Il mare come non lo avete mai visto

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Maledetto Passaggio a nord ovest,
così sterminò un intero equipaggio

“Con cento uomini di mare Franklin prese il largo / verso l’oceano ghiacciato nel mese di maggio / per cercare un Passaggio attraverso il Polo Nord / dove noi poveri marinai a volte andiamo. / Lottarono duramente contro crudeli difficoltà / la loro nave fu sospinta contro montagne di ghiaccio / solo l’eschimese con la sua canoa di pelle / era l’unico che poteva venirne fuori. / Nella baia di Baffin dove la balena soffia / nessuno è in grado di conoscere il destino di Franklin / il destino di Franklin nessuna lingua lo può raccontare / Lord Franklin riposa con i suoi marinai…”. I versi di questa celebre ballata inglese, Lord Franklin, ancora oggi nota agli appassionati di musica folk, non lascia dubbi: la tragica epopea della spedizione inglese, salpata nel 1845 per cercare il celebre Passaggio a Nord-Ovest, lasciò una profonda cicatrice nella memoria collettiva delle isole britanniche. Ma perché l’impavido contrammiraglio John Franklin e tutti i suoi uomini andarono incontro a una fine così orribile, sfiniti dal congelamento, dalla fame e dalle malattie?

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La nave nera riemersa dopo 4000 anni
e subito riscomparsa negli abissi

Far rivivere il passato, riportare a navigare sulle onde del mare una barca di più di quattro millenni fa. A lanciare la  sfida, quasi impossibile, è stata la squadra di archeologi e studiosi che ha deciso di ricreare, sulla base di testimonianze scritte e di geroglifici, Magan, una nave dell’età del bronzo.  La storia di questa fantastica operazione comincia nel 1984, quando l’archeologo Maurizio Tosi, dell’Ismeo, l’istituto studi medio orientali, si trova a esplorare il territorio vergine del sultanato di Oman, regione della Penisola arabica, tra l’Africa e l’India, che si affaccia sull’oceano Indiano.

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Italsub, immergerci nel lavoro è un’impresa
che portiamo a termine benissimo da 30 anni

Immerso nel lavoro: un modo di dire diffusissimo per descrivere una persona completamente “sprofondata” nell’attività che sta svolgendo. Per Massimo Garbarino, imprenditore genovese, non è solo un modo di dire: lui, conosciuto sui moli e sulle spiagge di tutta Italia, e non solo, con il soprannome di “ ambin”, nel lavoro si immerge davvero visto che la sua impresa, l’Italsub, da oltre 30 anni realizza opere marittime e lavori subacquei lungo le coste. Realizzando un vero e proprio mare d’interventi. Passando, come esordisce, da “operazioni di routine quali ormeggi, gettate di cemento, moli e quant’altro, ad attività molto più interessanti e impegnative, come il recupero di scafi affondati e riprese video e fotosub, senza dimenticare forse i lavori più affascinanti in assoluto: gli scavi archeologici sui fondali”. Interventi che in molti casi hanno conquistato le prime pagine dei giornali

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L’isola che non c’è è esistita davvero
ma è vissuta solamente cinque mesi

Il 22 giugno 1831 i siciliani avvertirono uno strano tremore della terra, poi ripetutosi anche nei giorni successivi: da Trapani a Palermo fu un susseguirsi di piccoli terremoti che a Sciacca aprirono crepe nei muri delle case e causarono la caduta di tegole e calcinacci. Il 28 di quel mese, il capitano della nave inglese Rapid segnalò di aver visto un misterioso “fuoco lontano, in mezzo al mare”; cinque giorni più tardi, alla Secca del Corallo – oggi nota come Banco Graham – il mare prese a ribollire, mentre alcuni pescatori che stavano raccogliendo una gran quantità di pesci venuti a galla, svennero per le esalazioni. Il 5 luglio si avvertirono forti scosse sismiche a Marsala e appena due giorni dopo il comandante della nave Gustavo, Francesco Trifiletti, fu il primo a vedere la nuova isola sorta dal mare, mentre “sputava in cielo cenere e lapilli”. La completa emersione avvenne tra il 16 e il 18 luglio. Situata circa 16 miglia a sud-ovest di Sciacca,

pubblicato il 14 Dicembre 2025 da | in Storie | commenti: 0
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Porto Pim, il paradiso non è frutto
solo della fantasia di Tabucchi

«… io avevo venticinque anni e mi piaceva giocare all’amore, tutte le domeniche scendevo al porto e cambiavo innamorata, in Europa era tempo di guerra e nelle Azzorre la gente andava e veniva, ogni giorno una nave attraccava qui o altrove, e a Porto Pim si parlavano tutte le lingue.» Donna di Porto Pim, pubblicato nel 1983, costituisce una svolta fondamentale nell’opera di Antonio Tabucchi, uno degli scrittori più singolari del Novecento: dallo stile personalissimo e metafisico, innamorato del Portogallo e della sua letteratura, in queste pagine sospese, talvolta esilissime, lo scrittore nativo di Pisa crea scenari sospesi tra realtà e fantasia, intessuti di immagini potenti e misteriose. A una prima lettura l’esiguo libretto può sembrare un semplice diario di viaggio o una raccolta di prose brevi,

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Isola affondata con una carica
di dinamite: a Riccione è successo

Sembra la trama di una commedia in cui un eccentrico miliardario americano si costruisce un mondo tutto suo in mezzo al mare. Invece è una storia vera, totalmente nostrana. Quarantadue anni fa, il primo maggio 1968, fu fondata una Repubblica indipendente su un’isola d’acciaio piazzata a una dozzina di chilometri da Riccione, in pieno Adriatico, appena fuori dalle acque territoriali italiane. Pochi oggi ricordano questa faccenda che all’epoca suscitò un gran clamore con tanto di interpellanze parlamentari, sentenze, occupazione militare e, meno di sette mesi dopo, gran botto finale con quintali di dinamite.

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Fram, la nave costruita per resistere
alla morsa del Circolo Polare Artico

Alla fine del XIX secolo il mondo scandinavo è scosso dal risveglio dell’identità nazionale. La Norvegia, soggetta dal 1814 al regno di Svezia, aspira all’indipendenza e tenta di valorizzare la propria identità. Quando l’esploratore Fridtjof Nansen torna in patria dalla spedizione in Groenlandia nella primavera del 1889, è accolto con grande entusiasmo patriottico. Influenzato dalle ricerche del meteorologo H. Mohn, Nansen non crede all’idea allora diffusa di un mare libero al centro del polo. Pensa che i ghiacci dell’Artico formino una massa unica che galleggia e deriva tra l’Asia e la Groenlandia. Invitato a Londra alla Royal Geographical Society, sostiene la tesi dell’esistenza di una corrente sottomarina tra le coste sotto il ghiaccio. La sua teoria si basa su tre fatti:

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Michelangelo, il transatlantico
sfuggito all’apocalisse in Atlantico

Un’onda apocalittica, mostruosa, assassina. Il colpo vibrato alla Michelangelo dall’Atlantico in tempesta fu descritto via radio ai cronisti di mezzo mondo coi termini più drammatici, ma nessuno riuscì a farsi un’idea realmente adeguata della sua violenza fino a quando la nave giunse a New York, al termine di quella sfortunata traversata della settimana di Pasqua del 1966. Era passata da poco l’alba del 16 aprile, il profilo del ponte da Verrazzano e la statua della Libertà affioravano e sparivano tra sbuffi di foschia, quando la Michelangelo, bandiera a mezz’asta e un telo di fortuna a coprire la ferita sotto al ponte di comando, apparve ai reporter che le erano andati incontro sui guardacoste. 

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L’incredibile faro di Bell Rock, una delle
sette meraviglie del mondo moderno

Dalle livide acque del Mare del Nord, al largo delle coste di Abroath, nella contea scozzese di Angus, si erge una delle cosiddette Sette meraviglie del mondo industriale: il faro di Bell Rock. Costruito tra il 1807 e il 1810, la sua storia ha i toni dell’epopea. In questo tratto di mare, a circa 18 chilometri dalla terraferma, uno scoglio a pelo dell’acqua ha minacciato per secoli le navi dirette verso l’insenatura di Edimburgo, il Firth of Forth. Un luogo sinistro, subdolo, sempre pronto a reclamare le vite di innumerevoli marinai; le rocce, affilate come denti di sega, affiorano in superficie solo per poche ore durante la bassa marea, per poi celarsi in famelica attesa.

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Navi di pietra, le tombe dei vichinghi
che navigavano verso l’altro mondo

Quasi un millennio dopo l’ultima eco delle grandi scorrerie dei temibili guerrieri vichinghi, molte delle loro agili e rapidissime navi, i leggendari dragar, giacciono ancora lungo le coste del Kattegat e del Mar Baltico. Silenti, coperte da cuscini di muschi e licheni, pietrificate, come se un terribile sortilegio evocato in qualche antica saga si fosse abbattuto sulle loro snelle fiancate. Spesso sono immerse nel verde dei pascoli, in qualche caso nelle foreste, come sull’isola di Gotland, dove i grandi pini offrono un po’ d’ombra alla leggendaria tomba dell’eroe Tjelvar. Questi immani vascelli non furono costruiti per solcare le onde, ma per custodire le spoglie di sovrani e guerrieri, ricordando alle generazioni future i capostipiti di stirpi dedite alla pesca, al commercio e alla guerra, ma sopra ogni altra cosa formidabili navigatori. La gente le chiama skibssætninger, oppure skeppssättningar, a seconda se ci si trova in Danimarca o in Svezia; nella nostra lingua sono dette navi di pietra e,

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Relitti di giganti del mare insabbiati,
qui potete avvistare i loro scheletri

C’è un mare di argomenti fra i quali uno studente dell’Accademia di Belle Arti può scegliere per scrivere la propria tesi di laurea. Simona Gavioli, studentessa bolognese, ha scelto i relitti dopo essere stata colpita da una frase letta in un libro di Alberto Cavanna: “I viaggi terminano, gli uomini muoiono, le storie vengono dimenticate e le navi, pure quelle, in un modo o nell’altro se ne vanno. Così alla fine restano solamente i relitti”. E così, emozionata come avviene il giorno della discussione,  si è presentata al proprio relatore con la tesi rilegata e in copertina il titolo: Il relitto dentro di noi. Mai titolo fu più azzeccato. I relitti sono rimasti dentro di lei al punto da spingerla, col passare degli anni, a viaggiare, “armata” di macchina fotografica, in ogni angolo del mondo alla ricerca dei luoghi dove giacciono abbandonati gli scafi di navi, grandi e piccole, che hanno fatto naufragio. 

pubblicato il 6 Novembre 2025 da | in I grandi relitti | tag: Alberto Cavanna, relitti, Simona Gavioli | commenti: 0
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Tempeste e uragani, per quale motivo
hanno quasi sempre nomi femminili?

Qualcuno si è mai chiesto da dove arrivano i nomi dei fenomeni atmosferici? Perché malediciamo i vari Minosse, Scipione o Caligola quando il caldo afoso d’estate fa boccheggiare tutta l’area mediterranea, oppure ci rattristiamo sentendo nominare Katrina o Sandy, due degli uragani più violenti del recente passato? Se per quanto riguarda le ondate di calore la tradizione è abbastanza recente, i battezzatori delle tempeste oceaniche hanno una lunga tradizione. Il primo metodo utilizzato fu quello di scegliere il nome del santo

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