battendo la White Ensign della Royal Navy, l’incrociatore tedesco si avvicina alla sua preda; issata la bandiera tedesca, va all’attacco e – dopo un violento cannoneggiamento e il lancio di un siluro – affonda l’incrociatore russo Zemcug. Uscendo dalla rada lo Emden intercetta il cacciatorpediniere francese Mousquet, in rientro a Penang, e in breve lo trasforma in un relitto avvolto dalle fiamme. Incredibilmente, von Müller ordina di fermare le macchine e di recuperare i superstiti, prendendo a bordo un ufficiale e 35 marinai francesi; fatto ancora più straordinario, due giorni più tardi l’incrociatore tedesco ferma il piroscafo britannico Newburn e vi carica a bordo gli uomini del Mousquet.
Le forze dell’Intesa sono ormai nel panico, ma il vento sta per cambiare: von Müller ha infatti deciso di far rotta verso le isole Cocos (oggi anche note come Keeling Islands), dove intende distruggere la locale stazione radio britannica, per poi proseguire la sua rotta nell’Oceano Indiano. Nessun nemico è in vista e il comandante fa scendere a terra una squadra di assaltatori, comandati dal tenente di vascello Hellmuth von Mücke. I britannici si accorgono però dell’attacco e fanno in tempo a inviare una richiesta di soccorso, miracolosamente captato dall’incrociatore leggero australiano HMAS Sydney: l’unità si trova appena 52 miglia nautiche più a nord, di scorta a un convoglio che trasporta truppe australiane. I tedeschi intercettano a loro volta le comunicazioni del Sydney, ma reputano erroneamente che si trovi più lontano.
Alle 9 e un quarto del mattino, il Sydney, che avanza a tutta velocità, avvista lo Emden a circa nove miglia di distanza; l’unità tedesca apre immediatamente il fuoco, ma le sue salve sono corte. I cannonieri dello Emden aggiustano però il tiro e nei successivi dieci minuti l’incrociatore australiano si trova sotto un fuoco sostenuto, con le salve tedesche che arrivano al ritmo di un colpo ogni sei secondi. In quell’inferno muoiono sul colpo quattro marinai e altri 15 restano feriti, ma il Sydney è avvantaggiato dalla sua maggiore velocità e dal calibro superiore dei suoi cannoni; i suoi colpi iniziano a centrare l’obbiettivo e in pochi minuti la situazione si capovolge. I proiettili distruggono il timone dello Emden, demoliscono i telemetri e mandano in pezzi il sistema di comunicazioni tra la torre di comando e i posti di tiro; pochi attimi e un cannone viene centrato in pieno, così come uno dei fumaioli, mentre l’impianto elettrico cessa di funzionare.
Nonostante i danni disastrosi e l’inevitabile fine, von Müller continua lo scontro fino a che – quando ormai metà dell’equipaggio è stato annientato – solo più l’ufficiale di tiro e alcuni uomini ancora illesi restano ai pezzi. Infine, con la sala macchine in fiamme, von Müller dà ordine di far incagliare l’incrociatore sulla spiaggia dell’isola di North Keeling, per permettere agli scampati di mettersi in salvo. Poiché l’unità tedesca innalza ancora la bandiera di guerra, gli australiani riaprono il fuoco, al che Müller fa sventolare bandiera bianca e i tedeschi si consegnano agli avversari. Ben 131 di loro, tra ufficiali e marinai, sono rimasti uccisi e 65 feriti. Questi saranno condotti in Australia, mentre il resto dell’equipaggio, tra cui il capitano Müller, che non è potuto affondare con la sua nave, verranno tradotti in un campo di prigionia nell’isola di Malta. Karl von Müller, uno degli ultimi corsari, ritornato in patria ormai minato nella salute, morirà nel 1923 quarantanovenne, non prima di aver ottenuto la promozione a capitano di vascello e la croce Pour le Mérite, la massima onorificenza dell’Impero tedesco. Una storia d’altri tempi, e, forse, di un altro mondo.
Ma a distanza di un secolo, desta ancora emozione leggere l’ultimo dispaccio inviato dal comandante dell’incrociatore australiano Sydney al comandante tedesco Karl von Müller: “Signore, ho l’onore di chiedervi, nel nome dell’umana compassione, che voi mi concediate la resa della vostra nave. Al fine di mostrarvi quanto io apprezzi la vostra cavalleria, voglio qui riassumere la situazione. Voi siete arenati, con tre fumaioli e un albero distrutti e gran parte dei cannoni fuori uso. Non potete lasciare l’isola, mentre la mia nave è intatta. Nel caso di una vostra resa, evento che, mi permetto di ricordarvi, avverrà non per vostro disonore quanto per sfortuna, io mi sforzerò di fare quanto possibile per i vostri feriti e di condurli in un ospedale. Ho l’onore di essere, Signore, servo vostro. John C. T. Glossop”. È da notare che l’incrociatore Sydney presenziò alla resa della flotta tedesca il 21 novembre 1918; inoltre, l’unità ricevette l’onore di battaglia per la sua condotta durante l’affondamento dello Emden, uno dei tre soli onori di battaglia per azioni nave-contro-nave assegnati durante il XX secolo.
Testo di Fabio Bourbon, pubblicato sul numero 83 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 10 Ottobre 2014 da admin | in Personaggi, Storie | tag: corsari, Fabio Bourbon, incrociatore Sydney, isole Cocos, Karl von Müller, SMS emden | commenti: 0Just Peruzzi, "Il ristorante panoramico più bello d’Italia" - Corriere della SeraVi aspettiamo per accogliervi in quello che il Corriere della Sera ha definito come "Il ristorante panoramico più bello d’Italia"
Pubblicato da Just Peruzzi su Martedì 30 aprile 2024