Ancora prima della proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta a Torino il 17 marzo1861, la Marina aveva già compiuto il suo processo di unificazione. L’instancabile Conte di Cavour, il Grande tessitore dell’Unità d’Italia, già il 4 aprile 1860 aveva emanato un decreto che integrava uomini e mezzi della Marina Toscana con la Marina Sarda. A questo decreto ne seguì un altro, il 7 settembre1860, da parte di Garibaldi che, in funzione di direttore delle province meridionali, disponeva la fusione delle Marine Napoletana e Siciliana con quella del Re d’Italia. Senza perdere tempo Cavour sancì l’unificazione delle Marine preunitarie con un nuovo decreto del 17 novembre 1860
che può essere considerato l’atto di nascita della Regia Marina. Fatta l’Italia, com’ebbe a dire Ferdinando Martini, bisognava ora fare gli italiani. E per la Marina il problema erano gli ufficiali italiani. Non fu così semplice. Le due principali potenze marittime, le Marine Sarda e Borbonica, avevano antiche e proprie tradizioni e una storica rivalità. Quando dopo l’unità politica e territoriale si dovette necessariamente passare all’unificazione pratica uniformando aspetti sostanziali, come le leggi e i regolamenti, ma anche più semplicemente formali, sorsero subito grossi problemi.
Era stato disposto che tutti gli ufficiali confluissero nei ruoli della Marina sarda, conservando il grado e l’anzianità che avevano al 30 settembre 1860, ma su 150 ufficiali della Marina napoletana, ben 66 si rifiutarono di passare in quella Sarda e preferirono rassegnare le dimissioni. A parte le evidenti diversità etniche e caratteriali tra liguri-piemontesi e napoletani-siciliani, c’era una profonda differenza culturale dovuta alla diversa formazione ricevuta nelle rispettive Scuole, la Reale Accademia di Marina di Napoli e la Regia Scuola Militare di Marina di Genova. Quest’ultima dava agli allievi un indirizzo sostanzialmente pratico; gli ufficiali che uscivano da Genova magari non avevano grande dimestichezza con le belle lettere, ma sapevano tutto del mare e delle loro navi. Da Napoli uscivano invece raffinati gentiluomini che parlavano in inglese e francese, che amavano il teatro e la musica, che si esercitavano nella scherma e nella danza. Differenze poi aggravate dal fatto che gli ufficiali della ex Marina sarda si consideravano la parte eletta della nuova Marina italiana e ostentavano questa loro superiorità sugli altri. Cavour sapeva che era necessario arrivare a un unico istituto di formazione per gli ufficiali della Marina unitaria, ma dopo aver constatato che le due scuole erano «un conglomerato di parti diverse, contrastanti e ripugnanti fra loro», rimandò la fusione a tempi migliori.
Solo nel 1868 il ministro della Marina Augusto Riboty tentò una riforma. Questa prevedeva la costituzione di un’unica Scuola di Marina ripartita in due sedi e due Divisioni: a Napoli si sarebbero compiuti i primi due anni di corso, a Genova gli ultimi due, con l’evidente vantaggio di fare studiare gli allievi tutti insieme e di favorirne la fratellanza. Rimanevano però inconvenienti di carattere pratico per le complicazioni amministrative e le maggiori spese di gestione, e di carattere educativo per la sopravvivenza di due diverse concezioni di intendere la disciplina e l’insegnamento. Riboty se ne era reso conto, tanto che nel suo decreto auspicava l’emanazione di una Legge organica che riunisse tutti gli allievi in un unico Istituto. Negli anni che seguirono si succedettero governi, ministri e progetti e dopo una serie di varie proposte nelle quali fu avanzata la candidatura di La Spezia come sede della nuova Scuola, si arrivò finalmente al 1876, quando fu chiamato al dicastero della Marina l’Ispettore Generale del Genio Navale Benedetto Brin. Il grande riformatore, al quale si deve la ricostruzione della potenza navale italiana uscita a pezzi dopo Lissa (1866), prese di petto l’ormai annosa questione della scuola unica e presentò un progetto di costruzione della nuova Accademia a Livorno, sul sito del lazzaretto di San Jacopo in Acquaviva, dismesso dal suo utilizzo nel 1861 e passato al Ministero della Guerra che l’aveva dato in consegna alla Direzione del Genio Navale di Firenze. A Livorno, porto principale della Toscana, aveva pensato anche Cavour per la sua posizione geografica e per le vecchie tradizioni marinare che ne facevano un punto ideale di incontro geografico e culturale tra Nord e Sud. La scelta di Livorno fu approvata all’unanimità prima dal Consiglio Superiore di Marina e poi dalla Commissione parlamentare incaricata di esaminare il progetto. Superato il voto della Camera e del Senato, il progetto Brin fu reso operativo con la Legge 16 marzo 1878. Il 9 agosto dello stesso anno il lazzaretto di San Jacopo fu ceduto alla Marina e un mese dopo iniziarono i lavori di demolizione e di ricostruzione che furono portati a termine entro la fine di settembre del 1881.
Il 6 novembre l’Accademia Navale fu inaugurata solennemente alla presenza del Principe Tomaso di Savoia, Duca di Genova, allora Capitano di Vascello, in rappresentanza della famiglia reale. Il Principe giunse a Livorno accompagnato dall’Ammiraglio Andrea del Santo che assunse il primo comando dell’Accademia. Il giorno dopo, 7 novembre, iniziavano i corsi. Si realizzava così il sogno di Cavour di un’unica Scuola Navale, un istituto – ha scritto Galuppini – «espressione del più elevato concetto unitario perseguito per circa vent’anni, che doveva divenire il centro morale della Marina, avvenire e forza dell’Armata navale».
Testo di Riccardo Magrini, foto Archivio Accademia Navale e Livio Burbon, pubblicato sul numero 47 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. È fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 20 Febbraio 2015 da admin | in Storie | tag: Augusto Riboty, Benedetto Brin, Regia Marina | commenti: 0