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Il viaggio sul veliero che cambiò
la vita di Benjamin Franklin

Benjamin Franklin, il padre della futura Confederazione degli Stati Uniti, aveva 17 anni quando salì per la prima volta a bordo di un veliero, in rotta da New York a Filadelfia, in cerca di lavoro. Fu un viaggio che cambiò la sua vita: appena sbarcato dalla nave, lo vide Deborah Read, bagnato dalla testa ai piedi,  così “scarmigliato e sudicio” che mai avrebbe pensato di sposarlo, come invece avvenne sette anni dopo; trovò anche lavoro come apprendista stampatore e gli rimase nel cuore quella breve ma intensa esperienza sul mare. Benjamin si dimostrò subito tagliato per il suo nuovo lavoro, al punto che il Governatore della Pennsylvania promise di aiutarlo se, vista la sua esperienza marinara, si fosse recato in Inghilterra ad acquistare nuovi caratteri e attrezzature per la stampa. Fu così che venerdì 22 luglio 1726, il ventenne Franklin lasciò Londra a bordo di un veliero in rotta per l’America: sarà uno dei numerosi viaggi attraverso l’oceano che caratterizzeranno la sua vita, di uomo d’affari prima, di politico abile e raffinato poi.

Durante gli 80 giorni di viaggio scrisse un diario che iniziava sempre col bollettino nautico…

Degli 80 giorni di questa traversata ci ha lasciato un diario di grande interesse, che ora proviamo a sfogliare insieme. Si capisce subito che “Ben” si sente uno dell’equipaggio: non c’è pagina del suo diario che non inizi con il bollettino nautico con aggiornamenti quotidiani sulle condizioni del vento e del mare. La sua partecipazione all’evolversi delle situazioni meteorologiche, così come alla possibilità della nave di affrontarle, è totale e, giorno dopo giorno, cresce anche la sua capacità di capire le difficoltà del capitano e dell’equipaggio e di affinare il proprio linguaggio marinaresco. Nemmeno un accenno, viceversa, sulla sua sistemazione a bordo. Per quasi 20 giorni il veliero continua a bordeggiare intorno a Cowes e all’isola di Wight in attesa del vento favorevole, consentendo ai 21 passeggeri frequenti discese a terra. Poi, finalmente, via verso il mare aperto.

Neppure le tempeste più violente lo spinsero a usare toni drammatici nel racconto

Il racconto di Franklin non è mai drammatico, neanche quando la nave si imbatte nelle tempeste, e dobbiamo supporre che ne incontrasse parecchie, specie in quella stagione. “La scorsa notte ci sono stati vento forte e nebbia fitta” è il suo resoconto distaccato ed essenziale del 24 settembre. Quattro giorni dopo annota con diligenza “tempo e vento variabili, con abbondanti rovesci di pioggia; e ora il vento si è rimesso da occidente, ma dobbiamo avere pazienza”. Finalmente si lascia andare a qualche annotazione più emozionata: “Verso le sei di mattina si è scatenato un vento furioso da tutti i punti della bussola, accompagnato dal più violento rovescio di pioggia che abbia mai visto, tanto che il mare sembrava un piatto di panna”.

La più grande emozione? Incrociare un’altra nave e compiere insieme un tratto di mare

Ma per Ben e i suoi compagni di viaggio le vere emozioni sono altre, come incrociare un’altra nave che procede in senso inverso o segue la stessa rotta. Allora sì che è festa: scambi di cortesie (e di informazioni) fra i capitani, reciproci inviti a cena, regolazione delle velature dei velieri per non distanziarsi troppo l’uno dall’altro. “C’è qualcosa che stranamente rallegra l’animo nell’incontro in mare con un’altra nave, carica di creature della nostra stessa specie, e nelle nostre stesse condizioni, …dopo aver passato molto tempo in balìa dell’immensità dell’oceano, senza mai vedere terra né altre navi se non noi stessi e qualche uccello marino”. Anche la vita di bordo offre interessanti diversivi: mare e vento permettendo, si gioca a carte. Ma ecco che viene sorpreso un baro; è un olandese e non capisce l’inglese. Si forma subito una corte di giustizia per valutare la colpa e la pena del reo che tenta di difendersi nella sua lingua, ma la giuria è inflessibile e, anzi, alza la voce sul malcapitato. Franklin acutamente osserva che “riteniamo privo di intelligenza chi non parla la nostra lingua e che quando rivolgiamo qualche parola in inglese a uno straniero, lo facciamo ad alta voce, come se fosse sordo”. Alla fine l’olandese viene condannato a restare 3 ore legato sulla coffa, esposto al ludibrio di tutti e a pagare 2 bottiglie di brandy. Anche il cambusiere verrà legato all’albero e frustato “per aver sprecato farina facendo dei pudding”.

Dopo 60 giorni di navigazione il pranzo si riduce a un po’ di pane e biscotti …

E a proposito di cambusa, questa non doveva essere proprio ricca se dopo 60 giorni di navigazione viene razionato il pane e i biscotti (2 e mezzo a testa al giorno). Ma si tenta di rifarsi con la pesca. La caccia preferita è quella ai delfini (orrore!) che forse più fiduciosi degli altri pesci si lasciano catturare con relativa facilità. Ben fa un po’ lo schizzinoso all’inizio (“hanno un sapore mediocre”), ma dopo due mesi e mezzo di vita di bordo annuncia trionfante “abbiamo preso tre bei delfini, che costituiranno un magnifico banchetto!”.

… e alla fine il banchetto con carne di delfino da mediocre di trasforma in ottimo

C’è un momento in qualsiasi traversata in cui si incomincia a pensare all’arrivo e si analizzano, impazienti, mille indizi rivelatori della terra ormai vicina. L’acqua, ecco, l’acqua ha proprio cambiato colore; è evidente che il fondo del mare sta risalendo verso la costa. No, era solo una secca. Gli uccelli, sì gli uccelli sono diversi da quelli d’alto mare, non vedi come sono esausti: altro falso allarme.

È possibile che il continente americano sia stato sommerso dall’oceano dopo la nostra partenza?

Il capitano stima di trovarsi a 100 leghe dalla costa e c’è un bel vento favorevole che imprime alla nave una grande velocità, ma dopo molte ore il mare è ancora così profondo che lo scandaglio è inutile. La delusione si mescola con un po’ di disperazione: “ma non è possibile che il continente americano sia stato sommerso dall’oceano dopo la nostra partenza!”. Finalmente viene incrociato un veliero partito da New York il giorno prima: è la prova definitiva. Il giorno dopo, il 9 ottobre, il fondo misura solo 25 braccia e un uomo, salito sulla coffa a scrutare l’orizzonte lancia il grido liberatorio “terra, terra!”. Quanta emozione è contenuta nella semplice ed austera osservazione di Beniamino Franklin: “La campagna ha un aspetto piacevole ed è coperta da boschi, a eccezione di piccole fattorie. Sia ringraziato Iddio!”.

Adattamento per mareonline del testo di Giorgio Grosso pubblicato sul numero 39 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini d’archivio sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.

 

pubblicato il 25 Maggio 2017 da admin | in Personaggi, Storie | tag: Benjamin Franklin | commenti: 1
  • Laura ha detto:
    1 Aprile 2014 alle 06:09

    Posso chiedere alla redazione di Mareonline e di Arte Navale dove posso trovare altri articoli dedicati a personaggi storici e alla navigazione scritti dal professor Giorgio Grosso (piacevole da leggere come pochi altri…) Grazie.

    » Rispondi
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    Commenti recenti
    • Davide 29 Maggio 2025 at 12:17 su Crociere senza veli: in 3000 salpano
      a bordo della Carnival Freedom
      Perché l'equipaggio non sarà anch'esso in costume adamitico?
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