Al termine della Grande Guerra, la nuova borghesia emergente, la cosiddetta middle class, avrebbe preso il sopravvento come ceto di riferimento sulla nobiltà e l’alta borghesia europee, la cui staticità e il cui tradizionalismo cristallizzato nel tempo mal si addiceva al nuovo stile di vita, più solare e dinamico, che avrebbe caratterizzato i ruggenti Anni 20. Anche l’inaspettato boom del turismo nell’Europa del primo dopoguerra avrebbe dato una spallata al conservatorismo europeo, con migliaia di reduci americani che facevano ritorno nel Vecchio Mondo, con familiari e amici, per mostrare loro i luoghi dove avevano combattuto e che, nonostante le circostanze, dovevano avere esercitato su di loro un fascino particolare. La rotta dei transatlantici italiani contribuisce non poco all’idea del viaggio per mare, della traversata, come una crociera di piacere. Le navi inglesi, tedesche e francesi, che salpano dal Nord Europa per New York e percorrono una rotta caratterizzata spesso da climi proibitivi per la maggiore vicinanza al circolo polare artico, hanno ponti all’aperto di dimensioni contenute e nessuna attrezzatura balneare. È il 1930 che segna, nell’era contemporanea, i primi avvenimenti sportivi internazionali di rilievo mondiale nei quali i transatlantici giocano il loro ruolo. “È arrivato ieri un gigante italiano; 6 piedi e 8,5 pollici per 284 libre; letto speciale per contenere l’ingombrante macchina da combattimento umana; 7 dollari e 50 cent per risuolargli le scarpe.”
Con questo titolo sensazionalista, il New York Times del primo gennaio 1930 dava l’annuncio dell’arrivo nella metropoli americana di Primo Carnera. Il privilegio di trasportare per la prima volta oltre Atlantico la “macchina da combattimento” toccò all’ammiraglia della flotta mercantile britannica, il prestigioso transatlantico Berengaria della Cunard Line. Il manager francese di Carnera, Léon Sée gli aveva proposto di viaggiare con l’Ile de France, l’ammiraglia della French Line, ai primi di gennaio, ma il pugile, eccitato all’idea della sua prima trasferta in America, insisté per giungere a New York in tempo per festeggiare il capodanno nella grande metropoli americana, sogno e incubo di migliaia di suoi connazionali emigrati, e così erano salpati il 24 dicembre del 1929, festeggiando il Natale in navigazione.
Era stato Bill Duffy, il manager inglese di Carnera, a trovargli all’ultimo minuto un posto sul grande piroscafo Berengaria e a convincere la prestigiosa società armatrice, la Cunard Line, a fargli un letto speciale, di due metri e venti di lunghezza e con base rinforzata.Carnera, che su 19 incontri europei ne aveva vinti ben 17, sbarcava così negli Stati Uniti, dove la sua fama si sarebbe consolidata fino a far diventare il pugile italiano un’icona per i tanti connazionali emigrati come lui per cercar fortuna all’estero: alla fine del 1930, su 26 incontri con i maggiori pugili americani, sarà sconfitto una sola volta. Il secondo avvenimento sportivo che caratterizzerà il 1930 è il primo campionato mondiale di calcio. Ai ferri corti con il Comitato olimpico (che aveva escluso lo sport dalle olimpiadi di Los Angeles programmate per il 1932), nell’autunno del 1929, l’allora presidente della Fifa Jules Rimet decise di organizzare i primi campionati del mondo: si sarebbero svolti in Uruguay nell’estate successiva.
Protagonista d’eccezione dell’evento fu il transatlantico italiano Conte Verde che, il 21 giugno 1930, imbarcò nella rada di Villefranche-sur-Mer, in Costa Azzurra, Jules Rimet e l’intera delegazione della Fifa, la squadra francese, tre arbitri e la prima coppa del mondo, quasi quattro chili di argento massiccio placcati d’oro e ispirati alla Vittoria di Samotracia, opera dell’argentiere francese Abel Lafleur. Ad attenderli a bordo l’intera squadra rumena, imbarcatasi a Genova, mentre a Barcellona il Conte Verde avrebbe imbarcato il team belga. Prima di giungere a Montevideo, il successivo 4 luglio, avrebbe inoltre accolto anche la squadra del Brasile, a Rio de Janeiro. Un gustoso aneddoto di quel viaggio racconta che il presidente della Fifa chiese a Fedor Chaliaplin di tenere un concerto per i calciatori. Il celebre tenore chiese di rimando quanto fosse il compenso. All’imbarazzo di Rimet, che non si aspettava una richiesta di danaro, il cantante rispose flemmatico: «Avessi fatto il ciabattino vi sareste aspettati che vi risuolassi le scarpe gratis?».
Niente concerti dunque per i passeggeri, che si divertirono però a spiare i calciatori che si allenavano sui ponti, non senza qualche maligno commento sul loro talento e sullo spreco dei palloni finiti fuoribordo. La quarta e ultima formazione europea a prendere parte ai primi campionati del mondo sarebbe stata quella iugoslava, che si era però imbarcata a Marsiglia sul piroscafo francese Florida. L’Italia, che avrebbe vinto i due successivi campionati del mondo, nel 1934 e 1938 (salvando miracolosamente la coppa dalla razzia nazista della seconda guerra mondiale, per poi vederla scomparire misteriosamente nel 1983), non prese parte a quel primo campionato, vinto dal Paese ospitante il 30 luglio 1930. La bravura di alcuni giocatori sudamericani (spesso figli di nostri emigrati) non passò comunque inosservata in Italia e alcuni di loro sarebbero stati presto ingaggiati nel nostro Paese, antesignano delle campagne acquisti internazionali. Fra questi il paraguaiano Attila Sallustro, giunto nel capoluogo campano proprio col Conte Verde insieme ad altri 3 giocatori sud americani. Sallustro divenne uno dei miti anteguerra della squadra del Napoli, acquistata nel 1936 dall’armatore Achille Lauro.
La prima grande trasferta sportiva italiana oltre oceano sarebbe avvenuta all’inizio del 1932, quando il 19 gennaio il Conte Biancamano sbarcò a New York la squadra nazionale che avrebbe partecipato alla terza olimpiade invernale di Lake Placid, la prima oltre oceano, inaugurata da Franklin Delano Roosevelt il 4 febbraio successivo. Il capitano della squadra, Erminio Sertorelli di Bormio, serba un brutto ricordo della traversata (del resto erano tutti al loro primo viaggio in alto mare). Tutto quell’ozio forzato faceva sentire appesantiti gli atleti e a bordo, complice il mal di mare, gli azzurri stentavano ad allenarsi; qualcuno di loro, come ricorderà l’inviato speciale de “La Stampa” Guido Alberto Rovetti, non scenderà neppure in pista perché “il dondolio del mare l’ha ridotto a uno straccio.” Anche la pista è una delusione, con pochissima neve, ghiacciata, e i percorsi difficilmente individuabili. La migliore posizione ottenuta dagli azzurri, nel fondo (proprio da Sertorelli), è solo la dodicesima. Nessuna medaglia per gli atleti italiani e nessun comitato d’onore ad accoglierli al loro rientro in Italia con la motonave Saturnia. Decisamente memorabile per l’Italia l’Olimpiade estiva, avvenuta, sempre nel 1932, a Los Angeles. Piazzatasi al secondo posto dopo gli Stati Uniti con ben 36 medaglie (12 d’oro, 12 d’argento, 12 di bronzo) la rappresentativa italiana staccò di gran lunga la Francia, terza classificata con 19 medaglie. I 106 atleti e i loro 30 accompagnatori erano stati ricevuti in pompa magna dal duce e da un tripudio di folla prima di giungere con un treno speciale a Napoli, per prendere imbarco sempre sul Conte Biancamano, salutato al suo arrivo a New York dell’11 luglio da una folla altrettanto smisurata di italo-americani. Certamente la presenza di sportivi professionisti eccitava i passeggeri e gli americani non disdegnavano fare qualche scommessa, mentre altri chiedevano di farsi fotografare insieme o di ottenere un autografo. Ovviamente non erano solo olimpionici e calciatori a contendersi i flash dei paparazzi quando transitavano sulla passerella per salire o scendere dal transatlantico. Il 19 febbraio 1934, alla partenza del Rex da Genova, la folla di curiosi era più nutrita del solito; sul ponte lido erano in corso le operazioni di carico e rizzaggio di tre splendidi motoscafi da corsa, insolito “bagaglio” di Carlo Ruspoli, Theo Rossi e Antonio Becchi, diretti negli Stati Uniti per correre la prima competizione internazionale per barche plananti a motore. La competizione si tenne sul lago Worth di Palm Beach, Florida. Il motoscafo di Ruspoli fu vittima di un’esplosione (fortunatamente senza conseguenze per il pilota), quello del conte Rossi speronò la barca a remi di alcuni spettatori e dovette ritirarsi, ma Antonio Becchi, col suo Lia V spinto da un Isotta Fraschini 6 litri, vinse di prepotenza sugli avversari, distaccando il secondo arrivato di un miglio marino alla media di 100 chilometri orari. La stampa del tempo non mancò di sottolineare che il Rex, la più veloce nave del mondo, avesse portato fortuna al Lia V, il più veloce motoscafo del mondo, e che Becchi stesso si fosse magari avvalso di qualche consiglio del comandante del levriero, Francesco Tarabotto.
Alla prima traversata verso ovest del settembre 1936, sempre il Rex ospitò il grande Tazio Nuvolari, che insieme a Antonio Brivio e Giuseppe “Nino” Farina (gli altri due piloti della squadra Alfa Romeo) andava in America per correre la nuova coppa Vanderbilt al Roosevelt Field di New York. Nella nave avevano trovato posto anche le tradizionali otto cilindri, le nuovissime dodici cilindri e i tecnici dell’Alfa. Per l’automobilismo l’occasione era storica perché del mondo delle corse americano in Europa si conosceva ancora ben poco e la “Gazzetta dello Sport” aveva mandato sul Rex il giornalista Giovanni Canestrini come inviato speciale. Era molta la folla, di appassionati e non, venuta a Genova per vedere Nuvolari e i bolidi lucenti con cui si era distinto nelle corse di tutta Europa. L’Algaiola, motoscafo d’altura del conte Felice Trossi, pilota e finanziatore della scuderia Ferrari, seguì finché poté il Rex in Mar Ligure, poi la silhouette nera del levriero scomparve all’orizzonte dove la scia scura del fumo e quella bianca dell’ac-qua si confondevano ormai alla vista. Tarabotto, ribattezzato per l’occasione “il Nuvolari della Marina Italiana”, posò volentieri con il grande campione e si fece anche regalare una foto autografata per il suo album dei ricordi. Con i giornalisti a bordo Nuvolari non si sbilancia: “Andiamo in America con sei vetture e tanta voglia di affermarci. Ma anche se siamo i più forti non c’è da illudersi d’aver la corsa in tasca. I corridori americani sono combattenti decisi a tutto… Ci sarà da divertirsi”. I cinque giorni di Atlantico scorrono tranquilli, tra i divertimenti e lo studio delle strategie per difendersi da eventuali atti sleali, sabotaggi o i temuti ricatti di gangster mafiosi che negli States si “occupavano” soprattutto di boxe, creando non pochi problemi allo stesso Carnera. L’arrivo a New York è estremamente festoso e il molo pullula di italo-americani e di poliziotti che vogliono vedere “Tasio”. Con una sfilata carnevalesca le sei Alfa vengono portate in processione per le vie di Manhattan e sui lati dei rimorchi spicca la scritta: “Italian devils drive these cars”. Il 12 ottobre, dopo quattro ore e mezzo a una media di 106 chilometri orari, Nuvolari vince la corsa e la gloria è tutta italiana: in seconda posizione Wimille su Bugatti, terzo Brivio e quarto Sommer su un’Alfa. Il Rex intanto è andato e tornato in Italia due volte prima di riportare a casa la gigantesca coppa messa in palio da George Vanderbilt, in cui il piccolo Nuvolari entra comodamente. Il primo novembre, ad attendere l’ammiraglia con la gloriosa squadra Alfa a Genova, c’erano tra la folla anche Enzo Ferrari e Achille Varzi. Le compagnie di navigazione si erano ormai accorte da un decennio dell’importanza delle attività agonistiche come svago per i passeggeri e, nel 1927, la Navigazione generale italiana ingaggia il noto illustratore Marcello Dudovich per la realizzazione della prima di numerose pubblicazioni promozionali intitolate “Sports a bordo”. Recita una di queste: “Perfetta, come in una moderna città, è l’organizzazione degli sport e dei divertimenti. Ciascun ponte ha la propria piscina all’aperto circondata da un completo impianto balneare e da un vasto campo sportivo. Qui si trascorrono ore deliziose nelle belle giornate di sole, a nuotare e a praticare ogni sorta di esercizi fisici”. Lo sport serve non soltanto per passare il tempo, ma anche per mantenere il corpo in esercizio e per intensificare il benefico effetto dell’aria di mare sull’organismo. Combatte l’apatia, stimola l’appetito, rinvigorisce i muscoli, dà tono al sistema nervoso. E, ancora, ha il merito di rompere il ghiaccio fra i passeggeri e di creare un’atmosfera disinvolta di fiducia e simpatia generale. “I gruppi si affiatano sul ponte Sole e intorno alla piscina. Una prima partita a tennis, a piastrelle o a ping-pong, iniziata magari contro voglia, sollecita lo spirito agonistico e la voglia di giocare ancora per prendersi la rivincita. Così la grande famiglia della nave trascorre lietamente le sue giornate e tutti, per una settimana, riacquistano la semplicità e la serenità che magari non avrebbero mai pensato di ricuperare”. La presenza a bordo di celebri sportivi contribuì poi a enfatizzare quel legame tra attività agonistiche e viaggi in mare curiosamente riscontrabile già nell’etimologia della parola latina da cui deriva, deportare, nell’accezione originaria di “andare fuori porta”, con l’intento di fare una “scampagnata”, respirar aria buona e fare attività ludica e fisica all’aria aperta: sport e diporto sembrano avere, a buon diritto, radici comuni.
Testo di Maurizio Eliseo pubblicato sul numero 50 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini dell’Archivio Eliseo sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 27 Giugno 2017 da admin | in Storie | tag: Berengaria, Primo Carnera, transatlantico Conte Verde | commenti: 0