Cowes, sull’isola di Wight, sta al velista colto come La Mecca sta a un musulmano praticante. È un tempio della nautica dove ogni angolo, ogni insegna, ogni pub è un’icona della storia dello yachting, e dove ogni yachtsman sogna di andare almeno una volta nella vita. Qui si è sviluppato il gusto e il piacere per le regate a vela. La storia ci conferma che ci sono yacht club più antichi e che lo sport della vela è nato prima a Cork e a Dublino, ma a Cowes le regate sono state le più importanti del mondo e si è sviluppato un background culturale maggiore che in qualsiasi altro porto fin da tempi molto lontani. Molte sono le ragioni valide: il braccio di mare piuttosto protetto del Solent che separa l’isola dalle coste inglesi, le sue bizzarre correnti, il clima generalmente migliore di altre parti della Gran Bretagna, il favore dei regnanti e della corte, hanno creato le condizioni perché si concentrassero a Cowes molte attività legate allo yachting e si incontrassero qui personaggi che ne hanno influenzato la storia. Di qui sono transitate moltissime delle barche più famose del mondo. Comprese due barche di Robert Clark, Cereste del 1938 e Matambu del 1961, protagoniste delle regate della British Classic Week.
Robert Clark è il protagonista di un libro scritto da Andrea Cappai. Nessuno aveva ancora riunito in un testo il materiale storico, illustrativo e grafico su questo grande progettista. Strano anche che il nome di Clark non si senta spesso, in Italia, sulla bocca dei regatanti e dei frequentatori delle regate per barche d’epoca, nonostante progettisti come Sciarrelli lo abbiano definito tra i migliori al mondo se non il primo. Verso la metà degli Anni 30, i “grandi vecchi” dello yachting mondiale come William Fife III, Charles Nicholson e Nat Herreshoff, stavano lasciando il passo ai giovani: Olin Stephens, Jack Laurent Giles, Robert Clark. Proprio le barche di quest’ultimo, grazie al loro disegno veramente rivoluzionario per l’epoca, come Mystery II, Favona e Ortac, lasciarono il segno nella storia della progettazione. Come Dorade di Stephens o Maid of Malham di Giles. La caratteristica dei progetti di Clark fu, come scrisse John Leather, la combinazione di doti velocistiche e marine con buona vivibilità e grazia di forme. Il piccolo libro di Andrea Cappai (Nutrimenti pp. 133, 16euro) si intitola “L’equipaggio invisibile”, un titolo ispirato a quanto fu scritto sul Times nel 1988 alla morte di Robert Clark. Il giornalista lo definì “sailor himself”, navigatore solitario, perché originale e fuori dagli schemi, capace di navigare per tutta la vita grazie al suo “equipaggio invisibile fatto di equilibrio, passione, grazia”, doti che Clark trasmetteva alle sue barche. Sulle quali è ancora oggi un grande piacere navigare.
“Clark, aveva talento e intuizione e la sua seria opera di studio e progettazione ha accompagnato la storia dello yachting dall’armonia degli Anni 20-30 alle inquietudini del dopoguerra”, racconta Cappai. «Ha saputo rivoluzionare i rapporti tra spazio, forma, funzione per sviluppare sia la barca per tutti, facile da portare e non impossibile da possedere, sia la macchina tecnologica per fare il giro del mondo in regata”. Non fu un caso che, a partire dal 1935, nacquero sul tavolo da disegno di Clark alcune delle barche più belle, veloci e famose della storia. La citata Favona vinse una Fastnet nel 1953, Gipsy Moth III, con al timone Francis Chichester, si aggiudicò la prima regata transatlantica in solitario nel 1960 (sei anni prima del suo mitico giro del mondo).
Anche British Steel vale una citazione. Con quella barca, infatti, Chay Blyth compì il suo “viaggio impossibile” intorno al mondo controvento. “Ma la cosa più importante dell’opera di Clark”, rivela Cappai, “è che i suoi disegni resero possibile la nascita della vela moderna. Grazie alle sue rivoluzionarie idee su forme, spazi e armamenti, un hobby per pochissimi cominciò a diventare alla portata di un pubblico sempre più vasto di appassionati. Non più solo armatori facoltosi ed equipaggi numerosi impegnati in manovre complicate, ma barche veloci, belle e facili da usare. E con all’interno spazi confortevoli”. Andrea Cappai è un velista appassionato. Nato a Venezia, vive a Trieste, è dottore in Scienze naturali, si occupa di fiori e piante e ha una grande passione per la scrittura. Quando non lavora o non è alla scrivania, ama fare regate o navigare, con la fortuna di poterlo fare talvolta anche su barche di Robert Clark, di alcune delle quali ha seguito il restauro. “Nessuno meglio di me può testimoniare la veridicità di quanto lo stesso Clark ha detto”, sottolinea Cappai. Ovvero”Voglio disegnare uno scafo e un armo che possano dare ovunque le migliori prestazioni. In particolare che sia veloce di bolina, confortevole in navigazione e piacevole da portare. Perché una barca che non possiede queste qualità, non può dare quel genere di soddisfazioni che sono il grande piacere dell’andare a vela”.
Testo di Enrico Zaccagni pubblicato sul numero 68 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini di Editrice Nutrimenti sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 28 Marzo 2015 da admin | in Storie | tag: Andrea Cappai, British Classic Week, Charles Nicholson, Chay Blyth, Enrico Zaccagni, Francis Chichester, Gipsy Moth III, Jack Laurent Giles, John Leather, Nat Herreshoff, Olin Stephens, Ortac, Robert Clark, Solent, William Fife III | commenti: 0