Pesce crudo, o per meglio dire Sushi. Una “moda” orientale che ha conquistato anche il Belpaese dove è ormai possibile trovare un vero e proprio mare di ristoranti in cui gustarlo. Una moda che può nascondere però seri pericoli se il ristoratore non è più che “di fiducia” e professionale, scegliendo attentamente la materia prima acquistata da fornitori che rispettano le migliori norme igieniche e di lavorazione. Un esempio? L’anziano coreano amante del Sushi al quale i medici sono stati costretti ad amputare una mano per un’infezione causata dal batterio ingerito insieme al pesce crudo. Un caso certo “aggravato” dal quadro clinico generale già compromesso dell’uomo, diabetico, ma comunque “scatenato” dalla passione per il “crudo di mare”. Sushi, in quel caso, rivelatosi pericolosissimo come possono però esserlo anche tanti italianissimi piatti magari a base di tonno, pesce spada o alici, cozze, vongole, ostriche e fasolari, consumati crudi o marinati. Piatti, come le alici marinate al limone che in Liguria hanno provocato diversi casi di una “malattia” che potrebbe ricordare la patria del sushi, il Giappone: l’anisakiasi, conosciuta col nome di malattia del “verme delle aringhe”, ovvero l’anisakis, parassita (che è possibile trovare nelle carni di merluzzi, passere di mare, rane pescatrici, calamari, crostacei, salmoni del Pacifico) capace di annidarsi nelle pareti dello stomaco, provocando nei casi più seri dolori anche acuti, nausea e vomito, diarrea, febbre lieve e nei casi peggiori, ematemesi, ovvero sangue nel vomito da ulcera, e perfino perforazione intestinale, una condizione di emergenza che richiede un immediato intervento medico. Un problema (che nei casi più gravi può essere risolto solo con l’intervento in endoscopia o chirurgico) segnalato nell’italianissima Liguria ma, guarda caso, molto più diffuso proprio in Giappone, “tempio” del pesce crudo e del Sushi destinato a moltiplicare anche in Italia (proprio per l’aumento esponenziale registrato nei consumi) il rischio di una tossinfezione alimentare. Che, oltre a una parassitosi come nel caso dell’anisakiasi, può avere il volto di epatiti dovute al virus dell’epatite di tipo A o E, oltre che di salmonellosi o colera. Rischi che si possono eliminare in un solo modo: evitando di mangiare pesce crudo. O che si possono ridurre ai minimi termini, nel caso l’attrazione delle crudità di mare sia proprio irresistibile, anche in questo caso con un’unica scelta: mangiarlo da ristoratori nei quali si ripone la massima fiducia, che si riforniscono di materia prima da fornitori qualificati e che possiedono precise certificazioni di qualità, frutto del rispetto di determinati standard igienici in fase di conservazione, manipolazione e somministrazione dell’alimento. Cosa fare in caso il ristoratore non sia “conosciuto”? Basta chiedergli se ha un abbattitore professionale e se è stato regolarmente effettuato il processo di abbattimento (obbligatorio) con il pesce prima congelato a una temperatura di almeno -20°C per un tempo non inferiore a 24 ore, procedura che uccide i parassiti e blocca la proliferazione dei batteri. E, in caso contrario (o di risposte evasive) non mangiare il Sushi, magari proposto con la formula”mangiatene quanto ne volete spendendo sempre tot euro….) e ripresentarsi al ristorante accompagnati dai carabinieri dei Nas, il nucleo antisofisticazioni competente in materia.
pubblicato il 4 Ottobre 2020 da admin | in | tag: anisakiasi, anisakis, crudità di mare, intossicazioni da pesce crudo, mangiare pesce crudo, parassiti nei pesci crudi, pesce crudo, salmonellosi, Sushi, tossinfezione alimentare, verme delle aringhe | commenti: 0